lunedì, febbraio 16, 2015

BYZANTIUM

"Byzantium".


di: N.Jordan.
con: S.Ronan, G.Arterton, S.Riley, D.Mays, C.Landry Jones, J.Lee Miller.

- Irl, GB 2012 -
117'



"Io ricordo tutto. Questo e' il mio fardello", commenta a voce bassa, assorta, quasi tra se', Eleanor/Ronan di fronte al suo giovane interlocutore, Frank/Landry Jones, che tenta di aprire timide brecce in un riserbo che appare inscalfibile, protetto com'è da un segreto secolare sconvolgente. E proprio il ricordo, malinconico, a volte struggente, assieme ad una delle sue architravi maggiori - la nostalgia - e in parallelo ai furori del desidero e alle incognite del tempo, percorre, al modo delle pagine di diario redatte con febbrile mestizia dalla stessa Eleanor, "Byzantium", ultimo lavoro di Neil Jordan - datato 2012 - dopo l'incursione nella tradizione gaelica di "Ondine" (2009).

Se, come ha notato anche Houellebecq, "la nostalgia non e' un sentimento estetico, e non e' neanche legata al ricordo di una felicita'. Si ha nostalgia di un luogo per il semplice fatto di averci vissuto, poco importa se bene o male", e' pensabile, una volta operata accorta torsione del contesto - nel caso, fantastico-horrorifico, imperniato sulle vicende di due donne vampiro, essendo l'altra Clara/Arterton - ipotizzare un'ulteriore sfumatura drammatica di questo concetto legata al destino privilegiato ma crudele dei cosiddetti non-morti, inchiodati qui in una sorta d'infinita adolescenza e prima giovinezza, inerente lo smacco di una nostalgia per terre mai viste, per esistenze alternative, proprio per questo in teoria in grado di spezzare i vincoli di un'eternità esuberante ma coatta: Bisanzio, appunto, ipotesi evocativa quant'altre mai di un'idea di approdo ove consumarsi in via definitiva o rinascere, provvisoriamente materializzata nelle architetture fatiscenti di un omonimo Hotel affacciato su un mare più cupo del cielo che lo sovrasta.

La parabola viziosa di Eleanor e Clara, vincolata nel cerchio di istanti che sembrano trascorrere ma in realtà si limitano ad allungare gli estremi di una decrepitezza i cui tratti esteriori restano sempre e comunque gentili e floridi, si nutre, per un verso, dei canoni e delle convenzioni tipiche del genere che, come si sa, ha precedenti letterari e cinematografici - addentellati inclusi - sterminati, arricchita, qua e la', di un gusto ematico-sessuale diretto, pressoché innocente, nella sua prorompente inesorabilità: ingordo e impetuoso quello di Clara, al passo con l'uso di un corpo sodo e desiderabile, espediente infallibile e fonte inesauribile di sostentamento; più tormentato, sul cammino appena abbozzato di una impossibile sublimazione, come punteggiato da alterni sensi di colpa o dubbiose ritrosie, quello di Eleanor; per l'altro, si astiene, pressoché del tutto, da una raffigurazione saccente o trionfante del personaggio-vampiro, optando per un intimismo di fondo spossato, quasi sine nobilitate, in ogni caso privo di echi "dandy" o della tetra grandeur spesso consustanziale a questo spicchio d'immaginario e da Jordan stesso raccontata oltre vent'anni fa in "Intervista col vampiro". Clara ed Eleanor - tanto la Arterton e' a suo agio nel disporre, grazie ad un erotismo intraprendente, delle miserie umane, al punto da eliminarle quando si frappongono sulla via dell'autoconservazione; tanto la Ronan, occhicerulea, di continuo in bilico tra incredulità, flebile fiducia e afflizione, tratteggia Eleanor come una creatura scissa tra un metabolismo dannato che pretende l'appetito famelico del sangue e un animo che invoca la quiete o, quantomeno, la condivisione di un destino impietoso - attraversano insieme lo spazio e i giorni fissando dimora dove capita (in genere fra i resti degradati di una modernità la cui desolazione e' pari solo alla sua presunta - in ogni caso, gelida - funzionalità), litigando, nutrendosi, forzando la fatale indole entro i contorni di una fragile stabilita', sfuggendo le insidie di persecuzioni arcane e remote, divise tra determinazione a resistere e anelito ad una tregua, mentre attorno a loro si svolge l'ennesima versione di un mondo inospitale tante volte già incontrato, giunto oggi ad accomunare nell'eterno presente - sebbene su piani diversi, eppure, paradossalmente, non così distanti - vampiri e uomini, entrambi ormai, forse, del tutto impossibilitati a fare tesoro delle parole già disincantate di Yeats: "Appena libero dalla natura/mai più assumerò la mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale/Ma piuttosto una forma come quella che gli orefici traggono dall'oro.../A cantare ai signori e alle dame di Bisanzio/Di ciò che e' passato, di ciò che sta passando o che verra'".

Tratto da un testo teatrale, "A vampire story", di M.Buffini, "Byzantium" e' stato presentato nel 2012 al Toronto Film Festival. Non e' mai arrivato nelle sale italiane.

TFK

1 commento:

poison ha detto...

Grandi aspettative (Neil Jordan mi aveva regalato grandi cose, in passato) e parecchia delusione. Alcune cose anche carine, a partire dalla caratterizzazione dei vampiri, molte altre decisamente meno, comprese un po' di incongruenze sparse. E va bene risparmiare sugli effetti speciali, ma quelle cascate che si colorano di rosso non si possono guardare...