mercoledì, marzo 27, 2013

UN GIORNO DEVI ANDARE

Un giorno devi andare
di Giorgio Diritti
con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth
Italia 2013
drammatico
durata, 110

Le vie per raccontare il nostro tempo sono molteplici e non tutte corrispondenti alle necessità di una comunicazione preconfezionata. A volte la materia è così incandescente da resistere ai tentativi di essere plasmata, e dunque, alle esigenze di comprensibilità imposte dal mercato. "Un giorno devi andare" di Giorgio Diritti sembra offrirsi come esempio del nostro discorso perchè nel mettere in scena l'evoluzione di uno stato d'animo difficilmente esprimibile lo racconta all'interno di una storia costruita sulla riconoscibilità delle situazioni e sulla tipicità dei caratteri. D'altronde la dimensione di fuga, lo sradicamento esistenziale di Augusta, giovane donna annientata dal dolore di una delusione indicibile sono, insieme al confronto con un altrove di segno opposto rispetto al personaggio, alcuni dei topoi di cui il cinema si serve per rappresentare la crisi.

All'inizio del film Augusta (Jasmine Trinca)è una figura silenziosa, quasi trasparente rispetto alla maestosità della foresta amazzonica che attraversa accompagnando una missionaria in visita nei villaggi miseramente sparsi in quell'area. Un'assenza interrotta dalle lacrime di un pianto solitario oppure da sporadiche esplosioni di rabbia provocate dalle scorie  del mondo( occidentale) di cui si vuole liberarsi e che la religiosa le ricorda con la sua carità intrisa di proselitismo. Poi di colpo, grazie alla decisione di continuare il viaggio da sola, la presenza impalpabile si fa sostanza nei rapporto caldo e sincero con gli abitanti della favela di Manaus, ostaggi della politica opportunistica dei loro governanti.

Diritti divide il film in due sezioni, con una prima parte rarefatta ed impegnata a riversare nel paesaggio l'interiorità dei caratteri, e la seconda in cui quella tensione emotiva si traduce in una trama dove i sentimenti dei protagonisti trovano corrispondenza nel tentativi di Augusta e degli indios di liberarsi dalla propria condizione attraverso un patto di mutuo soccorso. Una costruzione che fatica a diventare storia in senso classico, e che per questo Diritti cerca di rimpolpare nella corrispondenza tra il quotidiano di Augusta e di Anna, sua madre, utile ad introdurre il confronto tra la provincia italiana, sonnolenta e benestante, e quella brasiliana, caotica e genuina; e poi a mostrare gli esiti di una "conversione difficile", intrapresa dalle due donne in modo simultaneo, ed i cui esiti, risolti con un "transfert" in grado di realizzare un vero e proprio scambio di persona, con Janaina, proveniente dal sudamericana, pronta a sostituire Augusta nell'entourage casalingo bisognoso d'aiuto, a completamento di un'escursione psicologica davvero faticosa anche dal punto di vista delle interpretazioni attoriali.

Adottando uno stile elittico, con sequenze collegate da logiche che esulano spesso dal rapporto di causa effetto rifacendosi piuttosto ad una conseguenzialità puramente emozionale, "Un giorno devi andare" non riesce però a testimoniare la sua modernità, evidente non solo nell'attualità dei temi (tra i tanti quello della  maternità e poi la ricerca del senso religioso) ma desunta dalla sua propensione etnografica (attori che recitano se stessi, restituzione degli ambienti in chiave fenomenologica e sensoriale) e dall'eterogeneità del materiale filmico utilizzato (digitale, fotografie, riprese con il cellulare), perchè la voglia di raccontare una storia ecumenica non riesce a conciliarsi con le scelte di un soggetto complesso e fortememente individuale. Nella sua generosità Diritti finisce per caricare il film di troppi significati e nel contempo non riesce a farci sentire l'afflizione che pervade la storia. Insistendo sulla fisiognomica di Jasmine Trinca, rinascimentale ma rigidamente monoespressiva nello sguardo in perenne sofferenza il regista finisce per cadere nel tranello delle scene esemplari, quelle che di tanto in tanto fanno capolino - ricordiamo quella di Augusta che attraversa le casupole degli indios seguita dal codazzo dei bambini festanti mentre lei suona i piatti che un tempo appartenevano al padre musicista - dando il senso di una spontaneità programmaticamente ricercata e poco emozionante. Caratteristica quest'ultima che fa sembrare l'opera più lunga della sua reale durata. Ed allora "Un giorno devi andare" potrebbe diventare, questo si, il paradigma di una cinematografia impegnata a ritrovare se stessa. Men at work.

1 commento:

veri paccheri ha detto...

l'ho trovato un film monocorde e inconcludente, troppo lungo e dispersivo. il Brasile con la sua maestosa bellezza sostiene questa pellicola che non raggiunge una catarsi, la protagonista resta incoimpiuta e inascoltata. Jasmine Trinca ce la mette proprio tutta ma è la sceneggiatura in primis a non aiutarla nel suo percorso. Aspetto MIELE, opera prima di Valeria Golino e dove sarà nuovamente protagonista, per vederla ancora in azione e spero che questa volta sarà un buon cinema italiano. ciao.