Ci sono alcuni film destinati a dividere. E' inevitabile per il DNA dei loro contenuti. "Viva la libertà" di Roberto Andò è uno di questi e noi potendocelo permettere abbiamo pensato di fare in questo modo e cioè presentare due recensioni che la vedono in maniera diversa. Il tutto con quello spirito di leggerezza cinefila che da sempre ci trova in prima fila. Buon divertimento.
Viva la libertà
di Roberto Andò
con Toni Servillo, Valerio Mastandrea
Italia 2013
durata, 94
Viva la libertà di Nickoftime (NO)
Ciclicamente la politica ed i suoi sodali tornano ad interessare i
nostri registi. Costola nobile del movimento neorealista, il cinema che
si occupa della "res pubblica" si è distinto nel corso del tempo per la
tendenza a descrivere il potere e le sue istituzioni con una lente
deformante, capace di descrivere le forme di una stortura che sembra
connaturata con l'esercizio stesso di quella funzione. Nel farlo ha
concepito personaggi ambivalenti per natura, in quanto combinazione
d'elementi che appartengono al reale ed all'astratto, ma innanzitutto
portatori di un io smisurato per la capacità di diventare luogo della
retorica e del continuo mascheramento. Dall'invenzione del ministro
Giovanni Botero ("Il portaborse", 1991) alla psico biografia del "divo"
Giulio ("Il divo", 2008) passando per le boutade
dei vari Armando Feroci ("Gallo Cedrone", 1991) e Massimo Bonfili
("Commediasexi, 2006) e senza dimenticare il Berlusconi telecratico di "S.B. Io lo conoscevo bene"
(2012) appena giunto sugli schermi, l'uomo politico nel cinema italiano
è destinato, per eccesso di idiosincrasie, a fagocitare l'attenzione
dello spettatore. Anche a costo di mettere in secondo piano la
dialettica tra il cittadino eletto dal popolo e l'humus sociale e
culturale in cui nasce e si svolge la sua azione.
In questo caso
poi la posta messa in palio da Roberto Andò con il suo "Viva la libertà"
era ancora più alta, perché la storia del segretario del principale
partito d'opposizione Enrico Olivieri, e del fratello gemello Ernani che
ne prenderà il posto quando il primo fuggirà da una vita deprimente e
da una campagna elettorale fallimentare, non era solo la
rappresentazione di una crisi simbolica - dei valori di un partito e
delle sue idee, ma anche di una nazione che non è più in grado di
generare gli anticorpi necessari ad eliminare le sue disfunzioni - e
quindi attribuibile a qualunque stagione politica, ma al contrario si
collocava nella contingenza quotidiana, con tutti i riferimenti del
caso, e con un tempismo - accelerato anche dal distributore che
cavalcando i tempi ne ha anticipato l'uscita - da
istant movie
per la sovrapposizione tra le vicende dello schermo, e quelle che media e
giornali ci stanno raccontando nel corso di queste settimane, come
quelle del film caratterizzate dal dibattito elettorale e dalla caccia
al voto. Materiale incandescente che il film traduce attraverso due
stati d'animo differenti ed opposti, fatti risalire alle diverse
condizioni dei due fratelli. Così se da una parte c'è lo spaesamento di
Enrico di fronte ad un'inquietudine che è innanzitutto una crisi di
coscienza personale, che, come vedremo, farà entrare in gioco attraverso
la figura di Danielle (Valeria Bruni Tedeschi) un sospeso che ha
influito negativamente sui rapporti tra i due protagonisti, dall'altra
si assiste ad una rinascita per interposta persona, attraverso la
leggerezza di un uomo, Ernani, appena uscito da un centro di igiene
mentale, che mette a disposizione - del fratello, del partito, del paese
- la propria libertà intellettuale e l'indipendenza di giudizio
affinché si compia il miracolo di una politica che smetta di "inventare
la realtà e di conseguenza cessi di essere impostura". Diretto e
sceneggiato da Roberto Andò che lo ha tradotto per il cinema dopo averlo
scritto sotto forma di romanzo (con il titolo di "Il trono vuoto",
esordio letterario del regista) "Viva la libertà" mette la politica sul
lettino dello psicanalista, e lo fa iniziando da ciò che gli sta più a
cuore, e che forse conosce meglio, ovvero da quella corrente
d'opposizione in cui non si fa fatica a riconoscere il partito
democratico, per analizzare le ragioni di una promessa mancata, ma
soprattutto per rilanciarne l'azione, facendo leva sugli ideali
smarriti. Una mancanza d'identità ed uno scoramento sottolineato
dall'inerzia con cui viene ritratto non solo Olivieri, ma anche il resto
dei "compagni", gregge laconico e smarrito in attesa del figliol
prodigo. Nella difficoltà di pronunciare "qualcosa di sinistra" Andò
mette in campo possibili modelli, e lo fa affidandosi alle parole ed
alle poesie di Bertolt Brecht, pronunciate da Ernani tra lo
sbigottimento degli astanti in una delle prime apparizioni sotto mentite
spoglie, oppure riproponendo la figura di Federico Fellini, artista
senza compromessi, la cui strenua opposizione, e la successiva sconfitta
di fronte al decadimento culturale rappresentò un segnale d'allarme
(inascoltato) verso il punto di non ritorno. Il regista fa di lui una
specie di Cassandra quando ce lo mostra in un breve inserto d'archivio.
