lunedì, agosto 29, 2016

SELEZIONE ARTIFICIALE: INTERVISTA A FABIO FOSSATI E GIOVANNI GUALDONI

Che "Selezione artificiale" ci fosse piaciuto lo avevate già capito ma l'intervista che state per leggere oltre a confermare il nostro entusiasmo è anche l'occasione per conoscerne gli autori del cortometraggio e cioè il regista Fabio Fossati e lo sceneggiatore Giovanni Gualdoni. Di quello che ci hanno detto non abbiamo voluto perdere neanche una parola convinti che l'incrocio tra cinema, fumetto e fantascienza proposto dagli intervistati sia  più che mai attuale nel nostro panorama cinematografico. 



Il fatto di utilizzare il cinema di genere era una scelta che vi permetteva più di altre di valorizzare i temi della storia o la conseguenza di una predisposizione personale?
(FABIO FOSSATI). Spesso, l'utilizzo di una metafora è la soluzione migliore per raccontare la realtà e così facendo si ha inoltre la possibilità di comunicare un messaggio che diventa fruibile grazie a diverse chiavi di lettura. Detto ciò, però, devo confessare che se “Selezione Artificiale” è un film di fantascienza lo si deve soprattutto a Giovanni. All'inizio, quando ancora le idee nella mia testa erano in fase embrionale, avevo in mente una storia ben ancorata alla realtà. È stato proprio Giovanni a convincermi ad abbracciare il genere fantascientifico e dal momento che ne sono un grande fan, mi sono detto "come ho fatto a non pensarci prima io?".
(GIOVANNI GUALDONI). Penso un po' di entrambi. Quando sceneggio, che sia per il fumetto o per il cinema - settore a cui mi sto affacciando solo di recente - non immagino il risultato finale. Da scrittore faccio il mio lavoro e creo una storia che sia equilibrata, che dia emozioni, che trasmetta un messaggio. Poi lascio che siano coloro che devono trasformare le mie parole in immagini a decidere come farlo. Credo fortemente nel lavoro di squadra e nel fatto che la somma delle competenze dei singoli possa portare a risultati inaspettati. 


Da dove sorge la necessità di trattare una tematica sociale così attuale come quella del sovrappopolamento e l'idea di ovviare a essa in questo modo?
(F.F.). In realtà la tematica del sovrappopolamento è, almeno nella mia testa, solo una delle tante chiavi di lettura di questa storia. L'idea di questo corto, che solo successivamente ho sviluppato in chiave sci-fi insieme con Giovanni, mi è venuta quando mia moglie ed io abbiamo scoperto che saremmo diventati genitori. Questa nuova consapevolezza ha suscitato in me, oltre che ovvia felicità, anche moltissime riflessioni verso tutte le coppie o madri single che sono impossibilitate ad affrontare una condizione tale. Il più delle volte, a decidere per te è la situazione in cui ti trovi e non tu. Parlo delle cosiddette scelte obbligate. Non tutti hanno la fortuna di trovarsi in una condizione agiata o che perlomeno gli dia la possibilità di scegliere una strada piuttosto che un'altra. Non tutti hanno la possibilità di decidere della propria vita, figuriamoci della vita di qualcun altro. Soprattutto in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, dove i problemi del vivere quotidiano sono la precarietà e un futuro tutt'altro che limpido. Selezione Artificiale parte da questi presupposti e li distorce, li trasforma in chiave distopica e fantascientifica ma c'è molta realtà e quotidianità in questa storia. Per questo mi sta molto a cuore. Perchè in fondo è soprattutto una grossa dedica che faccio a mio figlio Leonardo. Si il personaggio di Massimo Poggio si chiama come mio figlio. Lui è il mio presente e il mio futuro e senza di lui Selezione Artificiale non esisterebbe nemmeno.


Il mondo di Leonardo e Sofia è grigio, scarno, quasi privato di emotività. La nascita di un figlio potrebbe farlo riaccendere o basterebbe anche solamente lo slancio “rivoluzionario" della coppia, al momento della loro fatidica scelta?
(G.G.). Sono da sempre un forte appassionato di fantascienza. Anzi, potrei definirmi un "bulimico" che divora romanzi, film, serie tivù e - persino - cortometraggi che pesco su internet. Delle tante facce che ha la fantascienza, la distopia è quella che più mi affascina. Quando Fabio mi ha proposto di scrivere una storia che parlasse del problema di una coppia ad avere un figlio ai giorni nostri, io gli ho proposto subito di ricollocarla in una realtà alternativa. Questo avrebbe reso più intrigante lo svolgimento, più sottile la metafora e, lo speriamo, più incisivo il messaggio. In realtà, per essere onesti, nel corto non si parla direttamente di sovrappopolamento, anche se, dai commenti raccolti, in molti ce l'hanno visto. Quello che abbiamo immaginato, per un'eventuale sviluppo del corto in un lungometraggio, è piuttosto un mondo dove sono le risorse che stanno terminando, dove il senso di umanità sta sbiadendo e dove, di conseguenza, si è arrivati a provvedimenti quali l'articolo 451, scontata - ma non troppo - citazione e omaggio al classico di Ray Brandbury "Fahrenheit 451".
 (F.F.). Nel mondo che ci siamo immaginati, quello popolato dai personaggi di Selezione Artificiale, gli slanci rivoluzionari contro il sistema, non importa di che natura siano, significano emarginazione, condanna. Quello dei due protagonisti è uno slancio emotivo che eleva l'uomo da un punto di vista umano ma che gli ritorna indietro come un pugno in pancia. È ciò di cui ti parlavo prima, la condizione che ti rende impossibile ogni scelta. E se vai contro questa condizione, lo fai a tuo rischio e pericolo. Spero anche che il finale del corto possa portare riflessioni nel pubblico, dal momento che si tratta di un finale aperto ad ogni possibile interpretazione. Adoro i finali alla Inception dove è il pubblico a dover scegliere una propria personalissima chiave di lettura, decidendo la sorte dei personaggi secondo il proprio esclusivo modo di vedere le cose.


La tua è una regia, che pur in un equilibrio generale delle varie componenti riesce a esaltare sia gli aspetti tecnici, e intendo in modo particolare la fotografia è il suono, che il lavoro degli attori, specialmente dei due protagonisti. (domanda rivolta al regista, ndr).
(F.F.). Visto che prima ti parlavo di metafore, provo ad utilizzarne una. Per me un film è come un piatto elaborato. Bisogna essere consci che gli ingredienti sono molti e cosa ancora più importante, bisogna rendersi conto che non basta saperli abbinare. È necessario che questi siano anche di buona se non ottima qualità. Altrimenti tutti gli sforzi per ottenere un buon prodotto finale saranno stati vani. Come in ogni piatto, però, è anche giusto far emergere maggiormente alcuni sapori mentre altri vengono percepiti in maniera più lieve. Sicuramente la sceneggiatura, la fotografia e il suono come anche le musiche e il lavoro attoriale hanno un peso estremamente importante per quello che è il mio gusto e il mio stile. Però cerco di non dare mai per scontati elementi come la scenografia, i costumi e la confezione in generale dell'opera. Ad esempio ho una cura maniacale della titolazione di coda e della sua veste grafica anche se so che poi siamo in pochissimi a guardare un film fino alla fine dei titoli. Quando vado al cinema, mi ritrovo sempre solo in sala quando compaiono i loghi di chiusura!. 

