mercoledì, gennaio 16, 2008

Bianco e Nero

Essere figlio d’arte non deve essere cosa facile: il lasciapassare ereditato dal famoso genitore diventa alla lunga un condizionamento che sul piano artistico si traduce in una produzione senza spessore, eternamente indecisa sugli obiettivi (alti o bassi) da raggiungere e indecifrabile negli esiti finali: insomma un'opera spuria che nel caso della Comencini e del suo “Bianco e Nero” delude tutti: in primo luogo lo spettatore di cassetta, che si diverte a riconoscere se stesso sullo schermo, e poi quello, sparuto ma di tendenza, sopravvissuto all’ondata del cinepanettone. Una carriera freudiana (al contrario della sorella che ha trovato nel contesto contemporaneo l’ambiente ideale per un cinema dapprima intimista ed ora dichiaratamente civile) fatta di drammi a forti tinte(“Bestia nel cuore”) e Commedia leggera (“Liberate i pesci”) che la Comencini tenta di ricomporre all’insegna di quella Commedia all’italiana che a partire dai 50 voleva uscire dal ricordo della guerra senza tradire la realtà con uno sguardo accondiscendente e melenso. Modelli di un cinema diverso e da dimenticare se si vuole pensare a qualcosa di nuovo e imparare a camminare da soli, incominciando a lasciarsi coinvolgere, nella maniera disordinata e scomposta di chi il disagio lo vive veramente; puntando ad un prodotto che arriva al cuore del problema infischiandosene del gusto dominante e dei modelli precotti e di successo; provando a tirare fuori senza mediazioni ne ideologie (cosa che Bianco e Nero non fà) il mostro che c’è in noi, così da capire quello che c’è negli altri (d’altronde i grandi della commedia non interpretavano ma erano); in grado di leggere quella realtà che la Comencini vuole disvelare ed invece continua a disconoscere girandogli intorno con storielle infiocchettate di buoni propositi (in questo caso dimostrare che la differenza tra le persone la fa il cuore e non la pelle), ma risolte con le solite scorciatoie che evitano accuratamente il fosforo del pubblico e lo relegano nella solita apatia televisiva; senza “Parenti Serpenti” (quello si era un film che faceva male) che sembrano dei mostri ma in realtà non lo sono, e dialoghi che strizzano l’occhio ad un immaginario indeciso tra il boccaccesco (si fa per dire) Pieraccioniano (tutte le scene ambientate nella casa/lavoro della sorella della splendida protagonista) ed il decor borghese Ozpetekiano su cui il film sembra sparare e da cui non si emancipa neanche un momento. Bianco e nero è un film scaturito dai sensi di colpa di chi non sa rinunciare ai propri privilegi ma d’altro canto non ha neanche il coraggio di viverli liberamente; si contornia di volti (Fabio volo, un non attore che davanti alla telecamera fa la sua figura perché almeno per il momento ci si pone ancora come un principiante) e corpi rassicuranti (quello neutro e pieno di responsabilità dell’Angioini si contappone alla materna carnalità dell’attrice Africana) che non riescono mai a trasfigurare nella maschera delle nostre ipocrisie (nel film un integrazione razziale espressa a parole ma evitata nel privato) ed a incarnare i vizi privati e le pubbliche virtù enunciate dall’assunto del titolo (fuori belli dentro marci). Costretto a districarsi tra l’amor fou dei due protagonisti, impegnati a realizzare l’incontro delle razze dando vita all’ennesimo Love Story (con la differenza che lì era la malattia qui le diversità culturali a contrastare il lieto fine), e le ripercussioni dei rispettivi ambienti familiari, costruite con siparietti insufficienti a soddisfare le esigenze di genere, il film perde ritmo, e scialacqua la dose di simpatia guadagnata nei minuti iniziali con uno schema piatto e telefonato che sfocia in un happy end a cui si finisce per non credere.

2 commenti:

veri paccheri ha detto...

un'occasione mancata per fare una buona commedia di contenuti e riflessioni. peccato!!! per chi ama il cinema italiano e vorrebbe rivederne una ripresa rale vedere pellicole del genee è un vero dolore, una sofferenza... :-(
La sceneggiatura è assolutamente inconsistente, gli attori sono abbandonati a loro stessi (ho sofferto per branciaroli, relegato ad un ruolo patetico e mal scritto, e per la bonaiuti, che per quanto brava non può restare in oiedi da sola, senza l'aiuto di dialoghi seri e di un profilo caratteriale ben fatto, qui diventa una sorta di caricatura). gag da macchietta. il film si rivela come il festival del luogo comune e non racconta nemmeno la realtà, è pura fantasia, legata a vecchi schemi.
non dico che il razzismo sia svanito, ma in questo bianco e nero non si vede l'Italia di oggie forse proprio la roma di oggi, non so... fabio volo (un non attore che fa film :-) è l'unico a risultare naturale, così abituato alla telecamera e forse così egocentrico da sentirsi a proprio agio sul set, non pare caricato da stress da prestazione. ambra angiolini invece è fin troppo caricata nelle pose, nelle battute, tutto in lei acquista un senso di freddezza, di eccessivo. troppi sono i tempi morti tra le batture, in mezzo ai dialoghi, dove lo spetattore si eprde, dove lo humor, così difficilmente ricercato, si spezza. sembre più una sit com senza le risate del pubblico in sottofondo (che riempiono sempre molto) che un film della cristina comencini che abbiamo potuto apprezzare in passato. la angiolini, per quanto bella e di probabile talento, non dimostra la levatura dell'attrice di cinema, siamo ancora ai livelli più eccelsi di teatrino dell'oratorio. col tempo forse maturerà.
davvero un peccato, il cast e i nomi avrebbero potuto fare di questo buco nell'acqua un film di reale intrattenimento, intelligente e di riflessione. ovviamente sono rimasta basita nel leggere che è stato dichiarato patrimonio di interesse culturale per i suoi contenuti sociali...

Anonimo ha detto...

Addirittura PATRIMONIO DI INTERESSE CULTURALE...non lo sapevo ma non nmi sorprende per un tipo di cinema clientelare e senza idee