giovedì, luglio 19, 2018

1978/2018, UN'ONDA LUNGA QUARANT'ANNI: UN MERCOLEDI DA LEONI


"1978/2018, un'onda lunga quarant'anni: Un mercoledì da leoni"
di, John Milius
USA, 1978
genere, drammatico
con Jean Michael.Vincent, William Katt, Garey Busey,
durata, 120’


Se la vicenda umana è terribile anche perché tende a ripetersi con una misteriosa quanto inesorabile propensione al peggio, allora forse non resta che stringere i denti e misurarsi, scuotere la volontà e mettersi faccia a faccia con le forze più arcaiche e più esigenti - quelle della Natura - che da un lato consentono la nostra esistenza e dall'altro la vincolano entro limiti invalicabili. Affrontare i rischi, dunque, a occhi aperti, e alla fine raccogliere ciò che resta senza guardarsi indietro. Questo - a spanne - lo spirito della presaga elegia narrata da J.Milius nel 1978 in "Big wednsday"/"Un mercoledì da leoni”.

Segnato dallo svolgersi delle stagioni e contrappuntato da quattro grandi mareggiate (pilastri temporali nemmeno troppo metaforici relativi a quattro momenti importanti della storia americana: estate del ’62/già in bilico sul tragico piano inclinato al punto più basso del quale si sarebbe aperta la voragine dell’assassinio di Kennedy; autunno del '65/escalation della guerra in Vietnam con intensificazione dei bombardamenti e invio di fanteria e truppe aviotrasportate; inverno del '68/l'offensiva del Tet - il nuovo anno lunare vietnamita - e la sanguinosa battaglia di Hue; primavera del '74/lo scandalo Watergate e le dimissioni del presidente Nixon), il film racconta, a partire dai primi anni '60, le vite di tre amici californiani campioni di surf, Matt/J-M.Vincent, Jack/W.Katt e Leroy/G.Busey, che crescendo insieme condividono tutte le esperienze fondamentali preludio per il passaggio all'età adulta. Come i pari età, infatti, sono pieni di energia, sono stupidi, confusi, con idee vaghe sulla vita e sul resto. Anche loro sono certi che la gioventù non finirà mai, che l'estate durerà per sempre regalandogli, prima o poi - così, per niente - l'illusione più grande: intrappolare l'incanto selvaggio delle cose, renderlo tutt'uno con i muscoli scattanti, le onde morbide e insidiose e il sorriso delle ragazze.


La storia, scritta da Milius con D.Aaberg, segue il processo di progressiva disillusione che porterà i tre e il resto dei loro amici - ma potremmo parlare senza esagerare di un'intera generazione - ad allontanarsi l'uno dall'altro, un tanto ogni giorno, quasi impercettibilmente (qualcuno scompare, qualcuno si sposa, qualcuno va in guerra, qualcuno muore), per ritrovarsi poi un'ultima volta - il mercoledì fatale di una gigantesca mareggiata, appunto - sulle spirali d'acqua dell'oceano che adesso sembrano chiudersi più in fretta, respingere, negare la magia di quell'equilibrio sospeso che faceva scivolare dentro il corpo di un'onda come un abbraccio perfetto, e alla fine, probabilmente, sparire, perché è arrivato il tempo di passare la mano, con lucidità e fermezza, e non perché ciò sia giusto, opportuno o imposto da un'autorità politica o spirituale, ma perché lo vuole la Vita. Milius, in costante simmetria tra epica e lirismo trova, nel ritmo ciclico della narrazione, nella freschezza e leggerezza di riprese ancor oggi strepitose (la fotografia è del leggendario B.Surtees), la chiave per virare uno dei cardini dell'immaginario americano - l'uomo solo di fronte alla natura, quindi di fronte a sé stesso - alla malinconia, alla rinuncia come prova di maturità, alla sconfitta come occasione per leggere il mondo da un altro punto di vista, non necessariamente conciliante.

Incastrato fra due giganti (coevo è "Il cacciatore" di Cimino; del 1979 "Apocalypse now" di Coppola, da Milus stesso sceneggiato) e incautamente accostato al di molto successivo - 1991 - "Point break" della Bigelow, di cui non condivide né il furore adrenalinico della messa in scena, né le suggestioni più o meno filosofiche legate al surf (nel film di Milius il surf è un pretesto per stare con gli amici), tanto meno un certo cinismo di fondo, "Un mercoledì da leoni", nonostante il quasi totale oblio che lo avvolge, s'impone ancora, all'interno di un cinema classico, di alto intrattenimento, come una delle più sentite e a volte struggenti riflessioni sulla giovinezza, sul corpo che materialmente produce la Storia, sul tempo perduto, sull’amicizia.
TFK

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