sabato, agosto 20, 2016

LOCARNO 69: INTERCHANGE

Interchange
di Dain Iskandar Said
con Shaheizy Sam, Nicholas Saputra, Prisia Nasution, Iedil Putra
Malesia/Indonesia, 2016
genere, thriller, fantasy
durata, 102'



Kuala Lumpur, giorni nostri. Siamo all'Eden, un locale dove delle drag queen si esibiscono tutte le sere in numeri canori, nei loro vestiti sgargianti e il loro trucco pesante e marcato. Una di loro alla fine dello spettacolo scopre il corpo di una donna mutilato. Sotto la pioggia scrosciante della notturna metropoli arriva il detective Man che si trova davanti a uno strano omicidio rituale.

È l'incipit folgorante di questa sorpresa in Piazza Grande al 69° Festival del Film a Locarno del regista (e scrittore) malese Dain Iskandar Said che ci trasporta in un thriller venato di fantastico, giocando con tutti gli stilemi del cinema di genere. Man chiede aiuto quasi subito all'amico Adam, fotografo della polizia scientifica e dotato di una spiccata sensibilità per le scene del crimine. Man si rende subito conto che l'omicidio è una replica di un altro accaduto cinque mesi prima e ci vede la mano di un serial killer. Adam è momentaneamente a riposo e si diletta a fotografare i vicini dei palazzi intorno al suo appartamento cercando di distrarsi da strani incubi che lo perseguitano. In questo modo conosce la strana Iva, una donna che sembra abbia un oscuro passato. Ben presto i due amici si trovano invischiati negli interessi di alcuni componenti di un'antica tribù del Borneo, resi immortali da fotografie scattate su lastre di vetro e con l'aiuto di un essere divino (un uccello che si trasforma in uomo) cercano di liberarsi da questa maledizione.




"Interchange" non è solo un semplice film di genere, ma ha due temi sotterranei che scorrono sotterranei tra i frame della pellicola. Il primo è il senso di (im)mortalità, come condizione (in)umana che viene trattata secondo la tradizione orale delle tribù locali, dove gli uccelli diventano esseri dal potere simbolico in un'ottica psicoanalitica-religiosa. Essi sono traghettatori verso un altro tempo, spazio, luogo. La trasformazione di questa divinità-uccello (una fenice oppure un uccello del paradiso) in uomo e viceversa, dà il senso drammaturgico del dolore di imprigionamento in uno stato improprio e innaturale. Del resto, le vittime degli omicidi in realtà sono dei suicidi: uccidendo il proprio corpo e rompendo le lastre fotografiche, liberano il loro spirito imprigionato in un'altra dimensione. Questo spazio altro, contemporaneo al proprio, concede un interesse narrativo che spinge verso il finale catartico e liberatorio per Adam, Iva (l'immortale di cui s'innamora) e dell'uomo-uccello. L'altro tema è metacinematografico: il potere della fotografia, dell'immagine, che si fissa su un supporto artificioso attraverso la luce che ruba l'anima a chi è fotografato (credenza di molte tribù all'inizio del XX secolo), fornisce, ancora una volta, un significante al potere del mezzo-cinema, del fermo-immagine come simbolo d'immortalità dell'arte che attraversa il tempo e lo spazio.



Iskandar Said (al suo terzo lungometraggio) cita a piene mani il cinema noir americano (Hawks e Wilder, nelle atmosfere, il poliziotto Man, la dark lady, i locali equivoci, i negozi che nascondono attività losche) e Hitchcock (in particolare, "La finestra sul cortile", nella sequenza di Adam che fotografa il vicinato, e "La donna che visse due volte", nello sviluppo del rapporto tra Adam e Iva), ma riesce con intelligenza a innestare la propria tradizione culturale magico-religiosa delle tribù del Borneo. Ed è interessante assistere a un mutante uccello (apparizione più unica che rara nel cinema) che ha un ruolo determinante nelle sequenze più spettacolari del film.

A conti fatti tutto il supporto tecnico è di buon livello, svelando una cinematografia che rientra ormai in quella Orientale che si rivela ogni anno sempre più interessante da seguire. Certo, il film pecca a volte di alcune ingenuità nella sceneggiatura (in certi dialoghi tra il poliziotto Man e gli altri personaggi) e in alcuni snodi narrativi, sciolti forse un po' troppo facilmente, ma "Interchange" rimane un'opera degna di nota e con molti spunti d'interesse formale e contenutistico.
Antonio Pettierre
(ondacinema.it /speciale 69 festival di Locarno)

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