lunedì, giugno 25, 2012

Chernobyl Diaries. La mutazione


“Chernobyl Diaries. La mutazione” (“Chernobyl Diaries”, 2012) è il
primo lungometraggio del regista Brad Parker.
Quando l’esordio dietro la macchina da presa è un horror ci si aspetta
sempre un marchio nuovo e dirompente. Lo spettatore avvezzo (o quasi)
a paure d’effetto, sincopate o simil splatter non si lascia certo
suggestionare ma oramai il ‘fai da te’ sta usurpando il buon vecchio
cinema di puro intrattenimento e di paura agognata dove si vedeva poco
(del/i mostri) e si rimaneva quasi estasiati dell’invisibile e dal
sonoro palpabile per avvicinarsi ad una sequenza minima dove una
piccola ombra già era lì (in)concludente (e il veder tutto era
niente). Non soddisfatto del nulla che si possa immaginare e delle
corsie preferenziali delle (auto)riprese, compresi i superotto di
certi boys che aspirano alla nudità del proprio corpo (cerebrale), la
voglia cinematografica (mai paga) di avere il grande schermo davanti
propina al pubblico in questo inizio d’estate (solo col calendario) le
pellicole ‘solite’ di resto dell’anno e/o di facili suggestioni
giallo-horror per riempire la lista (spesa) di una multisala aperta e
delle poche monosale ancora accaldate per proiettare un film di
ripiego prima dell’arrivo di un blockbuster forte (unico in luglio)
per arrivare al pre-ferragosto. Si deve dire che le promesse
distributive non invogliano affatto (anche il più appassionato) a
vedere certi films di basso costo (in tutti i sensi) nella bassissima
stagione (vuota di idee in partenza). Una tristezza unica.
“Chernobyl Diaries” mi ha incuriosito nel titolo (in inglese) mentre
il sottotitolo italiano lasciava presagire qualcosa di meno
convincente. E questa volta il qualcosa in più distributivo coglie il
segno per una pellicola di valore medio già in partenza e uno
scrittura alquanto semplice e alla fin fine inconcludente. Una
pellicola dignitosamente che vuole volare al ribasso dove i personaggi
sono frammentari(zzati) e le interpretazioni di livello (abbastanza)
infimo. Oramai il propinare il solito gruppo di ragazzi senza-pericoli
per viaggiare dentro una fittizia (auto)distruzione sta diventando un
rituale di molta sceneggiatura di ripiego e di produttori che provano
a cercare l’ago in un pagliaio (negli attori e in una storia che possa
sbarcare il lunario degli incassi per un successivo film).
Purtroppo c’è poco da dire. I primi venti minuti sono solo di
proforma, tirati via con grande ‘chalance’ dove le caratterizzazioni
sono tirate via (un po’ alla grossa). Eppure le motivazioni per una
migliore introduzione c’erano tutte ma la voglia di spender poco (il
basso costo a oltranza porta alla autodistruzione non già il gruppo
all’arrembaggio ma il film stesso) nella pochezza della voglia di
girare un film di un certo gusto e livello. Poi il rituale diventa
risaputo. Un furgone che non riparte, l’autista fatto fuori, la notte
che incombe in una città desolata (Pripjat) piena di incubi irreali e
di mostri veri tutto in una successione di eventi con una tensione
horror convincente quando la fuga è solitaria (è la cinepresa il
mostro) con una torcia che buca il buio totale mentre diventa
(assolutamente) banale quando lo scontro ragazzi-paure vuole diventare
serio e veritiero. Tutto, in questo caso, appare scontato, accumulante
e, semplicemente, modesto e insulso. Il finale (ultimo minuto, che non
dico) appare senza significato e irrilevante: si aggiunge qualcosa che
vorrebbe essere macabro irridendo il mondo ospedaliero (sovietico) in
un contesto narrativo oramai alla deriva e raggrumato di stupide
brutture.
Un gruppo di ragazzi (da quattro in origine alla partenza si aggiunge
la solita coppia d’amore in cottura più l’autista dell’agenzia per
viaggi estremi –unica per il film- gestore unico di se stesso) vuole
fare una vacanza (già poco indicativa all’origine) nella città ucraina
di Pripjat divenuta fantasma dopo l'esplosione del reattore della
centrale atomica di Chernobyl nel 1986 (la notte del 25 aprile il
reattore n* 4 inquina e annienta il nondo circostante). Il film è
stato girato in altri luoghi e in posti ‘amichevoli’ per raccontare il
massacro che portò il disastro nucleare e tutto va bene meno che
indagare sul vero post-Chernobyl. I sei baldanzosi Paul (Jonathan
Sadowski), Chris (Jesse McCartney), Amanda (Devin Kelley), Natalie
(Olivia Dudley), Michael (Nathan Phillips) e Zoe (Ingrid Bolso Berdal)
con l’aggiunta di Uri (Dimitri Diatchenko) vogliono a tutti i costi
superare il confine off-limits della città di Pripjat. Dopo un
tentativo regolare (controllato dalla polizia) il gruppo passa,
percorrendo una strada imboscata, una recinzione lontana da facili
controlli. L’inizio è di reportage-foto-incredulità e di qualche
disillusa risata fino a quando il gioco scherzoso di una vacanza e la
fuga rapida dal posto si trasformano in un incubo costretti a rimanere
nella notte della vita fantasma. Il piccolo pullmino è in avaria (e sì
che i fili di accensione qualcuno li avrà tagliati…) e Uri crede in un
batter d’occhio di controllare la situazione (“telefona
all’agenzia”..,..”sono l’unico socio”..,..”ma quella è una
pistola”..,..”calma…vi porterò fuori…”…) ma strani rumori cominciano a
sentirsi e fare la perlustrazione notturna non è il massimo… infatti
alla ‘spicciolata’, con annessa suspense ‘limitata’, il gruppo si apre
al buio dei fantasmi (‘sono ignari di quello che può capitare’ o ‘non
avranno mai visto un’horror quadritico’!?) e le cose si mettono male.
Riuscirà a salvarsi qualcuno?”! Domanda quasi retorica. Ci sono orsi,
cani, lupi, radiazioni, malati, fantasmi e incubi dapertutto. In bocca
al lupo…verrebbe da dire. Mai augurio più illogico! Per un sequel ci
saranno i morti viventi in ogni dove figurarsi a Chernobyl.
Il produttore Oren Peli (il regista di ‘Paranormal Activity’ del 2007)
conosce bene le regole per pellicole giovanili e la serialità del
genere ‘paranormal’: tutto ciò lo ha portato ad un ennesimo prodotto
rimasuglio di altri (naturalmente) con convenzioni, grida, corse, buio
e banalità risapute. Il fatto di (auto)vedersi (e di mostrarci in
registrata) in una ripresa durante la foga dell’eccitazione e dalla
fuga del pericolo lascia intendere che il film è poco serio e
l’autoreferenzialità del prodotto è già implicita prima ancora della
tecnica del video turistico d’esportazione. Un qualcosa di poco serio
e approssimato nella tracciabilità dei personaggi, nella scrittura e
in una recitazione inconcludente e, quasi, per caso. Un gesto da
pellicola inerme, labile e solo ‘alimentare’ dove manca un certo
approfondimento di ciò che si vede (ma qui le intenzioni mancano già
da subito) e una sfaccettatura (auto)ironica. Il senso di
paura-spettatore arriva ma è fine a se stessa: non ci sono risvolti.
Un continuo inseguimento (per carità due o tre sequenze si ricordano
alla minima luce) che finisce in un tu per tu imprevisto (per i
ragazzi…) ma facilmente prevedibile.
Gli attori fanno quello che possono ma è d‘obbligo chiudere il
discorso su ogni battuta che dicono. Le grida fanno il resto. La regia
di Brad Parker è mediocremente insulsa a discapito dei luoghi scelti
(avamposti giusti) e delle fotografia che regge la messa in scena (non
certamente di livello o meglio non valorizzata).
Voto: 5-.
(recensione di loz10cetkind)

