venerdì, dicembre 27, 2013

"LOST": un viaggio sentimentale


"What is love ? Where is happiness ? What is life ? Where is peace ?
When will I find the strenght to bring me release ?"
- J.Buckley, "Eternal life" -

"Any where out of the world !".
L'estenutato grido dell'animo baudelairiano riecheggia di continuo nel flusso - sistematicamente in bilico su un presente imperscrutabile ed ipotetico quanto sulla giostra sospesa tra un passato ed un futuro, al contrario, sempre possibili/probabili - delle immagini sognanti o premonitrici, romantiche o inconsolabili, avventurose o tragiche, di una delle serie Tv più seguite e amate degli ultimi anni, ovverosia "Lost". Sei stagioni (la quarta, tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008, funestata dallo sciopero degli sceneggiatori americani che permise di ultimare solo otto episodi ai quali, in un secondo tempo e salvando comunque la continuità, ne vennero aggiunti altri cinque); altrettanti anni di programmazione (dal 2004 al 2010); centoquattordici puntate della durata di una quarantina di minuti ciascuno; ambientazione esotica (le Hawaii); costi enormi; un seguito che a distanza di tempo continua a produrre discussioni e siti specializzati, "Lost" e' l'ennesima creatura scaturita da quel crogiolo d'intuizioni che e' il talento mercantile di J.J.Abrams (al suo attivo anche la saga dell'eroina Sydney Bristow di "Alias"; quella avvinta attorno alla rappresentazione degli universi paralleli di "Fringe", nonché diverse altre "idee di partenza" ricompensate con alterne fortune). Sin da subito, pero', ciò di cui stiamo parlando si differenzia dalla media delle produzioni similari per l'essere qualcosa d'altro e di diverso dalla narrazione delle traversie affrontate su una generica isola sperduta in mezzo al Pacifico da un gruppo di superstiti di un disastro aereo - il volo "Oceanic 815"; sigla che torna spesso e volentieri nell'opera, alla stregua di molti altri involucri simbolici di matrice cabalistica, cripto-linguistica, crittografica, capaci di generare in giro per il mondo una massa enorme di congetture, dietrologie, attese per rivelazioni di misteri eternamente latenti, e almeno altrettante cantonate: e' sufficiente, per tutti, ricordare la serie numerica 4, 8, 15, 16, 23, 42, che spunta qui e la' tra le pieghe degli eventi, fantomatica base di un'equazione altrettanto fantomatica, lascito di un ancor più fantomatico matematico italiano, Enzo Valenzetti e senza contare le implicazioni più ovvie e genericamente "culturali" di tanti patronimici utilizzati: Locke, Rousseau, Faraday, Hume, Burke, Austen... - "Lost" e', cioè, e prima di tutto, un contenitore, in cui far confluire l'intero spettro dell'esperienza umana - la vita, la morte, la nascita, la resurrezione persino, l'orrore, l'abnegazione, l'amicizia, il tradimento, la solitudine, l'amore - e poi (forse) la piattaforma d'accesso verso un (altro) inizio. In virtù dei suoi recessi labirintici, infatti, e, potenzialmente, senza fine; a mezzo di aperture che conducono a rifugi, magazzini, silos, laboratori, collegati fra loro dalla misteriosa necessita' del "progetto DHARMA" (utopia realizzata dell'"uomo nuovo" ? Aspirazione ad una società ideale ? Uno dei più sofisticati esempi di ammaestramento e manipolazione ?), l'isola che da questo momento sarà, più correttamente, "l'Isola", e' un universo a se' stante, letteralmente in grado di spostarsi avanti e indietro nel tempo, dall'apparente calma assicurata da una Natura primordiale, rigogliosa e trionfante, eppure sempre attraversato da forze appartenenti ad una sorta di Caos remoto e capriccioso che senza posa sollecita quello latente/rimosso/represso all'interno di ogni singolo personaggio.

