lunedì, febbraio 13, 2017

50 SFUMATURE DI NERO

50 sfumature di nero
di James Foley
con Jamie Donan, Dakota Johnson, Kim Basinger
USA, 2017
genere, drammatico, sentimentale
durata, 118'



Ne è passato di tempo da quando in America ci fu chi pensò che i tempi fossero maturi per sdoganare il sesso dalla censura che impediva di mostrarlo senza veli nelle sale del circuito ufficiale. Era il 1972 quando Linda Lovelace con il suo "Gola profonda" tradusse in immagini le fantasie dei maschi americani facendo della sua bocca un strumento di piacere che oltre a solleticare l'immaginario della controparte maschile prefigurava una rivoluzione culturale e del costume di fatto mai avvenuta. Se così non fosse stato oggi di un film come "50 sfumature di nero" probabilmente non sentiremo neanche parlare. E invece, sulla scia del ritrovato perbenismo che da allora fino ad oggi ha fatto di Hollywood la terra promessa del proibizionismo sessuale, capita anche che un film senza alcuna pretesa diventi oggetto di attesa "messianica" per avere l'ardire di condire con le dovute fantasie una storia d'amore complicata come lo è qualsiasi relazione con un altro essere umano. Perché prima che con gli altri, ci dice il film in questione, bisogna andare d'accordo con se stessi e fare pace con quei demoni interiori che nel caso del miliardario Christian Grey (il modello irlandese Jamie Dornan) sembrano fatti apposta per tormentarne la relazione con la dolce Anastasia Steele (la morbida Dakota Johnson), convinta, come molte donne, di poter cambiare/salvare il proprio uomo inducendolo a desistere dal trarre piacere nell'infliggere punizioni alle sue amanti.

Detto che nell'America di Trump a mettere al riparo i produttori di "50 sfumature di grigio" dalla nuove possibili ondate di puritanesimo è il sotto testo del film che individua nelle pratiche dell'arte amatoria l'origine di tutti i mali e nell'unione matrimoniale - quella a cui Anastasia anela per lei e il suo cavaliere - l'unica panacea capace di mettergli fine, alla luce di ciò che vediamo sullo schermo non ci vuole molto a intuire quale sia la direzione della storia e di conseguenza a smascherare la finta trasgressione imposta dagli obblighi propagandistici. Per esserne sicuri, senza cercare motivazioni più sottili, basterebbe soffermarsi sullo stile di regia (di quel James Foley che pure a inizio carriera aveva firmato gli ottimi "A distanza ravvicinata" e Americani"), estetizzante alla maniera di quel cinema anni 80 (soprattutto dell'Adrian Lyne di "9 settimane e mezzo") che "50 sfumature di nero " ricalca in certi passaggi girati in forma di videoclip e soprattutto nella ricerca di una perfezione plastica e patinata dei corpi - scolpiti da una fotografia che soprattutto nel caso di Dornan enfatizza la tonicità della muscolatura - come pure nell'artificialità degli ambienti che, se da una parte servono ad assecondare lo sguardo dello spettatore, certamente a proprio agio con oggettistica e status symbol quotidianamente rintracciabili negli spot pubblicitari di orologi, macchine sportive e abiti alla moda, dall'altra non gli offrono la possibilità di ritrovare un minimo di autenticità in ciò che vede per un inconsistenza materica che emerge soprattutto quando assistiamo ad amplessi che sembrano più il risultato di un sessione fotografica che di un qualche tipo di contatto fisico tra le parti in causa, troppo asettiche e composte per sembrare verosimili. Considerato poi la natura commerciale del lungometraggio - realizzato per un pubblico generalista - con le limitazioni imposte al filmabile dalla necessità di ottenere un rate favorevole era chiaro che le sorti "artistiche" di "50 sfumature di nero" risiedessero per la maggior parte nella capacità delle altre componenti (prima di tutto della sceneggiatura) di compensare ciò che mancava necessariamente alle immagini.

Da questo punto di vista il film non riesce però a centrare l'obiettivo perché, lungi dal presentare una qualche variante drammaturgia ai dubbi della protagonista, perennemente in bilico tra l'accettare la personalità del suo amante o tirarsene indietro, la narrazione di fatto risulta orizzontale e priva di una qualsivoglia progressione che non sia quella di arrivare con motivi risibili se non alla pace dei sensi (peraltro auspicabile visti i problemi derivati dall'incontinenza sessuale dei due protagonisti) almeno al raggiunto conformismo delle dinamiche di coppia tra Christian e Anastasia. All'inseguimento di un romanticismo che stenta a decollare per i motivi appena enunciati "50 sfumature di nero" in termini di fantasia e pure di sorprese paga la sorte che da sempre spetta al secondo episodio di ogni trilogia cinematografica, contrassegnati dalla transitorietà che solitamente anticipa il carosello finale.
(pubblicato su ondacinema.it)

5 commenti:

Patalice ha detto...

io la saga sfumata non la prendo in considerazione
non ci penso proprio...

nickoftime ha detto...

e il paradosso è che proprio la mancanza di sfumature costituisce una delle pecche del film..

Elena ha detto...

Mah.
Io avevo visto il primo ma mi era piaciuto così tanto (...) che non ricordo assolutamente niente.
Dubito che riproverò con il secondo e questa recensione conferma la scelta.

nickoftime ha detto...

Come dicevo nelle trilogie cinematografiche il secondo capitolo è quasi sempre il capitolo più debole. Qui però il peggioramento parte da un primo episodio già debole per cui la scarsa qualità di questo 50 sfumature di nero era scontata già prima di vedere il film. In questo senso i giudizi negativi sul film sono tutt'altro che sorprendenti...

Lidia ha detto...

Sinceramente non me la sento di essere così indulgente. Non mi riferisco alla questione prettamente cinematografica, ma a quella contenutistica. A tarda età tocco con mano il fatto che se una donna non è femminista vuol dire che non sa difendersi o che -per fortuna o sfortuna- c'è qualcun altro/a che lo fa per lei.
Il contenuto del prodotto culturale, libro e film, quindi, è un enorme passo indietro per le donne. L'amore di Grey sono in definitiva violenze domestiche patologiche spacciate per sentimenti di cura, anche se morbosa. Pare che vengano declassati reati come le percosse, le minacce, lo stalking e la violenza stessa e riconfezionati in formato accettabile, con il velo di mille scusanti, come "alla fine lui cambia" oppure, "ma a lei piaceva" (ma nel testo ci sono molti passaggi in cui l'atto sessuale viene indotto dall'alcol e da pressioni costanti anche di fronte a ripetuti no).
Molte donne se ne sono accorte, a molte donne questa cosa non è piaciuta.
Non si tratta solo di povertà intellettuale, diffusa e ormai quasi scusabile, ma di non tanto sottile alimentazione della cultura patriarcale che determina una infelice e dolora condizione per le donne. Sinceramente non mi va di liquidare questo film solo come "un bnrutto film".
grazie per la possibilità di esporre la mia posizione.