Mothering Sunday
di Eva Husson
con Odessa Young, Josh O’Connor,
Colin Firth
Gran Bretagna, 2021
genere: drammatico
durata: 110’
Una domenica molto
particolare quella di Jane e Paul, amanti segreti e protagonisti di “Mothering
Sunday” di Eva Husson, presentato alla Festa del cinema di Roma nella sezione
“Tutti ne parlano”.
La storia, ambientata nell’Inghilterra
1924, vede al centro tre famiglie, unite sotto più punti di vista. Ci sono gli
Sheringham, nobile famiglia della quale fa parte Paul, il giovane e unico
figlio rimasto in vita alla coppia di genitori che attende le nozze con la giovane
Emma. Ed ecco la seconda famiglia, quella di quest’ultima, giovane promessa in
moglie a uno dei due fratelli di Paul, caduto in guerra, e, quindi, destinata a
passare il resto della propria vita al fianco del gentile e premuroso protagonista
che, con lei, condivide solo lo status sociale e nulla più. Infine ci sono i
Niven, ricchi coniugi rimasti soli e senza figli, che hanno assunto la giovane
orfana Jane Fairchild come domestica.
Peccato, però, che il
destino abbia progetti particolari per i due amanti.
Il ricco cast di richiamo
che vede, tra i vari nomi, Olivia Colman e Colin Firth, nei ruoli dei coniugi
Niven, deve, in realtà, molto a Odessa Young e Josh O’Connor, rispettivamente
Jane e Paul.
Un film che si ancora
molto alle interpretazioni e alla fotografia, guidata da una regia (fin troppo)
artistica. Attenzione fin troppo esagerata anche a un contesto che non aiuta e
non si integra appieno con la narrazione.
“Mothering Sunday” è il “Downton
Abbey” del 2021. Ambientazione temporale e spaziale praticamente identica.
Avvenimenti praticamente identici. Personaggi che devono molto a quelli che tanti
hanno conosciuto sul piccolo schermo grazie alla serie britannica.
A livello di tematiche
sicuramente la perdita e l’elaborazione del lutto sono, dopo l’amore, quelle
principali e funzionali allo sviluppo della vicenda. Ogni personaggio ha il
proprio modo di vedere il mondo e la realtà dei fatti. Ognuno reagisce al
distacco in maniera diversa. Ed è interessante apprezzarne le differenze,
alcune quasi all’eccesso tanto da far pronunciare al personaggio di Olivia
Colman una frase emblematica nei confronti di Jane. La donna si rivolge,
infatti, alla propria domestica dicendole che può ritenersi fortunata di essere
orfana perché non avendo conosciuto i propri genitori non dovrà provare dolore
a differenza sua che, invece, ha perso un figlio.
Una chiave di lettura che
poteva essere approfondita in maniera diversa e non limitandosi a dilatare il
tempo di un pranzo che è la maschera dell’intera esistenza delle tre famiglie.
La spinta d’interesse che
Eva Husson vuole dare e suggerire con il suo film va troppo oltre. È la nudità
a prendere il sopravvento e a far dubitare lo spettatore che, invece di seguire
linearmente lo sviluppo della narrazione, si concentra sui dettagli, tutt’altro
che funzionali.
E anche l’escamotage
utilizzato per raccontare gli avvenimenti sa di già visto, non integra e anzi
risulta piuttosto banale.
Forse la direzione presa
dalla Husson è quella di un riferimento a momenti d’altro tempo che, però, invece
di essere solamente poetici e fini a sé stessi, avrebbero potuto osare e
raccontare di più.
E poteva essere sfruttato
maggiormente anche il cast, come detto, pieno di volti noti che tendono a
perdersi e mimetizzarsi con il contorno.
Veronica Ranocchi
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