martedì, ottobre 24, 2017

MANIFESTO


Manifesto 
di Julian Rosefeldt
con Cate Blanchett
Austria, Germania, 2017
genere, sperimentale
durata, 94'


Che a Cate Blanchett piaccia far perdere le proprie tracce, scomparendo all’interno dei personaggi che interpreta non è un mistero. A farcelo rilevare è la riservatezza di un carattere gentile ma schivo, e soprattutto le tappe di una carriera in cui a creare lo scarto tra performance di egual pregio sono proprio quei film (“Elizabeth” e Io non sono qui”) in cui l’attrice australiana porta alle estreme conseguenze il trasformismo di cui è capace, apparendo dapprima nelle vesti (regali) della regina d’Inghilterra più nota della storia, e poi nei panni (maschili) del famoso menestrello del rock. Maschere più che persone, i caratteri impersonati dalla Blanchett sono il frutto di un lavoro d’astrazione volto a restituirne più l’idea che le sembianze fisiche. Sotto questo profilo la presenza dell’attrice in un film come quello diretto dal connazionale Julian Rosefeldt appare un approdo naturale, avendo “Manifesto”, come presupposto, quello di enunciare i contenuti di diversi manifesti artistici e ideologici (da quelli dei surrealisti e futuristi al Dogma di Lars von Triers la lista è davvero lunga), mettendoli in scena attraverso la presenza di 13 diversi personaggi. Nato come istallazione museale e trasformatosi solo in un secondo momento in lungometraggio cinematografico, “Manifesto” si gioca le proprie chance di successo sulla capacita di riuscire a rendere interessante uno spettacolo privo di storia, e in cui i dialoghi altro non sono che i monologhi pronunciati dalla crew femminile messa insieme dall’incontenibile fregolismo della bionda fuoriclasse. Trasformando la sua metropoli in un gigantesco non luogo, e trasmettendo l'idea del logos che si fa carne e del pensiero che si fa azione attraverso brevi introduzioni fornite da piani sequenza che cominciano in cielo e finisco per le strade e nelle abitazioni dei protagonisti, "Manifesto" fa dello straniamento prodotto dall'inusualita' del contesto il proprio punto di forza. Il tutto senza perdere neanche per un momento il taglio elitario di un’operazione che poco si concede e molto vuole. 
Carlo Cerofolini

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