domenica, ottobre 23, 2011

This Must Be the Place: l'opinione della direttora

This Must Be the Place
regia di P. Sorrentino


Piena di aspettative e con il cuore aperto sono andata a vedere l'ultima fatica di sorrentino che si propone come un dramma con pennellate sarcastiche ma che ha tutta l'essenza di una commediola mal riuscita e che ovviamente mi ha lasciata, purtroppo, a becco asciutto.

Di seguito la mia personale recensione di cui mi assumo il peso delle eventuali sciocchezze.

Cheyenne, l’eroe di questo improvvisato viaggio attraverso il tempo e lo spazio - che sorrentino sembra ridefinire durante la produzione ad ogni aggiunta di nuovo girato - è una rockstar di 50 anni ormai in pensione, depresso; vive a Dublino con la moglie Jane che lo accompagna da 35 anni. Conducono una vita molto agiata, grazie alle royalties, in una casa enorme e silenziosa immersa nel verde.
I primi 20 minuti di film scorrono in una lentezza di accadimenti e dialoghi esasperanti e la cosa peggiore è che sembrano assolutamente ridondanti ed inutili: sorrentino potrebbe informarci meglio sugli antefatti con minor tempo.

Cheyenne si muove come farebbe un monolite, il suo corpo risulta bloccato e soprattutto è qualcosa di esterno a lui stesso; il suo stato depresso è reso dal regista in un incedere incerto ed in un modo di parlare timoroso. Cheyenne quasi non ha stabilità sulle proprie gambe, cammina ricurvo in una fatica profonda che sorrentino amplifica nei lenti movimenti di macchina, nello sguardo vuoto del protagonista, nei fardelli che continuamente si trascina appresso: carrello della spesa, trolley.
La casa è un luogo impersonale e freddo, stupisce la totale assenza, nella casa, di musica, alla quale fa da sostituto una colonna sonora abbondante e quasi invadente (musica che il Nostro riuscirà ad ascoltare senza freni solo al concerto di byrne e durante una sosta nel viaggio americano).

Il rapporto con la moglie ci mostra il suo lento ed inesorabile decadimento.
Egli si ritrova nel bel mezzo del proprio complesso irrisolto di edipo: la paura della castrazione è stata tale da portarlo all’autocastrazione psicologica: è impotente e sposato con una donna gentile ma che ha tutta l’aria di essere una omosessuale inconsapevole. Nell’unica scena di sesso tra i due il Nostro si offre alla moglie come un piccolo servitore senza trarne alcun piacere. La moglie non pare esserne dispiaciuta ed a fronte della rivelazione del marito "forse sono un po’ depresso" lei nega tutto e lo porta a riconsiderare la noia come causa del suo stato.
Se il regista ci offre quest'unica scena per descriverci le condizioni di partenza possiamo supporre che quella sia la consuetudine, o che il Nostro sia decaduto dopo un iniziale periodo coniugale appagante, cosa che però mi sento di escludere vista la reazione della moglie, che accetta questo stato depressivo senza mostrare le proprie esigenze di donna. Inoltre non hanno figli, lei non sembra avere alcuna caratteristica della seduttività femminile.
Per quanto si possa essere legati emotivamente, solo la paura di affrontare il mondo ti può tener legato ad una vita quasi irreale ed insoddisfacente. Entrambi sono personaggi imprigionati nelle proprie angosce.
Il personaggio della figlia di bono vox può rappresentarci il vuoto di una generazione, vuoto che continua fin dai tempi dell’adolescente john smith e al quale ancora non si è saputo far fronte.
Cheyenne è circondato prevalentemente da personaggi chiusi nelle proprie nevrosi immersi in un presente statico e uguale a se stesso: la madre ossessionata dalla fuga del figlio, l’adolescente senza un senso interiore, l’amico ossessionato dal sesso. personaggi però abbozzati che il regista non ci lascia "toccare".

La partenza per gli states mi ha lasciata perplessa: cheyenne parte solo.
Viste le premesse, in cui lui sembra non poter reggere da solo la propria vita e di aver invece bisogno del sostegno continuo della moglie, mi sarei aspettata che partissero assieme.

Lo stupore dei paesaggi americani riflette lo stupore fanciullesco che c’è ancora nel Nostro, il quale vive tutto il percorso come un viaggio ai limiti dell’onirico, in cui emergerà chiaramente il suo blocco emotivo e psicologico.

E qui sorrentino si è davvero sbizzarrito.
Simboli ovunque che citerò alla rinfusa.

La vecchia insegnante che cheyenne va a salutare e che vive con un’oca e alla quale ruba un disegno di bambini (barchetta..).
La poliziotta nana che fa tanto citazione Lynchana come a dire che tutto questo ha l’aspetto assurdo dei sogni, ma come i sogni ha un sottolinguaggio da interpretare.

Cheyenne vive immerso (e intrappolato) in una stanchezza gigante, causata dalla inconscia repressione di rabbia, rabbia che solo in alcuni rari momente esterna sbottando come una pentola a pressione ma senza tracimare in una sfuriata che tanto avrebbe giovato alla storia ed alla credibilità del protagonsta.
Il Nostro ha un ineluttabile bisogno di elaborare il rapporto coi genitori e di far fuoriuscire la rabbia ed è proprio in questo che sorrentino lo abbandona, accollandogli invece un altro tipo di elaborazione, translata, ereditata dal padre in cui il regista ha voluto comunque inserire la catarsi del protagonista.

L’incontro con david byrne: la scena in cui si parlano a fine concerto è un po’ il climax dell’evoluzione del personaggio: cheyenne rivela tra le lacrime la propria rabbia e il proprio senso di colpa ad un david byrne angelico, tutto vestito di bianco e coi capelli bianchi.
E capirai che rivelazione fa cheyenne.. anche quello un debole pretesto di sceneggiatura per dare alla storia uno spessore ed un motivo di catarsi.

