Riflettendo a proposito della tiepida accoglienza riservata a Metkoub, My Love - Canto uno esiste il sospetto che a influenzare il disamore nei confronti dell'opera dell'autore franco tunisino non vi sia solo la lesa maestà provocata dalla presunta visione maschilista del corpo femminile, cosa di cui il regista si sarebbe imprudentemente (in epoca di Me too) macchiato soffermandosi oltre il dovuto sul fondoschiena della sensuale Ophélie Bau. Pensiamo infatti che la predetta disaffezione sia anche frutto di qualcos'altro e, per esempio, dello scarto estetico e di contenuti lasciato intravedere con la realizzazione de La vita di Adele, opera accolta non senza diffidenza e con qualche fastidio per la spregiudicatezza con cui viene filmata la passione tra le due protagoniste, e oggi confermato con un progetto come quello di Metkoub, My Love, incentrato sull'estate di un gruppo di giovani belli e vacanzieri.
Così, se nella prima parte di carriera a suscitare il consenso nei confronti di titoli come La schivata, Cous Cous e Venere Nera era stata l'attitudine engagé di certi temi e la presenza di personaggi "forti" e fuori dagli schemi, non sorprende più di tanto che la celebrazione di una gioventù priva di sovrastrutture politiche e sociali, e votata ai godimenti tipici della propria età fatichi a conquistare gli appassionati della prima ora. L'overdose di felicità, l'insopprimibile voglia di vivere e la ricerca del piacere che contraddistingue l'esistenza di Amin e dei suoi coetanei mette a disagio e provoca sconcerto tra gli amanti del cinema d'autore. Senza sofferenza e privo di appigli ideologici il cinema di Kechiche rischia di essere considerato inattuale e sorpassato anche se in realtà non lo è. Non si tratterebbe comunque di una novità: a suo tempo è successa la stessa cosa anche a Kusturica e Von Trier, passati dalle stelle alle stalle per ragioni che poco c'entrano con la settima arte.
Carlo Cerofolini
1 commento:
Nessuno tocca il punto dolente di questo regista. Non è tanto il machismo. In fondo lui dipinge una realtà della vita, forse esagerando ma non più di tanto. Quello che a me colpisce è il marcato razzismo del regista. Lui contempla che il maschio sia solamente africano, e le donne desiderabili siano occidentali. Praticamente, immerso nel tessuto sociale francese dove gli uomini hanno smesso di essere tali, da’ per scontato che tutti gli uomini occidentali siamo o gay o comunque senza nessun particolare interesse per le donne o per il sesso. È totalmente fuori dalla realtà, se non una parte di quella esclusivamente parigina. Così come l’idea che le donne si concedano facilmente e siano belle è una esclusiva delle occidentali, preda ovviamente di tunisini, comunque nordafricani. Mi fa veramente un po’ pena questo regista immerso in questo suo piccolo falso mondo
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