giovedì, novembre 02, 2017

FESTA DEL CINEMA DI ROMA: VALLEY OF SHADOWS

Valley of Shadows
di Jonan Matzow Gulbrandsen
con Adam Ekeli, Kathrine Fagerland
Norvegia, 2017
genere, drammatico
durata, 91'
 

Dopo aver visto "Valley of Shadows" il primo pensiero è quello di avere assistito a una sorta di versione norvegese del nostro "Sicilian Ghost Story". La comunanza con l'idea di cinema e le estetiche presenti nell'ultimo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, oltre alla fatto di mettere in scena sotto mentite spoglie i riti di passaggio collegati all'età infantile e adolescenziale, sono solo alcune delle cose che rendono l'opera prima di Jonan Matzow Gulbrandsen una delle più sorprendenti e originali viste fin qui alla Festa del Cinema di Roma. Ciò che stupisce in un film così piccolo ed (economicamente) defilato è la grandiosità del suo dispositivo, capace di valorizzare le sue componenti in un unisono tenuto insieme da  quella sonora, orchestrata dalla musica dell'anima del grande Zbigniew Preisner, storico collaboratore di Krzysztof Kieslowski. Se a un primo livello il film racconta l'incontro con la morte da parte di un bambino al quale l'improvvisa scomparsa del fratello fa venire meno le già precarie sicurezze familiari, con il passare dei minuti l'elaborazione del lutto si trasforma in una sorta di viaggio dantesco in cui il percorso erratico di Aslak all'interno del bosco e gli incontri da lui compiuti durante il suo vagabondare altro non sono che il modo per liberarsi delle sue paure. Senza l'utilizzo di effetti speciali, ma con la capacità di riformulare le coordinate dello sguardo con l'obiettivo di attribuire nuovi significati a ciò che già conosciamo, "Valley of Shadows" ci fa entrare in un mondo incantato e in una foresta di segni che dialogano con l'inconscio dello spettatore. Illuminato dalla fotografia espressionista dello stesso Gulbrandsen, che è anche titolare della sceneggiatura, il film procede scarnificando l'opera di messinscena per restituirci la purezza della visione. Senza dimenticare che era dai tempi di "Lasciami entrare" che il cinema non proponeva una rappresentazione così inquieta della fanciullezza.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)

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