lunedì, novembre 20, 2017

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"Train to Busan" di Sang-ho Yeon, è disponibile dal 12 ottobre in un’imperdibile edizione limitata in DVD e Blu-ray, entrambe corredate da 2 dischi: oltre al film, l’edizione targata Midnight Factory conterrà anche l’anime “Seoul Station”, prequel del lungometraggio, entrambi realizzati da Sang-ho Yeon


Train to Busan
di, Yeong Sang-ho
con, Ma Dong-seok, Gong Yoo, Kim Sun-an, Kim Eui-sung, Jung Ju-im
Corea del Sud 2016
genere, azione, drammatico, horror, thrillerdurata, 118'


L'ulteriore, bieca accelerazione, inferta al nostro modo di vivere (?), ben si presterebbe a una lettura metaforica incline a porre - entro il territorio dell'horror, spesso così fertile di punti di vista eccentrici, genuinamente inquietanti, di riletture in chiave apocalittica o parodistica del presunto reale - il periodico ripresentarsi di figure di riferimento d’un intero immaginario (qui, gli zombi/morti viventi/non morti, dotati d’inediti atout fisici) in correlazione diretta con l'inesausto affastellarsi di propositi parcellizzati a cui è assimilabile il cosiddetto presente, secondo i termini d’un autentico rapporto di causa-effetto e nella forma d’un medesimo, letale virus, movente d’ogni contagio, indi d’ogni nuova invasione.

Del resto, se, per dire, indizi complementari della stessa ipotesi possono essere rilevati - sebbene capovolti, a testimoniare se non altro come l'assunto arrivi a funzionare anche agli estremi dello spettro narrativo - nel circo congelato dell'ultimo Refn (all'interno del quale, come visto, la velocizzazione costante del meccanismo di riproduzione/consumo/deiezione della Bellezza stride/sanguina con l'inerzia ingorda della stilizzazione volta al raggiungimento della posa/finzione perfetta, in un processo d'irrigidimento sovrapponibile al decorso d’una patologia degenerativo-progressiva che mina l'organismo dall'interno fino alla sua consunzione, al tempo predisponendosi, senza ostacoli apparenti e a reiterazione dello schema, alla rinascita in un altro ospite: più o meno, la concatenazione d’eventi che lega la trasmissione dell'infezione all'innesco della metamorfosi in zombie), nondimeno teorici vincoli di consequenzialità lineare si sono resi manifesti a partire da avvisaglie balenate qua e là nelle proposte cinematografiche recenti, a integrazione e arricchimento di quel magisterosociologico concepito e trasformato in linguaggio da un autore come Romero. Prova ne sono - e solo per fare mente locale - l'esperimento in chiave apertamentecinetica (risolto ancora, però, nonostante buona lena e lucido pessimismo, al limite dell'omaggio-riadattamento delle coordinate stabilite dal maestro newyorkese) condotto da Snyder nel 2004 (a sua volta in gestazione, volendo includere altre suggestioni, già nel "28 days later..." di Boyle, di poco precedente), allorquando in "Dawn of the dead” presenta un'orda tanto affamata quanto rapida negli spostamenti e un minimo imprevedibile nelle strategie di caccia, e l'apoteosi podistico-mirmecologica delle biche inumane (trans-umane ?) viste nel "World War Z", di Forster nel 2013.


Ebbene: il novero di queste alterazioni, asistematiche ma ricorrenti nel metabolismo inquieto dell'horror contemporaneo, si ripropone al cospetto d’un'opera come "Train to Busan", del coreano Yeong Sang-ho, da poco incrociata alla Festa del Cinema di Roma, in replica alla XVI edizione del Trieste science+fiction Festival e - ci si augura - prima o poi in uscita nelle sale, con l'aggiunta dello specifico vettore simbolico di propagazione-del-Male rappresentato da un treno in corsa che stipa individui impegnati a evitare di essere contaminati/fagocitati da bipedi mostruosi posseduti da un misterioso morbo. A rigore, quindi, erano presenti un buon numero di fattori per illustrare con coerenza - e auspicabile resa spettacolare - gli eventuali nessi che avvicinano (magari ancora non così platealmente, eppure al punto in cui siamo, tutto sommato, già con una sua sinistra plausibilità) la frenesia irriflessa e onnivora di una modernità che s'agita a mo' di cadavere percorso da spasmi post-mortem e l'imprevedibilità tourettica di creature animate da un vitalismo talmente sospetto da non poter escludere del tutto la congettura in base alla quale la malattia che li scatena sia conforme al parossismo (leggi: pulsione di morte) di un mondo che, in qualche modo, li ha prodotti o, comunque, di fatto, ne contempla l'esistenza e, a suo modo, la prepotente brama di vivere.