"A me sembra che starei sempre bene la' dove non sono", annotava ancora Baudelaire. E della stessa irrequietezza si nutrono i personaggi immaginati da Abrams, spinti, sul filo teso ma la cui consistenza e' tutta da dimostrare, tra un dove/stato mentale lussureggiate e insidioso - l'Isola - e il tornare-a-casa - quella di sempre, quella del desiderio, "purché sia fuori da questo mondo" -. Del resto, se pare sia sempre e solo un'altra vita che vogliamo e persino Jacob, il "custode" degli enigmi e il "fumo nero" non aspirano che ad andarsene, allora l'erranza del gruppo di sopravvissuti del volo 815 oltre che ininterrotta diventa spia in sedicesimo di un disagio più vasto e profondo il quale, distribuito su un'altra scala (quella dell'intero Occidente) evidenzia una dicotomia che nella lunga transizione che stiamo attraversando, nel crepuscolo minaccioso di un "progresso" più subito che indirizzato, non lascia indifferenti, perché contribuisce a marcare il discrimine che separa quello che siamo stati da quello che - chissà - saremo. Una dicotomia riconducibile, ad esempio, al senso comune di celebri espressioni (usate qui come mero pretesto, lo stesso assai evocative): da un lato, il "fa di te stesso un'isola" (D'Annunzio), come affermazione inequivocabile dell'individuo, del suo primato; dall'altro, inversa polarità, il "nessun uomo e' un'isola" (Donne), a ribadire, invece, e a ridefinire in prospettiva il progetto di "comunità" come pietra angolare di qualunque forma di armonia, che l'Occidente proprio su un'isola - l'Isola - tenta di comporre come estremo tentativo di debellare la "nausea" (o lo "spleen" di Baudelaire, il risultato non cambia), ovvero il non poterne più, a conti fatti, proprio di se stesso. Dell'aver declinato, per dire, il concetto di "equilibrio" come sommatoria di oggetti - e persone - da controllare/possedere (il dispotico magnate Widmore). Di essersi di conseguenza inchinato e mai rialzato al cospetto di Sua Maestà il Denaro e del suo onnipotente Gran Consigliere/Tuttofare, la Tecnica. Della venerazione per il lavoro purchessia: oltre l'alienazione, l'incolumità fisica e psicologica, lo spauracchio per niente aleatorio della schiavitù, l'oscena eterogenesi dei fini tra produzione e consumo (i mestieri senza storia di Locke e dell'Hurley pre-lotteria, e con un orecchio alle considerazioni di un uomo come Adam Smith, tirato sovente per la giacchetta da un liberismo mai tanto vanitoso nel proclamarsi allergico ad ogni limite: "L'uomo che passa la vita a compiere un numero limitato di operazioni semplici, non ha modo di esercitare la propria intelligenza e le sue facoltà inventive. Egli si abitua a questo esercizio e generalmente incretinisce" - A.Smith, "La ricchezza delle Nazioni", 1776 -). E delle agonie privilegiate, delle comode inerzie e delle sfavillanti scipitezze (le anodine routine borghesi di Jack, Sun e dei fratellastri Boone e Shannon). Delle bassezze e delle ipocrisie spacciate per cul-de-sac esistenziali. Come, alla fin fine, dei tanti, troppi sentimenti inconfessabili e dell'incapacità quasi pacifica, oramai, a provarne di sinceri. Ed e' proprio attorno a queste "voragini", a questi incontrollabili campi elettromagnetici della vita, a questi "fumi neri", che si aprono, cortocircuitano, si addensano, vortica l'uomo "moderno", volta per volta rivelato dall'incrollabile dirittura morale venata di sensi di colpa e di ubbie circa la propria inedeguatezza di Jack. Dalla dolcezza guardinga e dall'indipendenza fragile di Kate. Dalla sfacciataggine ribalda ma "difensiva" di Sawyer. Dalla logica inesorabile ma imperfetta di Locke. E ancora, dalla sublime perfidia alimentata da un dolore mai rimarginato di Benjamin Linus. Dalla determinazione disincantata di Sayid. Dalla febbrile irruenza e dalla fedeltà ad un patto del "viaggiatore del tempo" Desmond. Dal sarcasmo malinconico e onnicomprensivo ("Ehi, 'coso'") di Hugo detto "Hurley". Dalla dedizione reciproca più forte di ogni contraddizione di Sun e Jin. Dalla desolazione inerme in cerca di affettuoso riparo ma capace di sacrificio del rockettaro Charlie e così via...

