giovedì, agosto 15, 2013

Sangue

Sangue di Pippo Delbono
con Pippo Delbono, Giovanni Senzani, Bobò
Italia/Svizzera
genere, documentario
durata, 89'


Raccontare un film di Pippo Delbono rappresenta una specie di torto nei confronti di un autore che prima nel teatro e più recentemente nel cinema non ha mai perso occasione di esprimere il diritto ad una libertà che prescinde da istanze narrative tradizionali e consolidate, e che, in un'opera come "Amore carne" si era espressa attraverso una produzione operata con mezzi di "fortuna" (quasi tutte le riprese erano state realizzate utilizzando uno smartphone) e strutturata su un impianto formale che procedeva per assonanze poetiche e suggestioni emotive.

Seconda tranche di un diario intimo, come sempre inscindibile dall'humus che lo produce, "Sangue" raggiunge il concorso di Locarno dopo una navigazione funestata dai marosi di un vissuto personale avvenuto nel segno del dolore e del distacco per la perdita di Margherita, madre del regista. In questo senso l'apertura con le immagini dell'Aquila, occupata dalle macerie e seppellita dalle promesse mancate, appare quanto mai azzeccata nell'evocare un sentimento d'abbandono che l'accomuna con quello ancora fresco sopportato da Delbono. Un lutto che il regista trasforma in reazione di segno opposto, che si traduce in un percorso d'incontri umani ed emotivi materializzati nel caso di "Sangue" dalla figura di Giovanni Senzani, capo storico delle brigate tornato libero dopo ventitré anni di carcere. Un'amicizia nata quasi per caso, suscitata dall'interesse di Senzani per il lavoro teatrale di Delbono e rafforzata da un percorso di sofferenza comune che per l'ex brigatista è coincisa con la malattia e la morte della moglie, scomparsa negli stessi giorni della madre di Delbono. Il legame amicale e quello parentale diventano per Delbono l'occasione di raccontare l'Italia con anime diverse e senza conciliazione, in una dimensione in cui privato e pubblico, il particolare e l'universale procedono di pari passo. Ecco allora la professione di Margherita, sorretta fino all'ultimo da una fede incrollabile e dalle parole di San'Agostino lasciate al figlio in una sorta di testamento consegnato sul letto di morte, e la confessione di Giovanni Senzani che rievoca gli ultimi istanti di vita di Fabrizio Peci giustiziato per vendicarsi del fratello, il terrorista pentito Patrizio. Sono questi due momenti, scelti tra i tanti che compongono l'album visivo e musicale di Delbono, a rimanere più impresse e a dividere gli animi. Agli antipodi rispetto al contesto culturale (la madre di Delbono, fervente cattolica, era terrorizzata dai comunisti, mentre Senzani non ha mai smesso di esserlo) e autobiografico che li contiene, entrambi sono capaci di esprimere un climax di assoluta umanità indipendentemente dalla dimensione di vittima o di carnefice che le due figure rappresentano all'interno del film. Una sorta di nuovo vangelo che unisce peccatori e meritevoli e che Delbono, buddhista praticante, legittima attribuendo alla due vicende la medesima importanza emotiva. Che si tratti di un'attribuzione di responsabilità che Senzani si assume con la lucidità e anche la freddezza di un resoconto che, qualcuno potrebbe scambiare per resistenza orgogliosa all'utopia rivoluzionaria e che, invece, costituisce il modo migliore per mantenersi lontano dal voyeurismo e dai facili pietismi dei reality televisivi, oppure del calvario di una madre che sta per lasciare un figlio, "Sangue" è il manifesto di un umanesimo politicamente scorretto, lontano da ideologie e da certe ipocrisie che non mancherà di far discutere.

Arricchito da una colonna sonora che funziona come valvola di sfogo di una tensione che la visione dell'opera non mancherà di suscitare, "Sangue" è un viaggio al termine della notte che colpisce al cuore e divide in fazioni. Un cinema lacerante di ferite ancora sanguinanti. Meno radicale nella forma, ma egualmente anarchico rispetto al lavoro precedente, "Sangue" è impregnato di una concretezza imposta dalla delicatezza della posta in gioco e riesce a prendere tutti in contropiede congedandosi con un messaggio di speranza all'insegna del bene e dell'amore: a conferma, se mai ce n'è fosse bisogno, di un temperamento iconoclasta e al di fuori dagli schemi che, ne siamo sicuri, continuerà a sorprenderci.

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