La tua scrittura e' abituata a tenere conto dell'immagine per cui ti volevo chiedere, se ci sono state, quali strategie hai messo a punto rispetto al dispositivo cinematografico. (domanda rivolta allo sceneggiatore, ndr).
(G.G.). Come sto scoprendo, e come forse la gente non immagina, scrivere fumetti, narrativa o cinema sono cose solo all'apparenza simili. Si tratta di universi paralleli che a volte si toccano ma, per lo più, funzionano con leggi fisiche tutte proprie. "Selezione Artificiale" è stato il mio primo corto e, anche se ora sto lavorando su altre pellicole, scriverlo è stata una sfida appassionante. Nel fumetto e in narrativa lo sceneggiatore dispone di molti trucchi per raccontare qualcosa. Trucchi che, sullo schermo, non funzionano oppure spettano ad altri, in primis al regista, ma anche al direttore della fotografia, al compositore, al montatore, agli attori, ecc. E' davvero un lavoro di concerto dove ogni strumento deve suonare bene da sè ma anche armonizzarsi con gli altri. E in questo ammetto che Fabio è stato un ottimo direttore d'orchestra. Sperando che il mio "trombone" non abbia stonato troppo. 


A proposito del suono nel film, e mi riferisco alla scena del protagonista alla fermata del bus, mi ha colpito il carattere marcatamente espressivo attraverso il quale lo spettatore entra nella testa del personaggio e nel trauma che ha appena subito. Mi puoi dire in che modo hai lavorato a questo aspetto del film? (domanda rivolta al regista, ndr).
(F.F.). È un'idea che ho avuto sin dall'inizio, mentre lavoravo ai piani di regia. Come ti ho detto, per me il suono è estremamente importante e sono assolutamente convinto che molte volte sia in grado di raccontare le situazioni anche meglio delle immagini stesse. Nulla togliere alla fotografia ovviamente, però spesso si da troppo poco peso all'importanza del suono e alla qualità di esso, sia tecnicamente che artisticamente e narrativamente. Se all'inizio del film lo spettatore riesce ad immedesimarsi in Leonardo, il protagonista, è quasi ed esclusivamente grazie all'utilizzo narrativo che si è fatto del suono. Così è anche per la scena in cui Sofia, seduta nella sala d'attesa della clinica, si estranea da tutto e da tutti. Il punto di vista e di ascolto dello spettatore è in continuo mutamento grazie all'utilizzo delle soggettive sia video che audio in questo caso. Se inizialmente lo spettatore vede e sente con gli occhi e le orecchie del personaggio stesso, successivamente c'è un brusco ribaltamento percettivo dove il punto di vista e di ascolto dello spettatore ritornano ad essere quelli di uno scrutatore esterno alla vicenda. Lavorare al suono di “Selezione Artificiale” è stato stimolante anche per via della bravura e meticolosità di Mirko Barbesino e grazie alla forte sintonia che ho con lui. Oltre ad essere fonico di post-produzione e sound engineer del film, Mirko ha anche composto le musiche originali del corto, il che ha sicuramente dato una marcia in più al carattere sonoro di “Selezione Artificiale”.

