venerdì, ottobre 26, 2012

Siegel/Eastwood: due nel mirino (1)

Due come loro.
Il regista dei generi e l'attore dalla faccia di granito.
Dopo anni di oscurantismo dettato più da ragioni ideologiche che da un analisi obiettiva, i nomi di Don Siegel e Clint Eastwood sono diventati da un pò tempo sinonimo di qualità.
Un appellativo meritato, ma non scontato, se è vero che nel corso delle rispettive carriere i due sono stati spesso vittima di stereotipi o preconcetti, derivati soprattutto dalle rappresentazioni di un cinema che prendeva di petto l'esistenza sfidandola con un uso esaltante e spregiudicato del fattore umano.
Giudizi progressivamente rivisti attraverso una rilettura critica meno partigiana, e più disposta ad accettare un cinema diventato, anche grazie all'apporto di altri "maestri"che di Siegel hanno seguito l'esempio, territorio ideale per decodificare i fantasmi della nostra contemporaneità. Tenendo conto di questa revisione, ed evitando di celebrare due tipi più propensi al fare che al dire, icinemaniaci provano a ricognire i vari capitoli di questa alleanza, ripercorrendola attraverso i film che di fatto costituito la prova concreta di un percorso comune complesso ed originale.
Il risultato è un racconto ricco di dati e di notizie, in cui la precisione dell'analisi cinematografica va di pari passo con un umanesimo imbevuto di passione cinefila. Nella speranza che questa iniziativa riesca a trovare il favore dei lettori, e magari a stimolare la visione dei film in questione, vi lasciamo alla lettura ricordando che il primo post è stato pubblicato oggi per rendere omaggio al centenario della nascita di Don Siegel avvenuta il 26 ottobre del 1912, mentre gli altri usciranno settimanalmente e nella giornata del lunedì.


(nickoftime)


"Siegel/Eastwood: due nel mirino (1)"
di TheFisherKing

"Ehi, ma che infanzia hai avuto ?"
"Breve"
- da "Fuga da Alcatraz" -


1971.
Paul Berg per la prima volta ricombina il DNA. Viene messo a punto il
microprocessore. Jean-Francois Borel scopre la ciclosporina (farmaco che agendo
sul sistema immunitario, contrasta il rigetto dopo un trapianto). Per buona
parte dell'anno i Rolling Stones incidono a Villefranche-sur-Mer, "Exile on
Main Street", sessione alcolico-lisergica-iperlibertaria (da poco
ripubblicata). Prendono forma gli Steely Dan. La Allman Brothers Band realizza
il doppio live "At the Fillmore East" (capolavoro quasi d'esordio ma già
epitaffio: Duane Allman, chitarrista e cuore musicale del gruppo, muore in
ottobre; il Fillmore chiude quasi in sincronia i battenti). In Vietnam, anche
in ragione della fallimentare offensiva in Laos delle forze sud vietnamite,
prosegue il disimpegno americano sul terreno del conflitto. Il poeta cileno
Pablo Neruda vince il Premio Nobel per la letteratura. Alla Mostra del Cinema
di Venezia l'appena istituito premio alla carriera viene attribuito - tra gli
altri - a John Ford. Don(ald) Siegel e Clint Eastwood mettono insieme il lavoro
più popolare e controverso del loro sodalizio, "Dirty Harry", da noi noto come
"Ispettore Callaghan: il caso Scorpio e' tuo" (curiosità: la "g" nel cognome
del protagonista e' una chicca nostrana. L'originale e' Callahan).

Se la vita e' imprevedibile, si può dire che uno dei sigilli di garanzia di
questa imprevedibilità e' il cosiddetto "sodalizio artistico". Breve, lungo,
idilliaco, tormentato, che sia. Eccolo allora fantastico/favolistico
(Burton/Depp); folle/spassoso (Edwards/Sellers); critico/impegnato
(Pollack/Redford), solo per citarne alcuni. Addirittura oltre il cinema stesso,
a volte, in un territorio dai contorni vaghi, intriso di una sua speciale
magia: un po' avventuroso, un po' superomistico (Herzog/Kinski); un po'
onirico, un po' surreale (Fellini/Mastroianni); un po' ribelle, un po'
romantico (Truffaut/Leaud). Uno spazio, in ogni caso - tornando ad un livello
più prosaico - abitabile in teoria da chiunque, a patto pero' che venga
soddisfatta almeno una condizione: lo sforzo di esprimere una comune (o molto
prossima) visione del mondo nel rispetto e soprattutto nell'intento di valersi
delle reciproche peculiarità individuali. Don Siegel e Clint Eastwood, nel
decennio abbondante (1968 - 1979) che li ha visti accomunare gli intenti,
rappresentano una delle versioni meglio riuscite di questo sforzo.

Siegel, classe 1912 (e' scomparso nel '91e di questi tempi ricorre il
centenario della nascita), da Chicago (Illinois) - una delle patrie del
crimine, del cinema sul crimine e di maestri del cinema sul crimine (basta
ricordare che dalla "città del vento" provengono William Friedkin e Michael
Mann, da sempre estimatori di Siegel e pubblici sostenitori dei debiti da loro
contratti nei confronti del suo cinema) - nel 1968 era un autore che oltre a
spaziare con determinazione tra i generi - fantascienza, noir, western - aveva
già incrociato la non affollata strada dei capolavori. Eccone tre: "Rivolta al
blocco 11"/"Riot in cell block 11", 1954, girato "dal vero" nel carcere di
Folsom, in parte interpretato da autentici detenuti, che aveva molto
impressionato un allora ventottenne Sam Peckinpah, reclutato ad un centinaio di
dollari alla settimana per fare da terzo assistente alla regia. Poi il celebre
"L'invasione degli ultracorpi"/"Invasion of the body snatchers", 1956, pietra
di paragone della fantascienza inquietante, apocalittica, senza riscatto, ai
tempi (in piena Guerra Fredda) intollerabile per la lucidità con cui
rivendicava il proprio pessimismo. E infine "Contratto per uccidere"/"The
killers", 1964, dall'omonimo racconto di Hemingway, già portato sullo schermo
da Robert Siodmak nel 1946 con la coppia letale Lancaster/Gardner (tutti e due
esordienti o poco più), in cui spiccano, accanto all'ormai consolidato rigore
della messa in scena - necessario qui a descrivere un mondo vuoto che nemmeno
la bramosia o la brutalità riescono a scuotere - l'atmosfera di futile
gratuita' che avvolge ogni azione e banalizza ogni scopo e le prove superlative
di Lee Marvin e John Cassavetes. Pare quindi quasi fatale - storicizzando, si
capisce - come le strade di un regista affermato seppure in permanente
contraddizione con Hollywood, affezionato al genere ma critico e polemico nei
confronti delle trasformazioni che maturavano in seno alla società del suo
tempo, e quelle di un attore con velleità di autore (Eastwood avrebbe esordito
alla regia di li' a qualche anno, nel 1971) con alle spalle una discreta
gavetta nelle serie televisive ("Maverick", "Rawhide", "Highway patrol"), la
"trilogia del dollaro" di Sergio Leone sul grande schermo e poco altro, fossero
"destinate" a incontrarsi.

A cavallo (e' il caso di dirlo) tra gli anni sessanta e i settanta, il western
si era già incamminato verso quella estrema rilettura che la critica avrebbe
definito "crepuscolare". Lavori come "Mucchio selvaggio" (1969), "La ballata di
Cable Hogue" (1970) di Peckinpah; "Soldato blu" (1970) di Nelson; "Piccolo
grande uomo" (1970) di Penn o "Corvo Rosso..." (1972) di Pollack e "L'uomo dai
sette capestri" (1972) di Huston, avevano concorso a dire con una certa
nettezza che un mondo e un determinato numero di orizzonti erano ormai
tramontati e che una visione che privilegiasse l'occhio critico e un definitivo
realismo s'imponeva alla tentazione eterna della nostalgia e del rimpianto
(nonché della manipolazione). Quale migliore occasione, allora, per alzare la
posta e tentare di trasporre certe tematiche tipiche del western in un contesto
metropolitano ? "L'uomo dalla cravatta di cuoio"/Coogan's bluff" consente a
Siegel - siamo nel 1968 - allo stesso tempo, di tenere in vita certi cardini
narrativi - l'avventura, il desiderio di giustizia, spesso lasciato
all'arbitrio e alla vendetta personale, il ribaltamento dei rapporti di forza
tra chi detiene l'autorità e chi la mette in discussione - e di attualizzarli
rilanciandoli. Innanzitutto, il film sancisce l'inizio di un rapporto non solo
professionale ma umano con Eastwood. Prima conseguenza di ciò, la fiducia
reciproca che spinge Siegel a coinvolgere l'attore ai tempi ancora di "belle
speranze" nella revisione dello script che non lo soddisfaceva e che aveva già
visto una decina di versioni prendere la strada del cestino.

Di rimando,Eastwood si consegna a Siegel,
cominciando ad assumere quella "mimica rigida" venata di sarcasmo che ne
avrebbe caratterizzato quasi tutta la carriera
davanti la macchina da presa e che supportata da un'innegabile prestanza fisica
avrebbe finito per forgiare un vero e proprio stereotipo, di cui il vice
sceriffo Walt Coogan, protagonista del film, e' il primo abbozzo, anche se già
ben centrato nei suoi tratti essenziali. Poliziotto taciturno e un po'
spaccamontagne, testa dura e poco incline al compromesso - stivali, stetson e
cravatta di cuoio (da qui il titolo italiano), Coogan dal cuore dell'Arizona
viene per punizione spedito nella Grande Mela a recuperare un criminale per
estradarlo, missione che porterà a termine come dovesse assaltare una
diligenza: senza guardare in faccia a nessuno e con qualunque mezzo. Se la
contrapposizione tra metropoli/corruttrice e frontiera/incontaminata risulta
spesso schematica, quindi debole, i dialoghi sono il più possibile stringati,
la violenza e' brutale seppure fredda, veloce, mai compiaciuta. Siegel,
comunque, ogni volta che può scarta, puntando tutto sull'ironia e il ritmo, in
definitiva le cose migliori del film. Battibecchi verbali come duelli tra
Coogan e il tenente Mc Elroy interpretato da Lee J. Cobb; l'ironica
incompatibilità che segna le avventure galanti del cowboy-in-città con donne
impossibili da trattare come tipe da saloon; il lungo inseguimento finale tra
il vice sceriffo e Ringermann (il criminale fuggiasco) in sella a delle
motociclette - i cavalli moderni - prima, e terminato a piedi poi - ripreso in
maniera frenetica con numerosi stacchi e inquadrature brevissime - assicurano
all'opera quella piacevolezza minima che deriva da una buona amalgama di azione
e riflessione.


TheFisherKing

Nessun commento: