giovedì, ottobre 24, 2013

La prima neve

La prima neve
di Daniele Segre
con Jean-Christophe Folly, Matteo Marchel, Anita Caprioli, Peter Mitterutzner, Giuseppe Battiston
Italia 2013
genere, drammatico
durata,105

 
Punto di partenza dell’epifania cinematografica, la realtà è oggetto di sollecitazioni che la possibilità tecnologica ha reso sempre più frequenti ed onnicomprensive, con tecniche di ripresa che alla pari di manifestazioni sciamaniche sembrano provenire da un osservatore invisibile ed ubiquo. Una delle conseguenze più evidenti è quella di un immersione, nei personaggi e nei fatti, capace di rompere la membrana sottile che costituisce la linea di demarcazione tra sguardo ed oggettività. Succede a volte che il regista si dimentichi del suo ruolo di demiurgo per confondersi con la materia del suo film. Una visione dall'interno, e verso l'interno di uomini e cose che lascia esterrefatti, inducendo chi guarda ad una presa di coscienza continua per evitare di trasformarsi nell'immagine dell'esistenza altrui. Il cinema diventa allora un problema di distanze che c'entra molto con la sensibilità del regista, responsabile di decidere qual e il punto in cui l'obiettivo deve smettere di possedere le storie per lasciarle vivere al di fuori di lui.

Rispetto all'argomento in questione "La prima neve" di Andrea Segre offre più di uno spunto per il fatto di essere diretto da un'artista proveniente dal documentario, e quindi abituato a camminare sul filo del rasoio che separa la realtà dalla sua rappresentazione. In questo caso a fronteggiarsi si trovano da una parte il paesaggio e la natura della valle dei Mocheni, in Trentino, intessuta dalle abitudini di un quotidiano che di recente ha dovuto confrontarsi con il fenomeno dell'immigrazione, mentre dall'altra c'è la voglia di raccontare un incrocio di solitudini e di dolore rappresentato dal rapporto d'amicizia tra Dani, fuggito dal Togo attraverso un viaggio che gli ha tolto la moglie e l'ha lasciato con la figlia neonata, e Michele, adolescente alle prese con un quotidiano segnato dalla morte del padre. In altre parole si trattava d'armonizzare "sopralluogo" e romanzo, ricerca antropologica ed ispirazione creativa, verità e finzione.

Partendo dalla condivisione di un lutto che lacera e fa soffrire Segre costruisce una favola moderna, tenera ed insieme drammatica, che utilizza l'archetipo - il gigante ed il bambino raffigurati nell'eterogeneità fisica di Dani e Michele, ma anche la paura, la rabbia ed il senso di morte, stati d'animo che il film materializza mediante la potenza evocativa del sublime naturale dell'ambiente -  ma anche la cronaca - attraverso il rapporto tra Dani ed i suoi connazionali veniamo a conoscenza delle vicissitudini della piccola comunità d'immigrati ospitata nel centro di accoglienza del paese - per descrivere un percorso di salvezza che si colora di sfumature e di silenzi. A fargli da contorno una serie di figure scolpite nel solco di un'emozione trattenuta e pudica come quella della madre di Michele interpretata da una rarefatta Anita Caprioli, e del nonno presso cui Dani andrà a lavorare, testimoni impotenti di quella condizione.

Segre è perfetto nel depotenziare la tecnica di solidi professionisti come Giuseppe Battiston, Anita Caprioli e di Jean Christophe Folly (Dani), uniformandola alla spontaneità della prima volta di Matteo Marchel, perfetto nei "400 colpi" di Michele. Così come funziona l'integrazione tra la dimensione del reale e quella della finzione. A far calare le quotazioni è invece il desiderio di inquadrare il particolare della storia su un pianod’universalità che il film avrebbe già, e che viene riproposto quando chiede a Dani di tenere alta la bandiera degli umiliati ed offesi, con l'affermazione della propria condizione di profugo che sembra dettata più che altro dal desiderio di solidarizzare in maniera evidente con il destino del personaggio.  Sono passaggi di breve durata ma resi con una drammaturgia che fa sentire di colpo la sua presenza. La sensazione è allora quella di un’invasione di campo che interrompe la magia creata da quella giusta distanza di cui si parlava in principio, e che Segre prometteva di mantenere fino in fondo. Ci si distrae con movimenti che non sanno più di scoperta ma che si muovono nella superficie del conosciuto, come succede per l’inversione di tendenza rappresentata dallo zio di Michele (Battiston che aspettiamo in un ruolo di prima fila),emblema di quell’Italia costretta a pensarsi di nuovo migrante per riuscire a sbarcare il lunario. Rimane l’eccezionalità di un’amicizia insolita e la virtù di un film che assegnando alla diversità – quella di Dani- una funzione catartica e diremo quasi salvifica, sancisce in maniera profonda il diritto all’uguaglianza ed alla pari dignità di uomini e donne. Sotto questo punto di vista la favola di Segre merita attenzione e rispetto.  

3 commenti:

Iacopo Melio ha detto...

Lo sapete che ad Halloween arriva il primo film (horror) sul web: autoprodotto, tutto italiano e pure gratis...?
Leggete. ;)

http://h-fashion.it/cinema/il-primo-film-realizzato-sul-web-e-tutto-italiano-arriva-la-festa.html

Christian ha detto...

Bel film, dallo stile sobrio, lento ma intenso, e con i personaggi perfettamente "calati" nell'ambiente che li circonda.

Anonimo ha detto...

un film non lontano da quelli presenti nella selezione italiana della competizione ufficiale del festival di Venezia..

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