giovedì, febbraio 16, 2017

FESTA DEL CINEMA DI ROMA: MOONLIGHT

Moonlight
di Barry Jenkins
con Trevante Rhodes, André Holland, Naomie Harris
USA, 2016
genere, drammatico
durata, 110'



Da quando a partire dall'inizio del nuovo millennio  il cinema afroamericano ha cominciato a presidiare in pianta stabile la programmazione del circuito ufficiale la preoccupazione dei suoi esponenti più importanti e celebrati è stata quella di preservarne il vitalismo che in larga parte coincideva con l'orgoglio di razza e i richiami alle proprie origini presenti nei lavori di registi come Spike Lee, John Singleton e Mario Van Peebles che seppur con risultati tra loro non paragonabili possiamo oggi considerare i precursori di questo movimento. Tutt'altro che scontate le preoccupazioni del regista di "Fai la cosa giusta" si riferivano soprattutto al rischio di sudditanza derivata dalla volontà di farsi accettare dall'establishment come in parte è avvenuto con il fiorire di un filone più commerciale perfettamente sovrapponibile alla produzioni di genere (soprattutto commedie) hollywoodiana. La festa del cinema di Roma prova a dare un contributo alla discussione animandola con la presenza di due titoli come "The Birth of the Nation" di Nate Parker e soprattutto di "Moonlight" diretto da Barry Jenkins destinati ad animare il dibattito. E se il film di Parker di cui parliamo in altra sede si inserisce nella maniera più classica nel filone dei titoli che rileggono la storia per denunciare gli orrori della schiavitù quello di Jenkins ha le carte in regola per figurare tra i titoli capaci di segnare uno scarto rispetto a ciò che l'ha preceduto.



La trama, divisa in tre atti ognuno dei quali corrispondenti a una diversa fase della vita del protagonista (infanzia, adolescenza ed età adulta) ci propone uno degli scenari più tipici rappresentato dal getto nero (di Miami) in cui tra violenza emarginazione e degrado sociale vive il giovane Chiron che trova conforto nell'amicizia con il boss del quartiere e della sua compagna presso i quali si rifugia per supplire all'assenza della madre tossicodipendente e per trovare un'alternativa al bullismo dei compagni di scuola. Dalla tradizione non si discosta neanche l'iconografia della fauna sociale regolata da una legge della strada uguale a quella che faceva da sfondo alle storie di "Boys on the Hood" e "Training Days", solo per citare due dei lungometraggi più emblematici, ne quella urbanistica, dominata dal degrado e dalla decadente fatiscenza del quartiere natale. Ad essere diversa è però la sensibilità del regista e il suo punto di vista sulle vite dei personaggi. Jenkins infatti non rinuncia ai temi della droga, della violenza e della discriminazione sociale ma li filtra attraverso un intimismo che serve alla storia per mettere in scena una formazione esistenziale segnata dalla diversità sessuale che Chiron scoprirà innamorandosi dell' amico del cuore. In questo maniera il modello del gangsta movie viene svuotato degli stilemi tipici del genere per essere riempito da una poetica rivolta a trasfigura i turbamenti dell'anima e le ragioni del cuore; con la dicotomia tra realtà e apparenza enfatizzata dalla trasformazione fisica e caratteriale di Chiron, uscito dal carcere trasformato nel corpo e nello spirito per difendersi dal peso delle antiche fragilità. Tratto da "Moonlight Black Boys Look Blue", opera teatrale di Tarell Alvin McCraney il film di Jenkins tradisce la sua matrice con immagini che non si limitano ad accompagnare la narrazione ma che si incaricano di inventarla quando la vicenda riflette sulla condizione umana del protagonista e sulle molte rinascite (famigliare, sessuale, sociale) della sua esistenza, ogni volta associate alla presenza dell'acqua, elemento psicanalitico destinato a fungere da fonte battesimale nella sequenza del bagno con Juan che suggella responsabilità genitoriale assunta dall'uomo nei confronti del suo piccolo amico.
(pubblicato su ondacinema.it)

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