La nuova edizione del Locarno Festival conferma la sua predilezione cinefila con una selezione di film e di autori tutta da scoprire
E' tipico dei festival, soprattutto di quelli maggiori, sottolineare la propria cinefilia menzionando il numero di opere prime e di registi sconosciuti presenti in cartellone a discapito dei "soliti noti". La realtà, come sappiamo, è ben diversa perché è oramai acclarato che, accanto al gusto artistico dei selezionatori, i festival per prosperare o anche solo per sopravvivere debbano tenere conto delle logiche industriali e di potere che spesso impongono la presenza di titoli prodotti dalle Major e dai grandi network di distribuzione via internet, per i quali le kermesse festivaliere sono sempre di più una rampa di lancio per promuovere i propri film. In questo senso la 71esima edizione del Locarno Festival che sta per iniziare - l'ultima diretta da Carlo Chatrian - ci ricorda che esistono ancora delle eccezioni rappresentate appunto da una manifestazione come quella ticinese, nella quale lo scouting di nuovi talenti funziona meglio che da altre parti. Se non ci credete, provate a dare un'occhiata al concorso internazionale, quello che assegna i premi maggiori, e vedrete che a parte "Gangbyun Hotel" del coreano Hong Sang-soo, beniamino del festival e qui vincitore nel 2015 ("Right Now, Wrong Then") è difficile, se non impossibile, trovare riferimenti a qualcosa di conosciuto o di già visto. Una radicalità che si segnala anche nella fruizione stessa delle opere selezionate se è vero che la durata fiume (338') di un film come "From What is Before" di Lav Diaz (vincitore nel 2014) rischiano di essere poca cosa di fronte agli 808' minuti dell'argentino "La Flor", vera e propria sfida anche per gli appassionati più incalliti.
A fare da antidoto a cotanto rigore non mancano le alternative più leggere che qua e la fanno da contorno al programma e funzionano da grancassa in grado di attirare le attenzioni di giornali e televisioni. Da una parte quindi gli incontri con il pubblico di una (ex) star come Meg Ryan e con un beniamino del cinema indipendente del calibro di Ethan Hawke, presente fuori concorso con la regia di "Blaze" e ancora con uno dei massimi autori del cinema europeo, Bruno Dumont di cui si avrà modo di vedere in prima mondiale la serie "Coincoin et les z'inhumains".
A confermare il trend del festival concorre la squadra degli autori italiani abituati a frequentare Locarno con film scomodi (ricordate "Sangue" di Pippo Del Bono?) e poco accondiscendenti rispetto al pensiero dominante in voga nel nostro paese. Quest'anno toccherà ad Alberto Fasulo mantenere alta l'intransigenza con il suo "Menocchio" nel quale si racconta l'Italia della Controriforma e del Concilio tridentino attraverso la storia di un presunto eretico realmente vissuto nella fine del Cinquecento. Tra i titoli che non mancheranno di far discutere segnaliamo "Ora e sempre riprendiamoci la vita", documentario sugli anni 70 che segna il gradito ritorno di Silvano Agosti, autore di quelli che oramai non esistono già. Chiudono la partita Diego Abantantuono protagonista (in Piazza Grande) de "Il mio miglior nemico" e, tra gli altri, "L'Ospite" di Duccio Chiarini (sempre in Piazza Grande) incentrato sulla crisi di un rapporto sentimentale e ancora (Fuori concorso) di "Sembra mio figlio" dramma famigliare di Costanza Quatriglio ambientato nell'Afghanistan dilaniato dalla guerra. I consuntivi si faranno alla fine, ma anche quest'anno siamo di fronte a un'edizione del Locarno Festival tutta da scoprire e noi come sempre ve la racconteremo con il nostro diario giornaliero.
Carlo Ceofolini
(pubblicata su ondacinema.it/ speciale Locarno 71 - Diario giornaliero)
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