Anima bella
di Dario Albertini
con Madalina Maria Jekal,
Luciano Miele, Paola Lavini
Italia, 2021
genere: drammatico
durata: 95’
Vincitrice del premio Rb
Casting, Madalina Maria Jekal è la giovanissima interprete protagonista di
“Anima bella”, il nuovo film di Dario Albertini che torna a raccontare una
storia dal punto di vista dei più giovani e dei più piccoli, dopo “Manuel”.
Al centro c’è Gioia, neo
diciottenne che vive in un piccolo borgo rurale del centro Italia. Benvoluta da
tutti, fa quello che le piace e si occupa delle persone a lei care. Una su
tutti è il padre con il quale vorrebbe condividere tutto, anche perché unico
membro della famiglia. A mettersi in mezzo ai due, però, c’è il gioco. E tutto
quello che questa “malattia” porta con sé. Gioia fa di tutto per aiutarlo,
stargli accanto e riportarlo sulla retta via, ma non è così semplice. La
giovanissima dovrà fare tutta una serie di sacrifici per poter stare al fianco
del padre.
Una storia di formazione,
nella più classica delle accezioni. Ma, a differenza di altre, è una formazione
al contrario. Non è il padre ad aiutare Gioia a compiere i passi necessari per
affrontare il mondo esterno e la vita adulta. Ma è Gioia stessa che deve
crescere da sola e in fretta per essere il supporto e il sostegno di cui il
padre ha bisogno. Nella scena iniziale viene mostrata la festa che celebra il
suo diciottesimo compleanno e la protagonista appare quasi come una bambina.
Con tutta l’ingenuità, la spensieratezza e la libertà che quest’età si porta
dietro. Poi, improvvisamente, si ritrova obbligata a crescere prima degli
altri, prima del tempo.
E l’abilità di Albertini
sta proprio in questo: nel realizzare un film del genere mettendosi nei panni
della protagonista. Perché “Anima bella” è raccontato proprio da Gioia. La
giovane non è solo al centro della vicenda, ma sembra essere anche colei che dirige
l’azione, in tutti i sensi. In alcuni punti anche la stessa macchina da presa è
posta al livello della protagonista, non solo fisicamente. È come se Gioia
aprisse il proprio cuore e si mostrasse completamente allo spettatore.
Tutto questo e tutta la
situazione, in qualche modo, “ribaltata” è aiutata anche dalla
decontestualizzazione, temporale e spaziale. Sappiamo, solo da alcuni piccoli
elementi, che la storia è ambientata nel contemporaneo in una zona dell’Italia
centrale, ma potrebbe essere ambientata in qualsiasi altro luogo o momento e
avrebbe la stessa valenza, lo stesso significato. Quello che Dario Albertini
vuole dare è proprio questo: un impianto universale alla storia di Gioia. E,
oltre che universale, anche documentaristico, a tratti. Con lunghe inquadrature
che si soffermano sui dettagli di un determinato luogo, quasi a scoprirlo, a
poco a poco.
Sicuramente la speranza
gioca un ruolo fondamentale nella narrazione, così come il credere in sé stessi
e l’avere fiducia negli altri. Una fiducia che può essere confermata, ma che
può anche venire meno. L’importante, come ci insegna “Anima bella” è non
arrendersi e sapersi rialzare sempre. Gioia affronta la situazione che si trova
davanti con l’inesperienza della giovane età, ma anche con la maturità di una
persona che capisce di dover prendere in mano tutto e tutti. Chiede aiuto
talvolta alle persone a lei più vicine che cercano di indirizzarla e darle
qualche dritta, come nel caso del personaggio interpretato da Paola Lavini. Ma
sa che poi, in fondo, dovrà cavarsela da sola. È una ragazza maturata fin
troppo presto perché tutto dipende da lei.
Interessanti, dal punto
di vista tecnico, sono alcune scelte registiche e alcune inquadrature con la
predilezione di zoom o tagli più bruschi del solito, come a voler nascondere o
mascherare alcuni momenti. E poi c’è anche la sequenza nella quale Gioia
incontra il giovane ragazzo che la accompagna, alla ricerca del padre, in una
sala giochi. Emblematica è la scelta della musica e del forte rumore che
contrasta con il “silenzio” precedente. E questo mette in contrapposizione due
mondi e due visioni contrapposte, quella della giovane protagonista e quello
del padre.
Ultima, ma non meno
importante, la scena finale a suggello di quanto raccontato in un’ora e mezza,
è la vera e propria accettazione e consapevolezza di una fiducia tradita che
solo il tempo saprà dire se sarà possibile ricucire.
Veronica Ranocchi
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