Su questa linea si può provare, cosi, ad inquadrare anche il caleidoscopio spiazzante dei vari "flashbacks" e "flashforwards" (ciò che e' stato e ciò che avrebbe potuto essere; mettere le mani sul passato per guarire il presente e ricominciare a confidare nel domani), nonché l'incedere elegiaco e misticheggiante del finale, consequenziale e furbastro, magari pure prevedibile e deludente (questo accade spesso), o indifferente (nel senso che si ha la netta sensazione che la faccenda sia tutt'altro che "finita": e questo accade già più di rado): persino eventuale, se vogliamo, (tutto il "mondo" di "Lost" e' racchiuso in due battiti di ciglia del suo leader Jack Shepha/(e)/rd/pastore, detrattore e poi martire che sopra ogni altra cosa non si rassegna al buio, all'impossibilita di "vedere", come vuole una Modernità per cui tutto deve essere manifesto, a portata di mano, facile da usare, cioè, in sostanza, passibile di superamento delle sue ambiguità). In ogni caso, latore di un'inquietudine e di una insofferenza che scomodano certezze tali solo in superficie e che nei fatti continuano a ribattere su rimpianti inconsolabili, slanci inappagati, occasioni più o meno stupidamente mancate, ansie e timori tutt'altro che superati (sul serio tutto da vedere se e quanto sia balzano il sospetto per cui l'uomo "costretto" ad essere "moderno" cominci piuttosto ad averne abbastanza della prospettiva sempre alle porte di un futuro sic et simpliciter artificiale, tecnologico, "prevedibile", in ogni suo aspetto pacificato). Come a dire che, tutto sommato, e' sempre lo stesso il punto all'infinito al quale istintivamente - come esseri umani - si tende, ossia quello giunti di fronte al quale ritrovarsi insieme, davvero, pronti, unicamente, semplicemente, ad amarsi.

TFK

1 commento:

Anonimo ha detto...

un tipo particolare di inquinamento atmosferico fa riferimento all’elettrosmog (in particolare antenne dei telefonini). Può causare una diminuzione
degli scambi tra il nucleo e la membrana cellulare, riducendo poco a poco la differenza di potenziale elettrico della cellula, causando così un malfunzionamento che può generare disfunzioni e malattie. Spesso infatti un luogo, reso insalubre dalla presenza di antenne per la telefonia mobile, di impianto elettrico e di cellulari ha effetti biologici negativi sulla vita della persona, ne perturbano l’energia e l’equilibrio individuale, provocando intolleranze e danni alla salute psicofisica e indebolendola nella sua totalità o funzioni di essa, anche solo in determinati periodi.
Tra gli influssi nocivi più comunemente si notano malesseri di pertinenza neuropsicologica come sonno inquieto con frequenti risvegli e incubi, sonno non soddisfacente con sensazione di stanchezza o bassa energia mattutina, risveglio difficile e lungo, insonnia perniciosa, mancanza di concentrazione, stanchezza cronica, ricorrente mal di testa e di schiena, disturbi della colonna vertebrale, depressione atipica, inquietudine non spiegabile, sterilità, tachicardia ed ipertensione essenziale, manifestazioni patologiche, senza accertate cause organiche, da sistema immunitario debilitato, emicranie resistenti alle terapie ufficiali frequentemente associate a irritabilità, brividi ed invecchiamento della pelle. Ciò avviene, con amplia variabilità individuale,in base alla sensibilità personale (più esposti sono i bambini e le donne), al livello di soglia di vulnerabilità allo stress e alla somma dei campi elettromagnetici negativi presenti nell’ambiente circostante.
liberamente tratto da P. Zucconi, Il manuale pratico del benessere, edizioni Ipertesto con patrocinio club UNESCO