Affrontare un genere come quello fantascientifico, pur limitatamente ad alcuni aspetti, si rivela quasi sempre appannaggio di corto e lungometraggi indipendenti. E' stato difficile mettere mano ad un genere così poco praticato in Italia?
(G.G.). È una cosa su cui abbiamo riflettuto molto, sempre in funzione di poter espandere il corto o dargli un eventuale seguito che mostri meglio questa realtà alternativa che, nella nostra immaginazione, abbiamo comunque ben delineata. Nella nostra visione la 451 non è - ovviamente - l'unica cosa fuori legge. Anzi, di crimini contro la Società se ne possono commettere molti. Per tutti, però, e qui forse è la cosa che ci interessava esplorare meglio, la punizione è sempre la stessa. Qualcosa su cui i protagonisti si trovano a riflettere, dopo l'onda di emotività e positività della loro scelta, solo negli ultimi istanti del corto. E che è poi un invito a riflettere agli spettatori stessi relativamente a quanto le nostre vite siano ormai dipendenti dagli altri e su cosa ci accadrebbe se, all'improvviso, quel cordone ombelicale venisse reciso di netto.  
 (F.F.). Diciamo che scegliere la fantascienza come genere è molto rischioso, soprattutto per piccole produzioni come la nostra. Il rischio è sempre quello di "aver provato a fare la fantascienza ma senza esserci riusciti". Noi ovviamente lasciamo che sia il pubblico a dare l'ardua sentenza! Purtroppo il discorso relativo alle produzioni italiane è un discorso complesso. Si potrebbe sintetizzare dicendo appunto che si guadagna di più e più sicuramente con commedie demenziali e che l'alternativa risiede al massimo in commedie non demenziali e film d'autore. In realtà una delle ragioni per cui non si producono quasi più film di genere in Italia è perchè costa meno doppiare i film di genere che arrivano dall'estero. Non ho nulla contro il doppiaggio, anzi, penso che la maggior parte dei nostri attori migliori siano doppiatori e ben venga il doppiaggio se può far riempire le sale. Però e qui parlo anche da spettatore, mi piacerebbe che le produzioni italiane a volte avessero più coraggio. Dopotutto in Italia, anche se non lo sa nessuno, abbiamo alcuni dei migliori professionisti nel campo degli effetti speciali e della CGI. Come anche della fotografia. Tutta gente che lavora per produzioni statunitensi o comunque estere. Quindi gli elementi per confezionare qualcosa di diverso ci sarebbero in realtà.
(Interviene di nuovo lo sceneggiatore, ndr). (G.G.). Una delle contraddizioni della fantascienza in Italia è quella di possedere moltissimi fan, tra registi e sceneggiatori, ma pochissimi - se non alcuno - tra produttori disposti a investirci. La ragione, piuttosto ovvia, è che si tratta di un genere costoso da realizzare e che non assicura i ricavi delle commedie comiche. E quando anche si riesce a realizzarla con i limitati budget disponibili nel nostro paese, la concorrenza con i lungometraggi statunitensi non lascia scampo. Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando. Produzioni televisive europee hanno dimostrato che, con delle buone idee, si possono fare cose interessanti anche senza capitali stratosferici. Basti pensare alla serie britannica "Black Mirror", a quella svedese "Real Humans", alla francese "Trepalium" o all'iberica "El Ministerio del Tiempo". Il "trucco" è sempre lo stesso: non strafare! Utilizzare quanto si ha a disposizione per mettere in scena quanto di più credibile possibile. Che è poi più o meno ciò che abbiamo fatto noi. Non una saga ambientata "tanto tempo fa in una galassia lontana lontana", ma una storia comune in un mondo che potrebbe "quasi" essere il nostro. E per questo, forse, ancora più spaventoso.

Leonardo è un quasi eroe all'interno del racconto, si evolve nella narrazione e muta radicalmente, pronto ad affrontare le conseguenze delle sue scelte contro la società in cui vive. Quanto di “eroe bonelliano” c'è in “Selezione Artificiale” e nei suoi personaggi?
(G.G.). In realtà poco o nulla. I personaggi classici Bonelli, mi riferisco a Tex e Zagor ad esempio, nascono e restano immutabili nel tempo. Questa loro caratteristica è stata in buona misura una delle ragioni del loro successo. I lettori, a distanza di anni, ritrovano un amico che sentono di riconoscere. Nei film, anche se solo dei cortometraggi, il protagonista deve compiere quello che Vogler ha riassunto nel suo "Il viaggio dell'eroe". Deve nascere in un modo e come motore degli eventi evolversi e diventare appunto eroe della vicenda. Una cosa tanto facile da dire quanto difficile da mettere in pratica. Tanto più nella brevità di un cortometraggio. Noi, ovviamente, speriamo di esserci riusciti. Ma l'ultima parola è sempre quella dello spettatore.   
(F.F.). Come giustamente ha già detto Giovanni, di bonelliano o fumettistico in genere, nei personaggi di Selezione Artificiale non c'è nulla. Leonardo si potrebbe definire un eroe come tutti coloro che hanno il coraggio di riconoscere i propri limiti e superarli avendo anche un effetto positivo su chi gli sta vicino. Anche se penso che il vero eroismo di Leonardo sia quello di (ri)prendere coscienza della sua condizione di compagno nonché di futuro padre, accettarla nonostante gli venga imposto di non farlo e andare contro tutto e tutti pur di fare la cosa giusta per se stesso e per la sua famiglia.

