giovedì, gennaio 10, 2013

A Royal Weekend

A Royal Weekend
di Roger Michell
con Bill Murray, Laura Linney, Olivia Williams
UK 2012




Tra le tante magie che la settima arte dispensa, quella di rendere la vita più bella e generosa è una costante di molto cinema classico. A questo genere di film appartiene per l'appunto “A Royal Weekend” di Roger Michell,  il regista diventato famoso per aver diretto Hugh Grant e Julia Roberts nel celeberrimo “Notthing Hill”(1999). La citazione del quale non nasce da una necessità puramente nozionistica, ma piuttosto dal fatto che le due opere, seppure diverse per finalità ed intenti hanno in comune il fatto di umanizzare personaggi e situazioni a dir poco straordinarie. Così se nel primo caso si trattava di mettere insieme appassionatamente un uomo comune ed una star cinematografica, facendoli innamorare nel pittoresco scenario del sobborgo londinese, in questo caso a far saltare il banco dei protocolli e delle regole già scritte sono niente di meno che il presidente americano Franklin Delano Roosevelt (Bill Murray) ed il re d'Inghilterra Giorgio VI, da poco omaggiato ne "Il discorso del re"(2012),  destinati ad incontrarsi in un weekend del 39, per sancire il patto d’alleanza che avrebbe spinto gli Stati Uniti ad intervenire a favore dei cugini durante il secondo conflitto bellico. Un evento passato agli annali della storia che il film racconta dietro le quinte,  ipotizzando non solo la nascita di un’amicizia tra i due “statisti”, ma soprattutto testimoniando la relazione, desunta dai diari postumi dell’interessata, tra il politico e Daisy Suckley (Laura Linney) lontana parente destinata a condividere anche a livello sentimentale – la donna di fatto diventerà l’amante di Roosevelt - le escursioni presidenziali ad Hyde Park sull’Hudson, dimora in cui si svolsero i cerimoniali per la firma del trattato.

“A Royal Weekend” è un opera che a prima vista potrebbe spaventare gli amanti del cinema disimpegnato, ed invece, pur svolgendosi in un contesto formalmente ineccepibile, con attori popolari soprattutto tra i frequentatori di cinema d’essai – a parte Murray che pero è ormai lontano dalla popolarità di “Ghostbuster” (1984) -  il film appartiene a quella categoria destinata ad ottenere consenso incondizionato per una leggerezza che diventa sublime nel sottotono della vicenda amorosa vissuta dai due protagonisti, tanto improbabili nelle diverse appartenenze sociali e culturali, quanto complementari nella tendenza a ricercare una vita lontana dai riflettori. E poi nella titubanza e negli scambi di battute tra i consorti reali, spaventati da una realtà così lontana dai rigidi protocolli di Buckingam palace. Modi differenti di intendere la vita che il film si diverte a sottolineare con scene esemplari come quella del re che continua a salutare una folla inesistente – essendo in campagna ed in un posto isolato non c’è nessuno ad aspettare il suo passaggio – oppure con il tormentone dell’hot dog, pezzo forte del banchetto presidenziale, che invece i due ospiti considerano inadeguato per il loro lignaggio e che per questo vorrebbero evitare di mangiare. Un’ eterogeneità culturale ed antropologica, presente anche nei rispettivi codazzi, destinata a ricomporsi nella villa di Hyde Park, alla pari di altre famose dimore cinematografiche, pensiamo a “Casa Howard” oppure a “Gosford Park”,  simbolo nostalgico di un mondo ormai scomparso. La bravura di Michell è quella di far sembrare estemporaneo le conseguenze di un meccanismo perfettamente oliato. E se il rischio più grande è quello di un sublime manierismo, ci pensa la bravura degli attori, tutti grandi senza nessuna distinzione, a restituire il sapore di un intrattenimento evergreen.

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