venerdì, febbraio 22, 2013

Die hard. Un buon giorno per morire - A good day to die hard

di J. MOORE
con B.Willis, J.Courtney, C.Hauser, S.Koch
USA 2013 - 97'
by TheFisherKing

Neppure e' più possibile utilizzare la vecchia guasconata riguardo "the return of Bruno", visto che Bruno/Bruce Willis non se ne e' mai andato ma, anzi, con gli anni, ha sempre più diversificato i suoi impegni di superstar hollywoodiana ritagliandosi tutta una serie di apparizioni meno ovvie, chiaroscurate, a volte dolenti, spesso in direzione opposta a quegli stilemi che ne hanno decretato il successo planetario e il sedimentarsi di un'impronta duratura nella memoria collettiva.


Con questo quinto episodio delle avventure rutilanti e semi-fumettistiche dello sbirro John McClane e' un po' come tornare nel giardino di casa dopo una discreta parentesi trascorsa altrove, anche se l'azione - tonitruante e coloratissima ma paradossalmente pressoché inerte - si svolge perlopiu a Mosca. Dal quarto di secolo che ci separa da "Trappola di cristallo" ("Die hard", 1988, di J. McTiernan), passando per le stazioni successive, a dire "58 minuti per morire" ("Die hard 2", 1990, di R. Harlin); "Die hard: duri a morire" ("Die hard: with a vengeance", 1995, ancora di McTiernan), sino al più recente "Die hard. Vivere o morire" ("Live free or die hard", 2007, di L. Wiseman), il carattere di Willis ha perduto via via - a parte i capelli - le connotazioni realistiche o verosimili che ancora, per quanto tenuemente, resistevano nelle prime pellicole (la prima in particolar modo) e la agganciavano al sotto filone poliziesco con venature catastrofiche (pensiamo all'unita di luogo, al microcosmo concentrazionario del grattacielo Nagatomo), per assumere quella sorta d'imponderabilità punteggiata di sarcasmo e capitomboli, quell'astrattezza a riparo da psicologie ingombranti o snodi irrisolti sempre in primo piano, che solo i veri eroi - in specie quelli del cinema - possono permettersi perché, quando l'immedesimazione calza, come nel caso di Willis e il corpo aderisce senza sforzo alla maschera, il vissuto interno del protagonista diventa tanto più credibile e per certi aspetti drammatico quanto meno e' mostrato o posto al centro della discussione.

Stavolta, pero' - e la sua discreta parte di (de)merito se la porta impressa la mano quadra di un regista come John Moore ("Behind enemy lines", "Max Payne") - il meccanismo e' talmente poco oliato da incepparsi quasi subito nel suo stolido sbattere sempre sugli stessi spigoli; la storia (benché resta implicita la sua importanza marginale in questo tipo di operazioni seriali) eccessivamente stracca e avara d'idee; i vuoti e le ovvietà grossi come le voragini aperte dagli sconquassi degli inseguimenti sulle intasatissime arterie moscovite o come gli squarci praticati negli edifici dai furibondi mitragliamenti elicotteristici, che a rimetterci e' proprio l'eroe, il ben conservato cinquantasettenne Willis, già poco convinto e un tanto sfiduciato di suo e qui chiamato a misurarsi con cicliche acrobazie un tanto al chilo ma soprattutto orfano di quella leggerezza e di quella autoironia che si erano imposte come uno dei contrappunti vincenti dell'intera saga.

Con felice continuità - per le schiere dei fan più entusiasti - o con un certo sospetto di industria che tenta di mascherare la ruggine - per i detrattori - "Bruno" si poteva in ogni caso aggiungere alla manipolo di paladini tutto ordine/giustizia/libertà che in questo scorcio di 2013 hanno prolungato l'"eterno ritorno" degli anni 80. Assieme ai "mercenari" di Stallone, al Jack Reacher solitario di Tom Cruise e al coriaceo sceriffo di frontiera incarnato da Schwarzenegger, Willis/McClane avrebbe partecipato di buon grado allo sforzo di tenere ferme le lancette dell'orologio biologico-storico-cinematografico. Solo che tra i quattro e' stato quello a cui hanno servito le carte peggiori: riesumargli attorno le figure di due avidi intrallazzatori ex amici, ora in spietata concorrenza per l'accaparramento di scorte di uranio depotenziato addirittura proveniente dagli stock dei reattori di Chernobyl per essere reindirizzate nel più remunerativo mercato delle armi illegali, e' un escamotage piuttosto debole, bene che va a rischio di tritume. Se su tale debolezza di fondo s'innesta, poi, come poco più che un riempitivo, l'esile linea narrativa a base di fraintendimenti e battibecchi familiari (utili ad introdurre la nuova spalla, John jr, detto Jack - Jai Courtney, già visto nei panni del cattivo proprio in "Jack Reacher" -) e' chiaro che l'insieme ne risente e il semplice accostamento di questo piano all'inerzia senza vera dinamica delle fin troppo protratte scene d'azione, riduce il ritmo interno del film ad una cadenza monotona quanto priva di alternative praticabili.

Se Willis e' e resta "l'ultimo boy-scout", insomma, e' giusto pretendere che gli venga offerta una missione degna di lui e di questo nome.

TFK

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