Vi siete ispirati al racconto "Il marchio dell'invisibile" di Robert Silverberg? Quanto vi ha influenzato la letteratura distopica come quella di Ballard?
(F.F.). All'interno di “Selezione Artificiale” vi sono molte ispirazioni. Quella più sentita è sicuramente “Fahrenheit 451”, del quale facciamo una citazione più che evidente. Sono un fan della fantascienza ma devo ammettere che la cosa riguarda più che altro il grande schermo. La letteratura sci-fi, Fahrenheit 451 a parte, la seguo di meno perciò mi è anche più difficile trarne ispirazioni. È Giovanni l'esperto in questo caso!
(G.G.). Conosco il racconto di Silverberg, anche se, lo ammetto, senza averlo letto. Ho letto invece "Condominium" di Ballard e ammirato l'ottima trasposizione cinematografica di Wheatley, "High-Rise". Di nuovo, però, devo dire che le fonti d'ispirazioni a cui ho fatto riferimento sono altre. Il marchio sulla fronte è la versione moderna della lettera scarlatta che le donne considerate adultere dovevano indossare nella Nuova Inghilterra puritana del XVII secolo. Questo, unito al detto "la colpa ti si legge in faccia". Ma con anche un sottile richiamo ai numeri che i nazisti tatuavano sulle braccia dei prigionieri dei campi di sterminio. Inizialmente, infatti, il 451, che doveva essere un codice a barre, sarebbe dovuto stare sul braccio, ma poi ci è venuta l'idea di apporlo in fronte, così da risultare molto più scenografico e d'effetto. Per l'Italia distopica che fa da sfondo al corto, invece, i riferimenti sono molteplici, alcuni più "nobili", come "1984" di Orwell, altri più "ludici", come la trilogia young adult "Matched" di Ally Condie e della quadrilogia di "The Giver"di Lois Lowry. Ma anche a film come "Equilibrium" di Kurt Wimmer o al più recente "Equals" di Drake Doremus. Mondi dove l'individualità è stata sacrificata al prezzo - o, meglio, con il pretesto - della sicurezza collettiva. Forse una delle forme di dittatura più spregevoli, dove i prigionieri sono i carcerieri di se stessi.

Avete preso in considerazione altri lavori o avete apprezzato alcune pellicole dello stesso genere uscite, più o meno recentemente nelle sale italiane (ad esempio “Lo chiamavano Jeeg Robot” o “Index Zero”)?
(F.F.). Ho da sempre, come tutti del resto, dei punti di riferimento, registi o opere che ammiro e da cui prendo spunto. Se ci pensiamo bene è già stato pensato e creato tutto, in ogni settore, non solo nel cinema. Ciò che bisogna fare è prendere spunto da ciò che è già stato fatto e plasmarlo sotto una luce diversa che è solo nostra. Solo in questo modo riusciremo a creare qualcosa di nuovo. Voglio dire, una sedia è pur sempre una sedia ma in quanti modi è stata disegnata? Purtroppo non ho ancora avuto modo di vedere “Lo Chiamavano Jeeg Robot” ma spero di rimediare presto dal momento che mi incuriosisce molto!
(G.G.). Il corto, in realtà, ha avuto una gestazione piuttosto lungo. Il soggetto risale a circa 2 anni fa e all'epoca non conoscevo ancora Mainetti (se non come attore), che ho avuto il piacere di incontrare solo qualche mese fa, mentre di "Index Zero" mi hanno accennato qualcosa da pochissimo. Quest'ultimo, fra l'altro, mi pare non sia ancora stato distribuito. Il che, da quello che ho visto, mi spiace molto perché mi sembra davvero un gran bel lavoro. Quindi, no, i riferimenti per "Selezione Artificiale" affondano in produzioni più distanti nel tempo: prima tra tutte il già citato "THX 1138", passando per "La fuga di Logan" e arrivando a "Brasil". Il tutto, ovvio, con le dovute distanze tra quei capolavori e la nostra modesta storia. 

