venerdì, ottobre 05, 2018

OPERA SENZA AUTORE


Opera senza autore
di Florian Henckel von Donnersmarck
con Tom Shiling, Sebastian Koch, Paula Beer
Germania, 2018
genere, drammattico
durara, 188' 


Nel dibattito che imperversa a proposito delle forme assunte dal cinema con l'avvento delle nuove tipologie di distribuzione si discute spesso su come i nuovi formati abbiano accelerato il processo di trasformazione che ha visto travasate nei prodotti destinati alla fruizione casalinga molte delle convenzioni utilizzate dai film realizzati per il grande schermo. A questo proposito è ancora una volta la Mostra del cinema a offrirci uno spunto su cui riflettere, inserendo nel concorso ufficiale uno di quei lungometraggi che di solito fanno storcere la bocca ai puristi, scontenti di ritrovarsi di fronte a una narrativa di facile consumo come quella proposta da "Opera senza autore" del regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck, passato alla storia per aver diretto "Le vite degli altri" e purtroppo "The Tourist". Premesso che la visione di un'esistenza da romanzo appartiene di diritto all'esperienza dell'autore tedesco per averla vissuta in prima persona, dapprima nella fiabesca escalation con il quale il suo film d'esordio arrivò alla vittoria dell'Oscar (per il miglior film straniero 2007) e successivamente, per la possibilità di reclutare due star planetarie come Johnny Depp e Angelina Jolie, ciò che più importa qui è in che modo il dispositivo messo a punto dal regista contribuisca ad ampliare i punti di vista sull'argomento: a dimostrare cioè che l'osmosi in questione funzioni anche al contrario, ovvero che al cinema sia possibile ritrovare meccanismi e tecniche tipiche delle serie tv. 


A far di "Opera senza autore" un esempio in tal senso non sono i centottantotto minuti della sua lunghezza, durata a cui si sono avvicinati molti dei titoli più autoriali (e autorevoli) del concorso ma, appunto, la serialità narrativa che presiede allo sviluppo della storia. Al contrario, la sua struttura temporale si presta non poco a questa tecnica per il fatto di abbracciare tre epoche diverse, passando dalla Germania nazista impegnata nel secondo conflitto bellico al periodo della cosiddetta Guerra Fredda, segnata dal frazionamento del paese in due stati, fino ad arrivare agli anni 60, con l'intento di seguire le vicissitudini di Kurt Barnert, la cui vita si divide tra l'amore per la moglie Ellie (la Paula Beer di "Frantz"), i contrasti con il dispotico suocero (il professor Seeband interpretato da Sebastian Koch) responsabile - a sua insaputa - della morte della zia, e soprattutto la tormentata ricerca di un'identità artistica. Come si intuisce l'originalità non è certo il tratto principale di "Opera senza autore": a ben vedere, per struttura narrativa, sensibilità del protagonista e implicazioni che i cambiamenti storici hanno sul piano personale, il lavoro di Donnersmarck ricorda, da vicino "Heimat 2" del connazionale Edgar Reitz. La differenza sostanziale è però un'altra e cioè che assecondando la moda del momento, a risultare seriale è innanzitutto la fenomenologia dei personaggi, continuamente aggiornata al succedersi degli eventi. 

Dando per scontata la centralità visiva e il monopolio narrativo dei personaggi, il regista riesce a fidelizzare il pubblico alle psicologie dei personaggi pur all'interno di un contenitore meno predisposto di altri a farglielo fare. Per riuscirci Donnersmarck rinuncia alla ricostruzione di costume optando per un'ambientazione fatta di interni borghesi e dove le cesure storiche non sono annunciate dalla messinscena del grande affresco epocale, quanto piuttosto dai riflessi di queste sul privato delle persone e sul modo in cui Kurt si rivolge alla materia artistica. E, ancora, mescolando elementi concreti, riferiti a fatti realmente accaduti, come fu lo stermino delle persone disabili effettuato dal Terzo Reich per guadagnare posti letto negli ospedali, ad altri di pura fantasia, come la corrispondenza tra il testamento spirituale della zia di Kurt e gli ideali che scandiscono l' esistenza del ragazzo. Senza alcun intento realistico (come testimonia la scelta della fotografia iperreale di Caleb Deschanel) che non sia quello dei sentimenti messi in seno ai personaggi, capaci di regalarci una delle scene più struggenti e toccanti tra quelle viste alla Mostra, e qui ci riferiamo al drammatico congedo del professor Seeband nei riguardi della sua paziente, "Opera senza autore", nell'alternanza di crudezza e romanticismo ripropone l'umanesimo cinematografico che era stato delle "Le vite degli altri", confezionando un feuilleton destinato a piacere al grande pubblico. 
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)

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