venerdì, marzo 13, 2009

HALF NELSON

HALF NELSON/META’NELSON è la schizofrenia di un uomo che si è consegnato all’evidenza dei fatti : da una parte c’è quello che crede nel progresso delle umane sorti e si impegna con il proprio lavoro di insegnante a ribaltare il destino dei suoi studenti, figli di una periferia newjorkese triste e senza speranza; dall’altra l’essere umano che si è arreso alle proprie debolezze e sfoga la propria frustrazione con la droga ed una vita di solitudine.

Vite perdute, non solo quella del protagonista, ma anche dei coetanei che lo circondano, schiacciati da responsabilità che non sono in grado di gestire e chiusi all’interno di un egoismo che li priva di qualsiasi empatia con il mondo circostante; in questo senso è esplicativo il quadro familiare che viene fuori dalla visita che il protagonista rende alla propria famiglia in cui la presenza maschile è cancellata da figure femminili ingombranti ed anaffettive (la madre logorroica ed incapace di rispondere al disagio del figlio) oppure inconsapevoli (la moglie del fratello incapace di spiegare i motivi della presunta felicità matrimoniale), così come l’ambiente di lavoro dove i colleghi vivono con rassegnazione il disagio di non saper rispondere ai problemi dei propri alunni.
Ad essi Nelson preferisce i suoi studenti, a cui si rivolge con programmi scolastici alternativi, di quelli che aiutano a ragionare con la propria testa e verso cui si pone con una benevolenza che esula la didattica e privilegia il sentimento di chi si rispecchia nei propri simili. Un percorso di crescità comune che nel film viene declinato attraverso l’amicizia tra l’alunna problematica ed il suo mentore, paradigma ampiamente sfruttato dalla vita ed anche dal cinema, e che qui assume il significato di una possibile emancipazione dalle rispettive storie di dolore.

Girato alla maniera del cinema verità, con riprese che sembrano nascere dalla spontaneità dei personaggi ed immagini che rispecchiano, soprattutto nell’uso dei mezzi toni, della luce ed anche dei colori, il carattere dimesso delle figure umane, il film deve tutto alla straordinaria interpretazione di Ryan Gosling (come in The believer semplicemente straordinario), completamente sottotraccia eppure capace di urlare gli stati d’animo del suo alterego attraverso impercettibili scansioni dello sguardo e di farci vivere dal di dentro il dramma interiore del suo personaggio.

Una continua epifania che viene in parte fiaccata dalle stilettate progressiste dei registi che imitano Spike Lee e fanno parlare gli alunni davanti alla macchina da presa con panegirici che sembrano manifestazioni di piazza ed insieme il manifesto di una ritrovata dignità.
Quasi a riprendere la dicotomia riassunta nel titolo, il film finisce per allontanarsi dal proprio centro, diviso tra il Nelson privato, immenso nella libertà dell’interpretazione attoriale e quello pubblico, limitato da una scrittura troppo spiegata ed ancora ferma alla libellistica sessantottina.
Per questo film, ancora inedito in Italia, Ryan Gosling è stato candidato all’oscar quale miglior attore protagonista.

DEDICATA A CARMEN

1 commento:

Carmen ha detto...

Conoscendomi, penso immmaginerai la mia reazione.
Ti voglio bene, Amico mio.
Grazie.
Spero che il film esca presto in italia, perché da come ne parli deve essere molto interessante.
Ti abbraccio, Nickoftime