3 commenti:

Fabrizio ha detto...

Sono abbastanza d'accordo su molte cose che scrivi.Attenzione però a dipingere Chernobyl diaries come il solito horror per adolescenti perché si commetterebbe un errore.
Infatti, i palazzoni di stampo sovietico che una reale catastrofe ha distrutto e svuotato, sommati all'ignoto che domina sullo schermo (i protagonisti e lo spettatore non vedono mai chiaramente la minaccia), contribuiscono a creare un clima di angoscia non indifferente oltre a dare delle tinte gialle alla pellicola, e questo è già un buon presupposto.
La sceneggiatura prevede poi alcuni chiari messaggi, indispensabili per la risoluzione dell'enigma, che lo spettatore dovrebbe cogliere per indirizzare la propria attenzione su chi e perché minaccia i protagonisti e non solo sullla loro fuga: Perché i soldati di guardia negano l'entrata al loro ex collega quando è chiaro che dietro compenso sono soliti lasciarlo passare? Perché dovrebbe essere in corso un'esercitazione in un posto disabitato e contaminato? Cosa ci fanno i cani affamati e addirittura un orso in un posto dove non ci dovrebbe essere nulla da mangiare?
Altro importante punto a favore di Chernobyl diaries è lo schierarsi contro il turismo estremo o turismo macabro. Ovvero la triste abitudine, altamente diffusa anche in Italia, di visitare luoghi sconvolti da calamità naturali o teatro di delitti particolarmente efferati (Ground zero, la New Orleans del dopo Katrina, i pellegrinaggi ad Avetrana, le foto a pasquetta con il relitto della Concordia sullo sfondo).
Turismo estremo che sommato all'ingoranza (Natalie parlando di Chernobyl dirà: " mi pare che ci sia stato un disastro nucleare qualche tempo fa") sarà fatto pagare molto caro ai protagonisti della pellicola evidenziando come la sceneggiatura non sia schierata esclusivamente a favore dei protagonisti ( sempre sia lodato il maestro George A. Romero) inserendo una buona dose di politicamente scorretto che non guasta mai.

loz10cetkind ha detto...

Fabrizio, eggo il tuo commento: naturalmente fa piacere per una discussione sul film. Comunque ben argomentata (complimenti!). Rispondo per quello che ritengo di aver visto (secondo il mio parere):
1. Horror per adolescenti: certo che la produzione, la scrittura (subito il personaggio più adulto è eliminato) e le solite coppie non fanno pensare ad altro;
2. Enigma: ritengo il tutto (fughe e controfughe) quasi al di fuori del contesto; Chernobylizzare il genere con antefatti da turismo-oohh-cheposti non è il massimo;
3. Animali vari: sarebbe da capire se i cani (i migliori amici dell'uomo...) sono rituali da contorno horro o valore aggiunto ad un'inchiesta che non c'è;
4. Turismo estremo: schierarsi contro dici...ma la banalizzaione è evidente da un'agenzia fuori dal mondo...;
5. Visitare luoghi di tragedie: certo è...se il messaggio è contro (e non ci voleva un film così girato male per capirlo...) tutto ciò..facile ammazziamoli uno per uno fino alla splatterizzazione...;
6. Cast: mescolato alla meno del peggio con una recitazione (e resto) da brividi (questo sì che è da vero horror...);
7. Ignoranza dei fatti: fa capire ancora di più il target-film (non è che la sceneggiatura deve essere per forza diversa...ma cercare di mescolare il vecchio con il nuovo chi sa...);
8. Trailer film (e messaggio pubblicitario): fa vedere quello che il film non tocca affatto...;
9. Tragedia nucleare: nella sensazione della fuga...mah..
10. Tragedia del pubblico: simili amenità scritte con mani incrociate pensando di risparmiare e con poche idee;
11. Ultimo minuto film: certo al turismo estremo....estremi rimedi (cinematografici)...devono morire tutti. Mentre i titoli di coda a caratteri cubitali hanno incubito le scatole dello spettatore (almeno le mie...).
Il mio commento vuole essere assolutamente personale e anche un po' ironico (che manca spesso in pellicole di genere).
Grazie del tuo commento che ho apprezzato. Un saluto.

Fabrizio ha detto...

Come avevo scritto nel mio precedente commento "Sono abbastanza d'accordo su molte cose che scrivi" e continuo ad esserlo. Volevo solo evidenziare come, a mio parere, qualcosa da salvare c'è. Che poi il tutto sia banalizzato, semplificato lo trovo quasi del tutto scontato.Una sola cosa riguardante il trailer. Sai quanto me che i trailer sono diversi a seconda del Paese di uscita e vengono messi insieme tenendo presente quelli che si presumano siano i gusti dei potenziali spettatori. A tal proposito ti consiglierei di recuperare il trailer di "I corpi presentano tracce di violenza carnale - Sergio Martino 1973" nella versione italiana è presentato come un giallo, mentre in quello destinato al mercato Usa viene presentato come un horror splatter. Un saluto