A Land Imagined
di Yeo Siew Hua.
con Peter Yu, Jack Tan, Luna Kwok, Kelvin Ho.
genere, drammatico
Singapore,Francia, Paesi Bassi, 2018,
durata, 92’
Se nella scorsa edizione la presenza massiccia del cinema di genere era stato una delle novità più sorprendenti del programma, quest'anno a livello di concorso ufficiale la categoria in questione era ancora latitante. A rompere il digiuno ci ha pensato il regista di Singapore YEO Siew Hua con un'opera che solo in apparenza si risolve nella messa in campo della classica indagine investigativa, giustificata dalla scomparsa di un personaggio e focalizzata sulle ricerche messe in campo da chi ha il compito di ritrovarlo. Siccome la vittima di turno è scelta nell'ambito del sottoproletariato cinese assoldato dalle compagnie industriali che lavorano nelle aree di recupero di Singapore (presenti per rubare terre alle acque dell'arcipelago ed estendere i metri quadri di suolo calpestabile), la storia di "A Land Imagined" si sviluppa quasi subito lungo la direzione di un doppio binario, con la trama poliziesca che rappresenta il motore narrativo, quello che da cui si dipana il detour sensoriale voluto dal regista per amplificare gli orizzonti del suo film, doppiata da un sottotesto politico che ragiona sulle sfruttamento degli immigrati presenti nelle industrie del suo paese e sul sacrificio di vite umane necessario alla messa in opera di nuove aree edificabili.
Considerato che stiamo parlando di una città che è tra i principali centri finanziari del mondo e di una comunità in assoluto tra le più cosmopolite, la scelta di rappresentarla attraverso uno dei suoi aspetti più inquietanti e meno conosciuti non è casuale. Se poi ci mettiamo che a essere protagonisti sono due tipi umani che per necessità (l'operaio) e predisposizione (il detective) si collocano ai margini della società, si capisce quale sia la misura e la forza con cui il film in questione si oppone alla visione dominante delle cose. Ed è proprio la percezione, reale e immaginaria, dell'esistenza dei due protagonisti e la prospettiva dei rispettivi sguardi a far scattare il cortocircuito narrativo che spinge "A Land Imagined" verso territori in cui niente è vero e tutto è permesso: innanzitutto al regista, che approfitta di questa libertà per alimentare un gioco di specchi nel quale a fare da filo conduttore è il tema del doppelganger, abbinato tanto alla trama, replicata da punti di vista "uguali e diversi", quanto ai personaggi, destinati ad apparire alla fine del "falso" inseguimento messo in campo dall'investigazione come le due facce della stessa medaglia.
Detto che, come capita con i film di David Lynch - i deragliamenti dei protagonisti così tanto ricordano - il modo migliore per gustare "A Land Imagined" non è la tentazione di mettere ordine ai suoi continui detour narrativi, ma piuttosto quello di lasciarsi trasportare dalle sensazioni prodotte dalla fantasia del suo tessuto visivo, l'impressione è di trovarsi di fronte a un regista di talento che però si affida più di quel che dovrebbe alla cinematografia preesistente e, per esempio, a quella del primo Wong Kar-wai, invece di "rischiare" di suo. Il risultato è esteticamente affascinante, ma fin troppo scoperto nei suoi intenti.
Carlo Cerofolini(pubblicata su ondacinema.it)
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