lunedì, ottobre 25, 2021

ANIMA BELLA

Anima bella

di Dario Albertini

con Madalina Maria Jekal, Luciano Miele, Paola Lavini

Italia, 2021

genere: drammatico

durata: 95’

Vincitrice del premio Rb Casting, Madalina Maria Jekal è la giovanissima interprete protagonista di “Anima bella”, il nuovo film di Dario Albertini che torna a raccontare una storia dal punto di vista dei più giovani e dei più piccoli, dopo “Manuel”.

Al centro c’è Gioia, neo diciottenne che vive in un piccolo borgo rurale del centro Italia. Benvoluta da tutti, fa quello che le piace e si occupa delle persone a lei care. Una su tutti è il padre con il quale vorrebbe condividere tutto, anche perché unico membro della famiglia. A mettersi in mezzo ai due, però, c’è il gioco. E tutto quello che questa “malattia” porta con sé. Gioia fa di tutto per aiutarlo, stargli accanto e riportarlo sulla retta via, ma non è così semplice. La giovanissima dovrà fare tutta una serie di sacrifici per poter stare al fianco del padre.

Una storia di formazione, nella più classica delle accezioni. Ma, a differenza di altre, è una formazione al contrario. Non è il padre ad aiutare Gioia a compiere i passi necessari per affrontare il mondo esterno e la vita adulta. Ma è Gioia stessa che deve crescere da sola e in fretta per essere il supporto e il sostegno di cui il padre ha bisogno. Nella scena iniziale viene mostrata la festa che celebra il suo diciottesimo compleanno e la protagonista appare quasi come una bambina. Con tutta l’ingenuità, la spensieratezza e la libertà che quest’età si porta dietro. Poi, improvvisamente, si ritrova obbligata a crescere prima degli altri, prima del tempo.

E l’abilità di Albertini sta proprio in questo: nel realizzare un film del genere mettendosi nei panni della protagonista. Perché “Anima bella” è raccontato proprio da Gioia. La giovane non è solo al centro della vicenda, ma sembra essere anche colei che dirige l’azione, in tutti i sensi. In alcuni punti anche la stessa macchina da presa è posta al livello della protagonista, non solo fisicamente. È come se Gioia aprisse il proprio cuore e si mostrasse completamente allo spettatore.

Tutto questo e tutta la situazione, in qualche modo, “ribaltata” è aiutata anche dalla decontestualizzazione, temporale e spaziale. Sappiamo, solo da alcuni piccoli elementi, che la storia è ambientata nel contemporaneo in una zona dell’Italia centrale, ma potrebbe essere ambientata in qualsiasi altro luogo o momento e avrebbe la stessa valenza, lo stesso significato. Quello che Dario Albertini vuole dare è proprio questo: un impianto universale alla storia di Gioia. E, oltre che universale, anche documentaristico, a tratti. Con lunghe inquadrature che si soffermano sui dettagli di un determinato luogo, quasi a scoprirlo, a poco a poco.

Sicuramente la speranza gioca un ruolo fondamentale nella narrazione, così come il credere in sé stessi e l’avere fiducia negli altri. Una fiducia che può essere confermata, ma che può anche venire meno. L’importante, come ci insegna “Anima bella” è non arrendersi e sapersi rialzare sempre. Gioia affronta la situazione che si trova davanti con l’inesperienza della giovane età, ma anche con la maturità di una persona che capisce di dover prendere in mano tutto e tutti. Chiede aiuto talvolta alle persone a lei più vicine che cercano di indirizzarla e darle qualche dritta, come nel caso del personaggio interpretato da Paola Lavini. Ma sa che poi, in fondo, dovrà cavarsela da sola. È una ragazza maturata fin troppo presto perché tutto dipende da lei.

Interessanti, dal punto di vista tecnico, sono alcune scelte registiche e alcune inquadrature con la predilezione di zoom o tagli più bruschi del solito, come a voler nascondere o mascherare alcuni momenti. E poi c’è anche la sequenza nella quale Gioia incontra il giovane ragazzo che la accompagna, alla ricerca del padre, in una sala giochi. Emblematica è la scelta della musica e del forte rumore che contrasta con il “silenzio” precedente. E questo mette in contrapposizione due mondi e due visioni contrapposte, quella della giovane protagonista e quello del padre.

Ultima, ma non meno importante, la scena finale a suggello di quanto raccontato in un’ora e mezza, è la vera e propria accettazione e consapevolezza di una fiducia tradita che solo il tempo saprà dire se sarà possibile ricucire.


Veronica Ranocchi

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