Solitamente pacato e dalla voce gentile, Fellini vi appare urlante e
scomposto per l'inquietudine di una violazione, quella subita dalle sue
opere, tagliate arbitrariamente per fare spazio agli inserti
pubblicitari, che sembra ferire non solo la sua dignità d'autore ma
anche quella di migliaia di Italiani costretti a subire l'imbarbarimento
imposto dal profitto.
Una chiamata alle armi che il regista
affida all'esperienza e soprattutto alle qualità di Toni Servillo,
attore "civile" se ce n'è uno, che, sull'esempio indimenticabile di un
grande come Gian Maria Volontè, e sulla scia di un curriculum segnato in
maniera indelebile da personaggi provenienti dal mondo politico (oltre
al film di Sorrentino, lo ricordiamo nel recente e sottovalutato "
Bella addormentata",
2012) si cimenta nel doppio ruolo di Olivieri ed Ernani a cui presta un
camaleontismo fatto di esperienza, ed anche di cuore. Il risultato è
un'interpretazione a fasi alterne giocata molto sui diversi registri del
film (grottesco, surreale ed anche intimo) e che però, più di una
volta, corre il rischio di diventare istrionica e di maniera.
Complessivamente invece, pur riconoscendo il livello della confezione, e
l'impegno profuso tanto nella qualità della componente attoriale,
quanto nella precisione della messinscena, non si può non notare una
semplificazione eccessiva nelle psicologie dei personaggi, e più in
generale nell'apparato teorico della storia, presente in maniera
esaustiva nel libro, ed invece carente nella trasposizione filmica. Una
riduzione che conferisce all'opera un senso d'approssimazione ed una
consequenzialità aprioristica, calcolata invece che spontanea. In questo
senso è illuminante la decisione finale di Olivieri, quella che decide
le sorti della vicenda, la cui resa oltre alla sensazione di non essere
supportata dal necessario bagaglio emotivo, sembra sciogliersi con un
fare nebuloso, e con una motivazione figlia più del desiderio di
chiudere il cerchio che di spiegarlo. Da questo punto di vista risulta
migliore, anche se un po' troppo compiaciuta (ci riferiamo ai vezzi ed
ai tic rivelatori di una latente follia), la figura di Ernani, almeno
lui, estrinsecato come si conviene ad un
fool della sua
portata. Favola filosofica che indaga sui mali di un paese in agonia,
"Viva la libertà" non mancherà di stupire per l'irridente scherzosità di
certi passaggi, fatti ad arte per ironizzare su una classe politica che
si copre di ridicolo (anche il presidente della Repubblica non viene
risparmiato) ma rimane forte l'impressione dell'ennesima occasione
mancata.
(pubblicata su ondacinema.it)
Viva la libertà di AdeleH (
SI)
Ad una visione impreparata e quindi non informata sulla complessità dei
contenuti palesi o nascosti, il film VIVA LA LIBERTA’ di Roberto Andò,
da lui sceneggiato sulla base del suo romanzo Il trono vuoto, che non ho
letto, mi è sembrato un bel film, scorrevole, con un che di thriller
che scatta quando subentra un doppio in una storia, a tratti esilarante,
sempre gradevole e condotto con mano magistralmente leggera. Nel
frattempo ci si accorge che siamo anche nella fantapolitica e la cosa
comincia a sconcertare se non turbare, proprio di questi tempi, in cui
una dura campagna elettorale e una situazione di crisi economica,
ideologica e di coscienza, non dispongono chi nel cinema, come arte, non
cerca solo lo svago e la leggerezza ma anche simboli, messaggi, stimoli
per la fantasia e passione con cui vivere al meglio quella che è
comunque la realtà, a cercare di identificare chi, cosa, come. Si
decide,quindi, di rimanere obiettivi e attenti, e non cercare spunti di
discussioni sbrodolate e non reali, che nemmeno il serio e coltissimo
regista, con notevole passato teatrale, credo intenda fornire se non
un’esperienza di rinnovamento del suo modo di fare cinema e si segue
sino alla fine la storia che via via si arricchisce di approfondimenti
umani sui singoli personaggi così come li presenta l’Autore, avvalendosi
di attori di alto livello e tutti al massimo dell’immedesimazione e
gioia di interpretare i ruoli loro affidati. Non si può che elogiare
per la sincerità e le emozioni che trasmette Valerio Mastandrea, che in
Andrea Bottini, il fibrillante “secondo” del segretario
dell’opposizione Enrico Oliveri, in fuga momentanea per i sondaggi
negativi e poi del fratello gemello Giovanni Ernani, depresso bipolare,
subisce una metamorfosi dal cinismo alla speranza, attraverso mille
espressioni mimiche e gestuali che lo accostano sempre più al secondo;
lo stesso vale anche per i contributi di Michela Cescon, solida moglie
di Enrico e Valeria Bruni Tedeschi, recuperato, per l’occasione, ex
amore di gioventù di ambedue i fratelli. Splendido cameo del grande
Gianrico Tedeschi. E poi c’è Toni Servillo, in agio felice nel doppio
ruolo dei gemelli, come tutti gli attori specie se grandi, dove esprime
la cupa depressione ansiosa del politico in crisi e la contagiosa
euforia del gemello filosofo pazzo che incute speranza con citazioni
colte e indimenticabili per la loro bellezza, come i versi di Brecht, o
balla felice più con i suoi amici della clinica psichiatrica, in cui è
stato ricoverato e va a trovare, che con una simbolica
cancelliera tedesca visto dal buco della serratura, con una maestria
ormai mitica, che si esprime più che nelle differenze nelle affinità che
li rendono indistinguibili e allora …al ritorno di Enrico, chi sarà dei
due? Buona visione di un film notevole.