Perlopiù, invece, assistiamo, nel lavoro di Sang-ho, a un incontro di variazioni su temi a lungo sperimentati. Ad esempio, quello dell'epidemia fuori controllo (come conseguenza d’un progetto bio-tecnologico sfuggito di mano per un accidente del caso), la cui pericolosità si diffonde esponenzialmente per il tramite del morso d’un soggetto - all'apparenza affetto da un sorta di furibonda idrofobia - indotto a sbranare (in parte per cibarsene) suoi simili sani, a loro volta, dopo rapida mutazione, pronti a ingrossare le fila dei predatori. Perdono consistenza, così, mano mano, le sopracitate alternative inerenti un racconto allegorico (da centrare sul nesso davvero angosciante che vorrebbe saldare senza mediazioni il forsennato torchio quotidiano a cui sono assoggettati milioni d'individui, a un irreversibile stravolgimento fisico degli stessi, in cui far convergere giorni, anni di rancori, d’umiliazioni, di frustrazioni senza sbocco, al punto zero d’un'esagitata esplosione a cavallo tra esuberanza senza freni, redde rationem ed èlan mortel), e (ri)prendono vigore, altresì, i piani narrativi - e immaginativi - di certa consuetudine, a partire da quelli che intersecano le vicende di personaggi diversi per estrazione, mentalità, interessi, et., loro malgrado chiamati a una disperata lotta per la sopravvivenza su un convoglio in viaggio (per ciò che ci riguarda, una tratta veloce tra Seul a Busan). Ritroviamo, allora, la varia umanità composta da, nel caso, un paio d'anziane sorelle in composto diporto; una mezza squadra juniores di baseball. Quindi, professionisti, studenti, pendolari, coppie assortite. E alla fine, la piccola Soo-an/Kim Sun-an, ragazzina seria e precocemente giudiziosa, a fianco del padre Seok-woo/Gong Yoo, giovane analista finanziario, tipo sbrigativo e distante, obtorto collo persuaso ad accompagnare dalla madre la figlia - ancora speranzosa in una possibile ricomposizione del nucleo familiare - utilizzando inconsapevolmente proprio il treno fatale...


A merito del film va ascritta in primis l'attitudine a sfruttare con una certa abilità sia l'angustia degli spazi dell'aerodinamica bara in movimento ingombra di figure tanto fameliche quanto quasi inermi se non sollecitate da un rumore o da un contatto visivo diretto (per mezzo d'inquadrature al contempo pragmatiche ed estrose, primi piani carichi d'ansia e bruschi stacchi a intercettare gli spasmi dei corpi impegnati nella lotta o nella fuga); sia - ed è meno ovvio - l'inerte ostilità dei vuoti - stazioni, aree di parcheggio, ampie zone di transito e d’attesa - riportati a una specie di desolazione originaria dopo il passaggio dell'esercito cannibale. Da segnalare, inoltre, l'indomita tempra, la segaligna tenacia, nonché la sorprendente resistenza agli urti, delle avanguardie zombie, in grado di lanciarsi a peso morto da scalinate, tetti, alte vetrate, elicotteri (!), senza sfracellarsi: al contrario lesti, dopo qualche istante d'immobilità seguito da un generale sgranchimento, a gettarsi all'attacco con rinnovato slancio, al punto d'aggrapparsi - facendosi trascinare - al locomotore che trasporta i pochi superstiti, nella foggia d’una ghignante catena di braccia e gambe serrate fra loro. D'altra parte, è pure vero che il ritmo sostenuto della vicenda (in virtù dell'elementare ma sempre efficace rilancio operato sull'eventualità d’un'incursione imprevista dei cacciatori o di un passo falso delle prede) è, a scansioni quasi regolari, spezzato da pause riservate oltre che alla ovvia necessità di tirare il fiato e riorganizzarsi da parte dei rimasti, a un esplicito tratteggio in miniatura della perentorietà dei rapporti di forza operanti su scala sociale, per cui il pezzo grosso Yong Suk/Eui-sung Kim, ben presto e d'autorità prende il controllo delle decisioni scavalcando anche il personale di bordo e il macchinista del treno, mentre, all'opposto, il rude proletario Sang Hwa/Ma Dong-seok, disincantato e d'indole beffarda con moglie incinta al seguito, ecco che, in crescendo, mostra coraggio e spirito di sacrificio assieme a un'epidermica insofferenza alle ingiustizie ("Tu sei un broker", apostrofa il padre di Soo-an, "cioè uno esperto a lasciare indietro i più deboli"). Tra tali estremi, cerca la sua collocazione il resto della compagnia - Soo-an e Seok-woo inclusi - a riproporre, nell'insieme, i lasciti logori d’una lotta di classe da quel dì conclusasi con la vittoria del Capitale e la periodica, mesta recrudescenza d’una sterile guerra tra poveri per essere sul serio rivitalizzata da scampoli d’un umanitarismo generico e, un tanto opportunisticamente, risorsa-d'ultima-istanza, dinamica, questa, lontana, purtroppo, tanto dagli ambigui scenari adombrati con ben altra tensione, mettiamo, dallo "Snowpiercer" di B.Joon-ho, quanto dall'idea radicale ma, come accennato, non così peregrina, riguardo una parentela stretta tra il nostro tritacarne quotidiano, il suo disperato rincorrere un'immagine fantasmatica di sé stesso, e ciò che, più mestamente e angosciosamente, in parte, già siamo.
TFK


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