Ma il vero senso di colpa del Nostro è legato al padre: sorrentino non ci aiuta a comprendere bene il loro rapporto (nè si ricorda la madre..) ma si limita ad informarci che il piccolo john smith era convinto che suo padre non lo amasse.

L’incontro con la cameriera, madre del bimbo grasso, è portatore di altri simboli. Cheyenne trova in ella una confidente, una madre che lo abbraccia e lo ascolta: entrambi aprono il proprio cuore e mentre lei ad un certo punto prova una forte pulsione sessuale per lui, lui resta assolutamente "spento".
Cheyenne è morto da tempo, il suo corpo non ha nulla di vitale e proprio in questa scena capiamo che la sua insensibilità sessuale non è selettiva ma permanente.
Di fronte alla "madre figurata" rispondente ai segnali sessuali, John Smith è costretto, inconsciamente e cronicamente, a spegnere i propri sensi, pena la cacciata dal paradiso. sta qui tutta la disperata incapacità di far fronte alle figure genitoriali.

Il figlio grasso è l’incarnazione di ciò che potrebbe essere stato lui da piccolo: un bimbo incapace di imporsi in famiglia, inacettato, e che per l’assenza del padre (lo vediamo nella foto presa dal bambino, è un militare) fa da supporto alla madre (la scena del bagno in piscina in cui l’esile madre si aggrappa al figlio..). Il suo piccolo corpo gonfio di energia e di rabbia repressa si nutre di cibi che non lo sazieranno mai.
E nella scena clou, di quella che sorrentino ci vuole passare per elaborazione del "bubbone paterno" e quindi della rabbia, Cheyenne osserva silenziosamente attraverso i vetri di una finestra un gigante bufalo sbuffante e immobile, come a dirci che la furia interiore non può comunque essere vissuta nel proprio corpo, in prima persona ma che per essere accettata può soltanto essere trasposta.
Anche qui ci ho visto molto Lynch ma solo per il pretesto simbolico.

Ma torniamo al viaggio e a Cheyenne in cui incontra di tutto; come ha scritto anche nickoftime, incontra un circo di personaggi che ci rimandano ad un sacco di altri film e di cose già dette e viste (cito parsec). I dialoghi hanno il gusto di un tarantino stagionato, di un bergman "de no’ attri", la silenziosa pesantezza di un antonioni americanizzato.
L’indiano che scrocca il passaggio non lascia messaggi comprensibili, l’america sembra essere un coacervo di matti ed illuminati, di santi ed impostori ai quale cheyenne guarda con simpatia e passività.
L’incontro finale col nazista scopre le carte di una sceneggiatura debole e abbozzata. L’umiliazione da vendicare è un banale pretesto per dare la possibilità al nazista di sciorinare tutte le proprie prese di coscienza e di far passare il padre di cheyenne come un solido uomo d’onore.
Gli interrogativi sulla scelta di parlare dell'Olocausto sono tanti e forse davvero, come dice Fabrizio, può essere stata un pretesto per aprirsi le porte al pubblico americano.

La foto scattata da cheyenne è lo sparo che sigla la giustizia fatta, così come la passeggiata del nazista in mezzo alla neve. Ma cheyenne spara al padre del passato oppure vendica davvero l’onta subita dal padre?
a ciascuno la propria verità finale..

La scena finale a mio avviso non ci sta per niente.
Sean penn interpreta se stesso e non un cheyenne liberato dal passato, perché non ne ha avuto la possibilità.
Tutto è affrettato e pasticciato, sorrentino ci sazia con panoramiche, voli d’angelo della mdp, e tanta tanta tanta stupenda ed abbondante musica nella colonna sonora, la parte migliore del film che comunque non ha supportato affatto la narrazione.

Dunque quale è la vera urgenza di questo film?
Mi sento di affermare che non ci sia, che il film sia nato come una prova generale di capacità, in cui sorrentino si è divertito e sbizzarrito su di un canovaccio di poche e gracili idee.
Ancora una volta la produzione è salvata dalla capacità degli attori (sean penn si è accollato una bella gatta da pelare con questo personaggio sgangherato e poco credibile e lode anche a frances mcdormand che ha fatto il mestiere suo sempre ai massimi livelli).
Di sicuro agli americani sarà piaciuto molto. Quello che ancora riesce a stupirmi, e dovrei invece smetterla, è quanta piaggeria ci sia in italia, dove non si riesce a fare una critica davvero costruttiva e da "il re è nudo" quando si parla dei nostro più rappresentativi registi.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La direttora colpisce ancora...ed un piunto di vista che arrischisce il dibattito..quello che mi interessa e che mi sembra rivelatrice è quando parli della mancata elaborazione di Cheyenne che in realtà elabora le motivazione del padre e non le proprie..non ci avevo pensato..mi pare che funzioni in negativo, che aiuti a capire i moivi di un film che non convince...

nickoftime

ladywriter65 ha detto...

Ciao, approvo totalmente la tua recensione. Pure io l'ho trovato un film confuso e senza emozioni.
Peccato.

Niretto ha detto...

Sono d'accordo con quanto scritto..
le recensioni dei film italiani sono quasi sempre di parte..anche se di parte a che??
un film deve essere visto al di la' della nazione di provenienza..
e secondo me semprein lingua originale con i sottotitoli..
il doppiaggio italiano,(bravi quanto si voglia)è uno scempio che dovrebbe essere per lo meno limitato..e questo vale anche per questo film..doppiare sean penn..che peccato!