sabato, ottobre 20, 2012

Cogan - Killing them softly


Cogan - Killing them softly
regia di: A. Dominik


"We're only in it for the money", sghignazzava Zappa ai tempi.
Più o meno la conclusione intimata da Jackie Cogan/Brad Pitt al termine di questo "Cogan/Killing them softly", terza fatica del neozelandese Andrew Dominik, dopo l'esordio di "Chopper" (2000) e le  estenuazioni liriche de "L'assassinio di Jesse James..." (2007). Tratto, ma e' un termine impegnativo, dal "Cogan's trade" (1974) del poliedrico Charles V. Higgins, già giornalista di nera, ex procuratore distrettuale ammaliato dalla letteratura il cui "Gli amici di Eddie Coyle" era stato ben portato sullo schermo nel 1973 da Peter Yates con Robert Mitchum e Peter Boyle come protagonisti, il film compie preliminarmente due operazioni: sposta l'azione in avanti nel tempo - diciamo a ridosso delle elezioni che portano Obama alla Casa Bianca nel mentre che la morsa della crisi economica comincia a far sentire la sua stretta, come rimandano, tipo basso continuo, i teleschermi che punteggiano con i loro notiziari tutta la pellicola - elateralmente nello spazio, dalle atmosfere umide e ovattate del Mideast letterario a quelle fatiscenti e colorate di una fantasmatica New Orleans restituita per accenni e indizi. Se la storia - la rapina a mano armata di due balordi ad una bisca "supervisionata" dalla mala, la quale per non perdere la faccia e nuocere agli affari creando un precedente mette in moto il Cogan del titolo, killer a libro paga in giaccone di pelle, pizzetto e capello lisciato all'indietro - e' piuttosto semplice, le cose si complicano quando andiamo a vedere la resa della stessa sulla pagina e sullo schermo.

Per quanto siano inutili i confronti, stante la diversità dei linguaggi, la sensibilità autonoma di chi scrive e chi dirige e tentando di superare il logoro binomio "letteratura filmata"/"film tratto da un libro", alcune cose
possono comunque essere sottolineate: la scrittura intenzionalmente sarcastica, cinica, gaglioffa, contraddittoria e spesso paradossale fin quasi alla demenza di Higgins, innanzitutto. Scrittura che ha la capacita', quasi solo a forza di dialoghi, di costruire la vicenda e di condurla avanti tratteggiando
indirettamente ma compiutamente un intero microcosmo costituito perlopiù da mezze tacche, rubagalline, sfigati, padrieterni di se stessi, inetti, avviliti e intronati a vari stadi, che più sbattono la faccia contro la realtà del proprio fallimento, più s'ingegnano (si confondono) ad escogitare piani sgangherati per svoltare o il cui rischio non vale la candela. Tanto da risultare più patetici che tragici, più infantilmente naïf che malignamente
consapevoli, più affini, per dire, a "Una banda di idioti" di John K. Toole che alla conventicola di buzzurri schizzati del "Killer Joe" di Friedkin. Quindi più capaci, non tanto di forzare, quanto di dilatare i limiti del genere di riferimento - il noir - aprendolo alla parodia, al nonsense, alla commedia dell'assurdo.
All'opposto Dominik sembra percorrere un sentiero parallelo ma in senso contrario: orchestra la messa in scena secondo uno svolgimento orizzontale sempre indeciso tra l'accelerazione sul versante del grottesco e l'adesione fedele allo spirito "sconclusionato" del testo originario, finendo per appiattire entrambe le opzioni in una narrazione priva di basi di immedesimazione, di solidi agganci - linguistici, estetici, emotivi - per chi
guarda.

Inoltre, quanto la logorrea dei personaggi di carta e' "vitalistica", imprevedibile, zeppa di cortocircuiti per i suoi rimandi interni, le ripetizioni, la tendenza a divagare, a-non-dire-niente, in grado cioè di scartare di continuo, di cadenzare un ritmo e tenerlo e  variarlo sino alla fine, non la medesima cosa riesce  alle figure  di Dominik, bloccate, come costrette a glissare, a "stilizzare" uno stile, di fatto  depauperandolo della sua forza maggiore, a dire l'accumulo giostrato da Higgins a generare una risacca che tutto travolge come un unico gigantesco sberleffo insensato e condannandosi, di  conseguenza, a girare a vuoto, ad agire secondo un'inerzia che non si trasforma mai davvero in azione. Il timore ventilato e ribadito da molti circa la prosopopea, l'incontinenza verbale di certi prototipi tarantiniani, e' in "Cogan" scongiurata in partenza. L'esperimento di Dominik, infatti, non e' prolisso o verboso. Piuttosto e'
monco: da un lato dell'esplosivita' controllata del linguaggio del romanzo; dall'altro dalla mancanza di soluzioni espressive che non siano risapute (il ralenti dell'eliminazione del personaggio di Ray Liotta); ribadite (numerose inquadrature e primi piani "tenuti" oltre misura); manieristiche (l'accuratezza della ricostruzione scenografica e l'impianto della scelta cromatica debitore di riferimenti stilistici cari al cinema USA anni '70).
Resta un Brad Pitt centrato ma col freno a mano tirato, nella parte oramai fin troppo familiare per lui del "guascone letale"; James Gandolfini altrettanto a suo agio nei panni del sicario "afficato" e ubriacone con un paio di validi assolo e l'insinuazione, questa si' maliziosa, che in tempi grami pure il crimine organizzato si fa due calcoli e cerca di risparmiare tirando sul prezzo.

"Li conosco quelli che vincono" disse Cogan. "C'è chi da qualcosa al cavallo e vince. C'è chi da qualcosa a tutti gli altri cavalli, e vince. E poi ci sono quelli che magari drogano i cavalli da una vita e uno o due di loro, forse tre, vincono. Tranne quando i cavalli li droga qualcun altro prima di loro, e vince.
A quel punto perdono. Accettano la sfortuna. Non ci pensano più". Appunto.
We're only in it for the money. Take it or leave it.

TheFisherKing

5 commenti:

veri paccheri ha detto...

ciao King, complimenti per la rece! questo film mi ha "intrattenuta", se posso dire, senza annoiarmi troppo anche se in alcuni punti ho sbadigliato. la logorrea di cui parli riferendoti al libro mi sembra essere presente anche nel film..in certe sequenze mi ha ricordato pulp fiction, in quei dialoghi "sul niente" in cui si addentrano i malavitosi. liotta è tanto dilatato, ha la faccia porcina. è tutto molto violento. Pitt in quel ruolo mi piace sempre.
"Io vivo in America ed in America sei sempre solo. si fanno solo affari. Ed ora pagami!" (citato x come riesco a ricordarlo..)
:-)

Fabrizio ha detto...

Tutto sommato Cogan mi è piaciuto. per i feticisti dell'errore segnalo il livello della birra che si alza e si abbassa senza continuità durante il colloquio Pitt-Gandolfini. Addirittura nell'inquadratura seguente a quando Gandolfini scola tutta la birra, i bicchieri sono ancora pieni.

tfk ha detto...

La pignoleria ha senso e Fabrizio ragione. L'errore sta li'. Nella "scansione" originale della bevuta, Cogan/Pitt attacca con un boccale di scura. Viene servito di nuovo dopo l'arrivo di Mitch/Gandolfini il quale fa fuori il suo drink (un Beafeater Martini con ghiaccio e un oliva) e nell'attesa del successivo si scola la seconda birra di Cogan. All'arrivo del cameriere con l'ordinazione, Mitch lo rimprovera per non aver portato niente a Cogan che, rivolgendosi direttamente all'uomo, declina. Poi Mitch beve e attira di nuovo l'attenzione del cameriere sul boccale vuoto di Cogan: si fa portare un altro Martini e un'altra birra che assaggia subito. Quindi attacca il Martini e a breve lo finisce. Dopo le rimostranze di Cogan, vengono serviti altri due boccali di scura. Uno lo elimina Mitch. Mentre il cameriere porta il conto e Mitch azzarda l'ennesima ordinazione, Cogan lo blocca, gli sottrae il secondo boccale dicendo che lo berra' lui anche se non ne ha voglia e chiede al cameriere di portare un caffè nero. Alla fine, il cameriere consegna il resto a Cogan e porge il caffè ad un riluttante Mitch.

nickoftime ha detto...

personalmente in film mi ha deluso, l'avevo già detto con un post "in diretta" post visione..ripensando al film a mente fredda emerge un dato che potrebbe inquadrare quest'opera: Dominik aggiunge al libro di Higgins la filosofia del killer: Cogan ci spiega in che modo la realizza ammazzando le sue vittime dolcemente e da lontano..ebbene se uno vede il film non solo non nota le differenze con chi questa modalità non c'è l'ha, ma in particolare le uccisioni non avvengono da lontano, ne in maniera tale da risultare meno cruente. Questo fatto per me è indicativo di tutto il film..

tfk ha detto...

Concordo. La scelta di Dominik poteva essere espressivo/stilistica ma, nei fatti, cioè nel film, rimane un'intenzione. Higgins non attribuisce al suo killer alcun "codice" particolare. Anzi, Cogan e' pragmatico al punto che l'unico suo interesse e' "fare bene il lavoro": liscio, rapido, preciso. E visto che e' di un sicario che stiamo parlando, spesso questo lavoro e' brutale. Sentite come Higgins descrive l'esecuzione di Johhny Amato, uno dei "cervelli" dell'irruzione alla bisca: "Cogan esplose il primo proiettile da caccia. Lo colpi' all'addome, in basso, e lo scaravento' all'indietro contro la palazzina. Aspetto' finche' Amato non tocco' l'apice della sua bassa parabola. Poi esplose il secondo colpo. Il proiettile centro' Amato più in alto, a sinistra, poco sopra la cintola, e lo trapasso', perforando il vetro del portone a sinistra. Cogan esplose il terzo colpo mentre Amato urtava il muro della palazzina e cominciava ad afflosciarsi. Lo colpi' in mezzo al petto, vicino alla base della gola, e lo apri' in due. Amato crollo' a destra fra i cespugli". Difficile trovarci il "soft" in 'sta roba.