venerdì, agosto 05, 2016

69 FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO; recensioni, interviste e speciali su attori e registi



Piazza Grande

The Girls with All the Gifts
di Colm McCarthy

Schermo nero e conto alla rovescia. La voce di una bambina che scandisce al buio una serie di numeri. Poi urla. Lei che si veste velocemente e si siede su una sedia di contenzione Entrano due militari in assetto di guerra e la legano stretta, conducendola in una classe sotterranea dove c'è un gruppo di bambini simili a loro. Colm McCarthy getta lo spettatore in questa prigione claustrofobica e  per i primi venti minuti della pellicola il dubbi di dove ci troviamo e in che momento storico rimane sospeso. Poi, abbiamo una svolta con il trasporto della bambina verso un laboratorio per essere vivisezionata e con uno scarto narrativo improvviso ci troviamo in un futuro distopico, in una base militare sotto attacco di un'orda di zombi.
Nello sviluppo diegetico scopriremo che la ragazzina, di nome Melanie, è nata con la malattia che ha colpito l'umanità (questa volta si tratta di un fungo, le cui spore s'installano direttamente nel cervello per via area oppure per contatto immediato dopo un morso da persone infettate) e che trasforma in zombi gli esseri umani.

Ennesima variante di tutto il filone horror-zombi degli ultimi anni (da "28 giorni dopo" di Danny Boyle a "World War Z" di Marc Foster; da "Contagious - Epidemia mortale" di Henry Hobson a "PPZ" di Burr Steers), il cui capostipite resta il capolavoro di George Romero "La notte dei morti viventi" del 1968, questa volta "The Girl With All The Gifts" affronta la tematica dal punto di vista di una giovane zombi cheè viva (in apparente controsenso con il termine di morti viventi) e che vive in simbiosi con il fungo incistato nel suo cervello. Questa non la rende meno pericolosa: attratta dalla carne viva (sia animale sia umana), di forza sovrumana, ha anche l'intelligenza intatta che ben presto si rivelerà superiore a quella umana. Lo sviluppo narrativo per due terzi del film continua in modo forzoso con momenti di svolta drammaturgici abbastanza prevedibili e dove abbiamo un doppio rapporto tra Melanie (la giovanissima debuttante Sennia Nanua) e la scienziata, la biologa Caldwell (Glenn Close) e l'insegnante miss Justiniau (Gemma Arterton): da un lato uno scontro di sopravvivenza tra due razze in lotta tra loro, quella morente (gli esseri umani) e quella nascente (la generazione di esseri superiori); dall'altro un legame materno e protettivo, dove le dinamiche interindividuali portano a un'evoluzione possibile tra le due razze.

Certo, in un film del genere, con molto dejà vu, l'unico aspetto di originalità nella sceneggiatura è l'inserimento della tematica mitologica di Pandora e del vaso che aprendolo libera tutti i mali del mondo. Qui dopo l'apertura, assistiamo a una translitterazione visiva con protagonista la Justiniau che portano a un bello e inaspettato finale, molto più vicino alla fonte letteraria di ispirazione dello sceneggiatore Mike Carey: "L'ultimo uomo sulla Terra" di Richard Matheson, alla cui base c'è il romanzo da lui stesso scritto "La ragazza che sapeva troppo". Invece, il giovane regista Colm McCarthy porta a termine la sua seconda opera con una certa sicurezza e mestiere, ma senza particolari guizzi e ancora molto influenzato dalla sua esperienza televisiva (è stato regista delle serie del "Dottor Who" e di "Sherlock Holmes").

Detto questo un prodotto anche a tratti divertente, ma decisamente modesto per un'apertura di un festival internazionale blasonato come quello di Locarno. Dai selezionatori, questa volta, fatta una scelta coraggiosa con un film di genere ci si aspettava di più: si doveva andare fino in fondo e trovare un film originale ai livelli di "It Follows", "Babadook" o "The Witch", tanto per fare alcuni nomi eclatanti usciti fuori negli ultimi mesi.
Antonio Pettierre
(pubblicato su ondacinema.it)

Nessun commento: