lunedì, marzo 25, 2013

ESSENTIAL KILLING

di: J. Skolimowski
con: V. Gallo, E. Seigner, Z. Cohen, K. Kaca.
- Pl/Nor/Irl/Hun 2010 -
85 min


Autori diversi per formazione culturale, influenze maturate o più o meno consciamente assorbite, per semplice diacronia anagrafica, a volte mostrano affine sensibilità verso quel rapporto complicato, oramai quasi del tutto conflittuale, che lega l'animale umano al mondo in cui vive ("mondo" inteso come autentico organismo vivente) finendo, nei casi più felici, per delimitare una sorta di "terreno comune" al cui centro c'è la Storia dell'uomo. Pensiamo, per esempio, al Peter Weir indagatore dei legami e delle ferite che da secoli reciprocamente intessono e s'infliggono Cultura (l'uomo) e Natura (pianeta vivente): la prima attraverso l'immensa potenzialità di trasformazione tecnica come sublimazione superiore di una altrimenti incorreggibile carenza istintuale; l'altra, "reagendo" alla manipolazione sistematica sempre più aggressiva e - tirate le somme - assai distruttiva, con brusche quanto violente e reiterate alterazioni degli equilibri chimico-fisici perfezionati nel corso di decine e decine di millenni. O pensiamo al Werner Herzog instancabile giramondo, titanico dirimpettaio del padreterno, ultimo dei profeti dell'avventura come scoperta "corporea" quanto tesa alla ridefinizione dell'orizzonte interiore; calibro in perenne taratura - al punto da essere disposto a pagare di persona - dello sfibrarsi e rifiorire di questo originario rapporto; cantore visionario del mutamento che ne aggrega gl'ingredienti in una amalgama sempre inedita che non esclude ma fa convivere il mistico, l'orrido, il bizzarro, il malato con aperture al sublime e al fantastico.

All'interno di una tale cornice si colloca un'opera come "Essential killing" (2010) di Jerzy Skolimowski, classe 1938, allievo dell'illustre scuola di Lodz, carriera frammentata - "Thirty door key" (1991) e "Four nights with Anna" (2008), per dire, si scrutano da una lontananza superiore ai tre lustri - da sempre incline alla narrazione poco lineare come alla divagazione poetica: struggente, sarcastica, allucinata. Osservatore critico di un mondo in esasperante disfacimento (l'arcipelago a guida sovietica), quanto testimone perplesso e diffidente riguardo la reale consistenza dei valori che ad esso si sono sostituiti (il sistema capitalistico) sotto i paramenti del mercato, dei consumi, dell'individualismo solipsistico, del profitto a qualunque costo...

Un combattente afghano Mohamed/(Vincent Gallo) - più "indicato" che chiamato, a ribadire da subito la distanza omologatrice con cui  l'Occidente guarda al "mistero" medio-orientale e, in generale, a tutto ciò che e' altro da se' - viene segregato dopo un attentato in cui restano uccisi due "contractors" e lui stesso rimane vittima di una perdita temporanea dell'udito. Rinchiuso e interrogato brutalmente, e', fuori dai canali ordinari, tradotto in un luogo di detenzione speciale, riconducibile alle lande solitarie dell'Europa nord-orientale. Durante il tragitto, un concorso di fatalità favorevoli gli consente di darsi alla macchia. Ma la' fuori c'è un mondo sconosciuto... Skolimowski esaurisce in un asciutto e serrato antefatto le potenziali aspettative dell'occhio avvezzo alla scansione classica del "war-movie" - organizzazione dello scontro/azione bellica/conseguenze - facendosi beffa (accumulandoli) dei tipici cliché del genere: l'avanscoperta, l'agguato dinamitardo, la cattività violenta, i dialoghi formali quanto crudeli, il sorvolare continuo degli elicotteri. Sposta così, gradualmente ma con fermezza, l'attenzione dalla guerra tra nazioni, "tra civiltà", come si dice - guerra/costola dell'esercizio legale della forza detenuto dallo Stato - al conflitto al grado zero (essenziale, appunto) dell'uomo con l'ambiente, ossia con quegli elementi che l'efficacia razionale della Tecnica ha decretato essere sconfitti o quanto meno sotto controllo.

Nel corpo immenso e all'apparenza imperturbabile di questa ancestrale e fascinosa "puszcza" innevata, lacerto residuale di foreste che si estendevano dai silenzi siberiani alle più occidentali propaggini del continente europeo - tra tigli, abeti, querce e frassini a celare e a alimentare un sottobosco in perenne macerazione fatto di felci, funghi, carpini - ammantata da una bruma amniotica che pare proteggerla e riverirla, Mohamed vaga senza meta, incalzato, da un lato, da immagini sconnesse di una realtà perduta (un villaggio nel deserto, una figura femminile in burqa che lo fissa), schegge incoerenti dal retrogusto sinistro ("Stanche e pesanti di sonno/vedo sotto le palpebre chiuse/i corvi in mezzo alle rose/e gli ammalati al sole.../La noia di quei vaghi amori/ splendere immobili e per sempre", M. Maeterlink, "Serre calde", 1889); dall'altro, dalle impellenze che la retrocessione ad una condizione selvaggia gl'impongono: il cibo sopra ogni altra cosa. Sporco, affamato, forzato al mutismo, il fuggiasco a zonzo in un territorio incontaminato e rarefatto presto diventa ostaggio braccato dal grande grembo vivente che, indenne dal contatto umano, ritorna se stesso e impone i suoi comandamenti: fatica, resistenza, dolore, sangue... Immerse in un'atmosfera cinerea variata sui toni del marrone spento della terra, del verde-grigio degli alberi, della trasparenza gelata dell'acqua e del nitore compatto della neve, quelle che in Weir erano sospensioni presaghe di un rivolgimento totale, di un'apocalisse rigeneratrice e in Herzog attonite parentesi estatico/ipnotiche, qui si asciugano in squarci di un lirismo impassibile, quasi astratto, in cui a risplendere e' la Natura madre/matrigna, meravigliosa perché completa quanto indifferente ("Domanda: sarà sincera la radice ?/E l'albero verde si fiderà di lei ?/Risposta: potrà una madre mentire/di fronte al seme e al frutto ?", D. Thomas, "Take the needles and the knives", 1933), da cui provare a pietire una bacca, una manciata di formiche, brani di corteccia, nella speranza di un nuovo patto filiale, di una estrema riconciliazione in grado di rileggere una sacralità ancestrale perduta per trarne un altro ordine, un altro modo di vivere (Mohamed s'imbatte e alla lettera si attacca ad un seno materno) prima che l'autoconservazione prenda a recitare il suo solo unico verso: ammazzare per sopravvivere ("essential killing").

Leone d'argento/gran premio della Giuria, Coppa Volpi migliore interpretazione maschile, Venezia 2010.


TFK

Nessun commento: