mercoledì, marzo 25, 2015

LA TERRA DEI SANTI

La terra dei santi
di Fernando Muraca
con Valeria Solarino, Antonino Bruschetta, Lorenza Indovina
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 89'


Opera prima di Fernando Muraca, la terra dei santi è un film che parla di 'ndrangheta. Ma non si avventura in ambiziose analisi storico-sociali o nella raffigurazione archetipica di un' opposizione manichea e bidimensionale. Protagonista qui è chi spesso rimane ai margini delle cronache e subisce in silenzio: le donne. Tre donne sole, schierate nei diversi lati della barricata. Tre vittime di diverse situazioni e diversi ambienti sociali, che una fotografia cupa ci comunica schiave di un impietoso positivismo, schiave della propria imprescindibile appartenenza a fazioni opposte di una lotta che è scontro sistematico fra due sistemi di vita, e ha i caratteri -sapientemente enfatizzati da una scenografia solennemente magniloquente della scena del rituale iniziatico- di una profonda obbedienza religiosa. Una guerra civile causata dall'arcaica presenza di un'organizzazione che inquadra i propri membri in un sistema di valori alieno, e che coinvolge tutti in diverso grado. Una battaglia che -intuisce un magistrato che ha la fredda compostezza di Valeria Solarino- può essere vinta facendo leva proprio su chi in questo sistema ha tutto da perdere. Se la 'ndrangheta è un esercito, se chi vi entra è prima un soldato che una persona, l'unico modo per combatterla è toglierle manovalanza, togliere la potestà genitoriale alle madri.


Questo è il grande perno del film, l'incontro-scontro fra una donna magistrato e una donna madre -Assunta, una grande Daniela Marra- portatrici di due sistemi antitetici di vita. Una regia curata e minimalista ci accompagna attraverso le vicende che sconvolgono la vita di Assunta, costretta a sposare il fratello del marito morto e madre di un giovane 'ndranghetista, divisa fra i due mondi di Vittoria e della cognata Caterina -Lorenza Indovina in una versione drammatica del proprio ruolo in “Qualunquemente”- moglie di un boss latitante. Una storia profondamente umana che non ambisce a voler essere niente più di una finestra su un mondo poco conosciuto, composta di scene dalla forte carica espressiva, come il parallelo tra la corsa di Caterina -chiusa da un'inquadratura stretta su una stanza scura, metafora del suo ambiente- e quella di Vittoria, lungo piano sequenza della donna che corre pensierosa sulla spiaggia finché non comprende la necessità di superare la propria prospettiva, “immergendosi”-come s'immerge simbolicamente in mare- in quell'ambiente estraneo.
Michelangelo Franchini

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