Illegittimo
di Adrian Sitaru
con Adrian Titieni, Alina Grigore
Romania 2016
genere, drammatico
durata, 85'
Ci sono film che appartengono a tutti e altri che sono espressione di punti di vista particolari, legati alla storia di un determinato luogo, in ogni aspetto figli della cinematografia che li ha prodotti. Illegittimo di Adrian Sitaru, il film del 2016 che precede Fixeur, anch’esso in uscita in Italia questo mese a cura di Lab80 Film, possiede entrambe queste caratteristiche. Indicativa a tal proposito è la lunga sequenza iniziale, nella quale assistiamo a una discussione che si trasforma in qualcosa di più significativo quando, durante la consumazione del desco, uno dei figli rimprovera al padre di essere stato tra i medici che ai tempi di Ceausescu denunciavano allo Stato le pazienti determinate ad abortire, nonostante il divieto da parte della legge. Lo scontro di vedute tra vecchie e nuove generazioni rappresenta, infatti, il viatico per l’ennesimo confronto tra il passato e il presente di un paese su cui ancora gravano le conseguenze della dittatura – tema oltremodo ricorrente in queste produzioni – come pure il motivo scatenante del paradosso che quasi sempre finisce per rovesciare le posizioni dei contendenti, con gli accusatori costretti a fare a loro volta il mea culpa per le stesse ragioni alle quali facevano appello.
D’altra parte, la supremazia della parola sulla prassi del quotidiano e la capacità della mdp di seguirla e renderla viva, attraverso la facoltà di incarnarla da parte degli interpreti di cui il cinema romeno è maestro, fa il paio con la scelta di un motivo scatenante – quello fornito dalla legittimità di decidere se dare alla luce i propri figli – che fu alla base di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, lungometraggio destinato ad annunciare l’ascesa del nuovo cinema romeno. Insomma, Adrian Sitaru, sviluppando l’antefatto in maniera imprevista e provocatoria, per il modo con cui i fratelli Sasha e Romeo gestiscono l’incidente scaturito dalla loro prossimità, riesce a mettere insieme contenuti e quello stile che abbiamo imparato a conoscere dai lavori dei maestri Mungiu (per i contenuti) e Puiu (per la messinscena), senza limitarsi a una semplice adesione al modello di riferimento, ma anche tentando di seguirne il miracolo della forma, quella semplicità che ogni volta finisce per risultare profonda e coinvolgente.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su taxidriver.it)
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