L’ultima
ora
di
Sébastien Marnier
con
Laurent Lafitte, Emmanuelle Bercot, Grégory Montel
Francia,
2018
genere:
thriller
durata:
103’
Presentato
alla 75esima edizione del festival del cinema di Venezia, “L’ultima ora” di
Sébastien Marnier è un vero e proprio thriller, camuffato attraverso un
“tranquillo” film con adolescenti protagonisti.
Pierre
Hoffman è un quarantenne professore di francese che si ritrova ad essere il
supplente nella classe del professor Capadis che si suicida, gettandosi dalla
finestra davanti ai suoi stessi alunni. Prendere, quindi, in mano una classe
del genere non sarà affatto semplice. Se a questo fatto ci viene sommato anche
il carattere tutt’altro che collaborativo dei 12 alunni della classe, in
particolare di 6 di loro, ecco spiegato il perché delle continue paranoie e dei
continui interrogativi del professor Hoffman. Seguendoli costantemente senza
lasciarsi fregare dalle apparenze, dall’eccessiva perfezione e presunzione di
quelli che vengono da tutti decantati come gli alunni per eccellenza, e
indagando, in qualche modo, il protagonista verrà inevitabilmente coinvolto in
qualcosa di più grande di lui.
Fin
da subito lo spettatore, accompagnando il professore, si trova invischiato in
questo mistero che capisce essere troppo grande. Sia il pubblico che Pierre
Hoffman si ritrovano, fin dalle prime battute, a dubitare di questi alunni
troppo perfetti in tutto, tanto da destare giustamente sospetti.
La
chiave dell’intero film non è tanto il cercare di capire ciò che i ragazzi
stanno progettando, ma cercare di capirne il motivo e andare ad indagare su di
loro, sviscerando ogni loro singolo comportamento o atteggiamento. Quello che
cercano di trasmettere agli altri è una paura esagerata del futuro e di ciò che
esso porterà con sé. Nessuno sembra riuscire a stare dietro alle loro
macchinazioni, o meglio nessuno sembra interessarsene perché ciò che conviene
di più è rimanerne all’oscuro. Tutti tranne il professor Hoffman che, forse
proprio per il suo ruolo di precario, vede il mondo, la realtà e il futuro in
un modo diverso, non si arrende e cerca di scavare fino in fondo per arrivare
il prima possibile a una soluzione.
Molto
bravi i giovani interpreti che riescono a trasmettere questo senso di
alienazione dalla realtà in maniera convincente, nonostante a volte risultino
forse un po’ troppo forzate le loro decisioni e i loro atteggiamenti. Così
facendo sembrano quasi estraniarsi ed emergere da un mondo fantoccio dove
nessuno ha il coraggio di prendere in mano le redini della situazione, ma anzi
ognuno preferisce lavarsene le mani perché ciò che succede senza coinvolgerli
direttamente non li preoccupa minimamente.
Una
sorta di preannuncio di ciò che oggi vuole dirci Greta Thunbergh, icona di un
mondo che dovrebbe comportarsi in maniera diversa?
Veronica Ranocchi
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