Quali sono i registi e le opere che più sentite vicino?  Penso a “Gattaca" di Andrew Niccol oppure a “I figli degli uomini” di Alfonso Cuaron vedendo il vostro film.
(F.F.). Sicuramente “Selezione Artificiale” rimanda a un genere ben preciso e l'associazione con opere che trattano lo stesso argomento viene quasi spontanea. “Gattaca" e I Figli Degli Uomini sono produzioni davvero molto grosse. Il nostro è un piccolo corto e speriamo che un giorno possa essere sviluppato in un lungometraggio. Mi lusinga molto che tu lo abbia messo a confronto con due esempi del genere. “Selezione Artificiale” deve sicuramente qualcosa a film come “THX 1138” o “Equilibrium" che a sua volta era già un rifacimento di “Fahrenheit 451”, se vogliamo. A dir la verità c'è anche una piccola citazione a “Terminator 2 Judgment Day”, anche se in maniera più che velata. Ecco, come Giovanni, anche io sono un fan delle opere più che degli autori. Se, però dovessi citarti dei nomi ti direi James Cameron, Christopher Nolan, Ridley Scott giusto per menzionarne qualcuno. Come opere invece mi sento di dirti “The Terminator” e “Terminator 2 Judgment Day” ovviamente, “The Matrix”, “Mad Max Fury Road”, “Alien”, “Aliens”, “Blade Runner”, “Inception”, “Interstellar”, la trilogia originale di “Star Wars” e alcuni esempi di cinecomics moderni dove la fantascienza ha decisamente un ruolo chiave anche se trattato con leggerezza come nei film Marvel o DC. “Guardians Of The Galaxy” e “Iron Man” sono un esempio. O dove la fantascienza non c'entra nulla come nella Dark Knight Trilogy.

(G.G.). Si tratta, ognuno per il suo verso, di due grandi film. "Gattaca", in particolare, ha influenzato moltissimi registi e sceneggiatori - me tra i tanti - mostrando un tipo di fantascienza elegante, anziché roboante. Impossibile, quindi, non amarlo. Riguardo "I figli degli uomini", sono combattuto. Come spettatore mi è sicuramente piaciuto, ma come sceneggiatore non mi ha dato quanto altre pellicole. Più che i registi o gli scrittori, infatti, io prediligo appassionarmi alle opere, a dispetto di chi le ha realizzate. Non credo infatti che, rarissimi casi a parte, qualcuno sia in grado di scrivere o dirigere sempre dei capolavori. O, al contrario, solo prodotti commerciali di bassa lega. Un esempio su tutti è Carpenter, regista di "La cosa" ma anche di "Fantasmi da Marte". Ma se dovessi fare qui un elenco di opere che sento vicino al mio gusto, sarebbe una lista infinita. Restando nel campo della distopia mi limito a citarne una, recente, che ho trovato davvero magnifica e che dimostra come si possano girare opere originali, taglienti e appassionanti senza la carta di credito di Lucas o il conto di banca di Spielberg. Parlo di "The Lobster" scritto e diretto da Yorgos Lanthimos, e ambientato in un mondo dove non si può essere single... pena la trasformazione in animali.
di Alessandro Sisti, Antonio Pettierre, Carlo Cerofolinii

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