martedì, marzo 28, 2017

YOUR NAME

Your Name
di, Makoto Shinkai
genere, animazione
Giappone, 2016
durata, 106'

Ma quando i due si sfiorano il pavimento cede
...
La notte è sempre giovane
la notte è già iniziata
Arriva la cometa
e la cometa è andata
- Elettrojoyce -


Dovessimo collocare, concentrandolo in un punto, lo stato sentimentale della moderna, avanzata e libera comunità occidentale (di fatto perlopiù ridotto all'allucinazione d'uno pseudo ottimismo petulante e fondamentalmente cretino), esso s'adagerebbe mesto in prossimità del rigor mortis al centro degli assi cartesiani. La cosa, di per sé, potrebbe perdersi senza troppi patemi nelle pieghe d'un qualche tipo di aneddotica documentale non fosse che, riguardandoci molto da vicino, prima o poi, si presterebbe ad un inopinato recupero con conseguente riesame per via della sua manifesta incompletezza, ovvero l'evidenza per cui altrove, in particolare in quell'altro mondo che tuttora è l'Oriente, la prassi (fino ad oggi o non del tutto) non funziona così.

Piccola ma luminosa testimonianza ne è "Your name", animazione intrisa di smarrimenti, di stupefatta ingenuità eppure testardamente aperta alla possibilità, alla promessa implicita contenuta in ogni legame umano - lambito, tessuto, spezzato e forse riannodato - curata dal poco più che quarantenne Shinkai. Nella parabola esistenziale tracciata in parallelo al passaggio (e alla catastrofe potenziale prima, inverantesi poi) di una cometa, sulla cui linea si ritrovano due liceali - Mitshua, riflessiva e inquieta, cresciuta orfana di madre e con un padre assente nel villaggio (di fantasia) di Itomori; Taki, riservato e laborioso adolescente, viso-nella-folla nel brulicare indifferente della Tokyo contemporanea - al punto di risvegliarsi al termine del sonno quotidiano uno nel corpo dell'altra, meravigliandosi e impaurendosi di primo acchito, fraternizzando pian piano con la nuova condizione fino a scambiarsi strategie di comportamento sociale, quindi dimenticando per tornare ai rispettivi ruoli e contegni, traspare senza reticenze - nella sospetta fiducia che bene o male si ripone nell'altro; nell'ascolto offerto ai segni provenienti dall'ambiente naturale (al valore metaforico che essi acquisiscono nel loro circolare riproporsi); nella strana indulgenza ancora concessa al lezioso o al patetico; nella coscienza profonda e non di rado tragica del trascorrere del tempo; nella ricerca, proprio al tempo relata, della misura, dell'armonia tra gesto e intenzione - tutta la distanza psicologica che separa un universo di riferimenti culturali, spirituali e morali, per quanto assimilati o diluiti dal materialismo imperante, dalla cinica e spesso compiaciuta rassegnazione che alligna in gran parte di ciò che resta del sentire nelle terre-del-tramonto.


Mitshua e Taki si sentono tanto quanto si cercano, pur non essendosi mai conosciuti oltre la dimensione del sogno, in una sorta di serendipità sovradimensionata a cui l'astro fatale, inscrivendo le vicende entro l'alone di una superiore necessità, conferisce, allo stesso tempo, la dimensione di racconto esemplare e l'estro imprevedibile di un magico capriccio del caso. Tale prepotente fantasmagoria passionale non genererebbe però lo stesso impatto, smarrendosi magari nella ripetizione o nel melenso, se non fosse sostenuta, per un verso, da una sotterranea tensione alimentata vuoi da uno scarto, un mancanza, di cui i due ragazzi avvertono spesso il peso ("Sento che mi manca qualcosa", ripetono), vuoi dal volgere, sebbene su piani temporali sfalsati, della traiettoria della cometa; per l'altro, da uno splendore visivo e una raffinatezza immaginativa che per molteplici aspetti lasciano ammirati. Di rado, infatti e ad esempio, ci si è sforzati di rendere così vivi e come immortali dal lato dell'esuberanza, i colori dell'autunno: variazioni rugginose, sull'ocra, sul carminio, si rincorrono concordi tra rami d'alberi monumentali nel paesaggio rurale nipponico opponendosi - sfidandole per contrasto - alle geometrie altere e alle tinte razionali della megalopoli, come al caos delle sue sovrapposizioni o all'insipienza immemore dei suoi degradi.


Shunkai, come già nel precedente "Il giardino delle parole" (qui citato nell'insegna del ristorante italiano in cui presta servizio Taki dopo lo studio), si conferma inoltre agguerrito sostenitore della politica del dettaglio: là, per dire, era un'idrometra a sfruttare la tensione superficiale dell'acqua di un laghetto pubblico; qui, è la trama cangiante dei singoli fili che formano l'intreccio in divenire su un telaio. Più in generale, è ribadita l'attenzione ai gesti minimi, agli oggetti di uso quotidiano, alla manualità dell'attività umana (sia Taki che Takao, protagonista de "Il giardino delle parole", coltiva tra i propri interessi il disegno), alla stratificazione invadente degli agglomerati postindustriali, ogni aspetto a caratterizzare la predilezione per una manciata di temi ricorrenti: l'adolescenza come complicata età di transizione con annesse prime impreviste delusioni; la famiglia unità spesso mal funzionante, incubatrice di precoci solitudini e pressanti desideri di fuga; l'immutabilità indolente dei rituali agresti e l'anonimato senza scampo delle circolarità metropolitane. Non ultima, l'intuizione d'indagare il flusso non lineare del Tempo, unica dimensione affine a quella del lavorìo interiore, passo asincrono che permette a Mitshua e Taki, nonostante tutto, di sottrarre un po' di futuro alla Morte.
TFK

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