Illusioni perdute
di Xavier Giannoli
con Benjamin Voisin, Vincent
Lacoste, Xavier Dolan
Francia, 2021
genere: storico,
commedia, drammatico
durata: 141’
Di una disarmante
attualità, il film di Xavier Giannoli, presentato in concorso alla Mostra del
cinema di Venezia nel 2021, è adesso nelle sale. “Illusioni perdute” è l’adattamento
cinematografico dell’omonimo romanzo di Honoré de Balzac che ha realizzato un’opera
ancora oggi più che contemporanea.
Al centro un bravissimo
Benjamin Voisin veste i panni del giovane Lucien, innamorato della letteratura
e della poesia. Il protagonista, che si ostina a farsi chiamare de Rubempré,
nella cornice della Francia della Restaurazione, decide di andare a Parigi
insieme alla nobildonna Louise, con la quale ha una relazione segreta, nella
speranza di trovare un editore che possa seguirlo e stampare le sue opere. Una
volta arrivato nella capitale francese, però, Lucien viene separato da Louise
per non destare scalpore e, trovandosi solo e senza un soldo, si mette alla
ricerca di un lavoro. Per un caso fortuito incontra un altro scrittore che, non
avendo avuto fortuna, si è riciclato come giornalista per uno dei giornali
liberali nati nel periodo. I due instaurano un’amicizia che, però, porterà
Lucien a dover prendere delle decisioni importanti per la sua vita, il suo
futuro e la sua carriera.
Una trasposizione sullo
schermo interessante, sotto tutti i punti di vista, da quello tematico a quello
tecnico.
L’argomento è di
incredibile attualità. Si potrebbe parlare della nascita della società dello
spettacolo. Scavando tra le righe, ma nemmeno troppo, Giannoli va a sviscerare
il ruolo dello scrittore e del giornalista, cosa che, prima di lui, aveva fatto
naturalmente Balzac su carta. Dal modo di approcciarsi alla notizia alla
meticolosa analisi della ricerca di quest’ultima e della conseguente
attendibilità, il regista apre gli occhi dello spettatore facendolo riflettere
sul meccanismo di creazione e diffusione delle informazioni. E sulla loro
credibilità.
Aiutato da una voce
fuoricampo, a tratti ironica e a tratti seria, “Illusioni perdute” è costruito,
in parte, in maniera spettacolare e quasi teatrale. La vita dei personaggi che
si intreccia tra la quotidianità e la mondanità, con la presenza abbastanza
costante a spettacoli teatrali, va di pari passo con la descrizione degli
stessi ambienti che il protagonista e i suoi amici e nemici frequentano. Sembra
quasi che lo stesso ambiente diventi protagonista. Non è, infatti, un caso che,
fatta eccezione, per pochissime e brevi scene “di transito” che permettono ai
personaggi di spostarsi da un luogo a un altro, la quasi totalità della vicenda
avvenga negli interni, siano essi abitazioni, teatri, editorie o simili.
L’ambiente riesce, in qualche modo, a connotare il personaggio che lo abita e
lo vive, conferendogli quel qualcosa di cui lui o lei ha bisogno e che
contemporaneamente ricerca. Ed è così che la grande villa di Lucien diventa il
luogo simbolico della sua “elevazione” a giornalista.
Facendo, invece, un passo
indietro, merita una menzione speciale la voce fuoricampo. Anch’essa è a tutti
gli effetti un personaggio della vicenda. Parte integrante di “Illusioni
perdute” la voce è ironica e seria al tempo stesso, fornendo informazioni
importanti, sia per lo spettatore che per il personaggio, anche se
quest’ultimo, naturalmente, non può sentirla, non essendo propriamente la voce
della sua coscienza. Ed è forse questa la vera chiave della storia: al
contrario di altre analoghe, quella scelta da Giannoli è una voce onnisciente
nel vero senso della parola. Si tratta di una voce che sa anche più del
personaggio stesso. Aiuta e guida lo spettatore a comprendere certe situazioni,
non limitandosi a descrivere quello che si vede, ma collocandolo temporalmente
e spazialmente e dandone una motivazione. Al tempo stesso, però, è anche una
voce ironica, che prende in giro e si prende gioco dei personaggi e del mondo
che li circonda. Lo spettatore è invitato ad andare oltre, a guardare ancora
più su, per non cadere nella trappola del fidarsi solo ed esclusivamente di ciò
che si vede.
Infine un’attenzione alle
interpretazioni. Quella di Voisin su tutte, un giovanissimo che si carica tutto
il film sulle spalle con una semplicità unica. Non è mai né troppo, né troppo
poco. E accanto a lui tutti diventano maschere perfette dei personaggi che
interpretano, da Vincent Lacoste nel ruolo del buon amico, o almeno di quello
che tenta di esserlo, a un particolare Xavier Dolan, in grado di mettere
costantemente il pubblico (e non solo) sulla difensiva perché non in grado di
fidarsi completamente. Ma in fondo chi sono davvero i buoni e i cattivi in
questo film e nella vita in generale?
Veronica Ranocchi
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