The Menu
di Mark Mylod
con Ralph Fiennes, Anya
Taylor-Joy, Nicholas Hoult
USA, 2022
genere: horror, commedia,
drammatico
durata: 107’
Disturbante e
destabilizzante al punto giusto il “The Menu” servito da Mark Mylod
nasconde una simbologia e dei richiami davvero ben fatti.
Un film che si snoda,
come un menù, su più portate e che, con il procedere della narrazione, si
trasforma davvero in una cena. Come al ristorante, dopo l’inizio, spesso cauto,
degli antipasti, si rompe il ghiaccio, si sblocca la conversazione e si anima
la tavola, anche in questo caso, dopo un inizio fin troppo lento si entra
nel vivo di una vicenda tanto assurda quanto complessa.
Tutto inizia con la
decisione da parte del giovane e altezzoso Tyler di portare la nuova fidanzata
Margot in un ristorante di altissimo livello situato su un’isola senza
copertura di rete. Qui, ad accoglierli, oltre a personale e camerieri in grado
di conoscere tutti i segreti, anche quelli più nascosti, di ognuno dei presenti
(fatta eccezione per Margot, “sostituita” nella prenotazione da Tyler dopo
essere stato lasciato dalla precedente fidanzata), c’è lo chef Julian Slowik, specializzato
in gastronomia molecolare, e intenzionato a cercare la perfezione nei suoi
piatti. Una perfezione che prova a mettere in pratica arrivando davvero al
limite dell’umano e che porterà la cena a trasformarsi in qualcosa di molto più
terrificante…
Classificato come un
horror commedia, “The Menu” è, in realtà, una satira sociale che prende e si
prende in giro continuamente, anche nei momenti più drammatici, macabri e violenti.
L’intento dello chef (un
più che convincente e “terrificante” Ralph Fiennes) si trasforma in una sorta
di purificazione nei confronti dei presenti. I commensali, infatti, non sono
scelti a caso. Alla cena partecipano, oltre a Tyler e Margot (un’Anya Taylor-Joy
assoluta protagonista al fianco di Fiennes), molti altri: una coppia con un
marito infedele, un’altra formata da un attore in declino e ancora giovani informatici
e critici gastronomici che non hanno idea di ciò che affermano e scrivono.
Ognuno di loro, nella
logica dello chef, deve in qualche modo essere punito, sia fisicamente che
psicologicamente, anche attraverso le portate servite a tavola. Tutti hanno una
colpa che pensano di poter tenere nascosta agli altri o al resto del mondo, ma
che verrà inevitabilmente a galla con il passare del tempo. L’unica a non
rientrare nella tela tessuta dal temibile chef Slowik è proprio Margot che
prova con tutta sé stessa a uscire da una realtà che non le appartiene. Già con
il rifiuto di assecondare le portate proposte, inizia a tenere in pugno la
situazione, anche inconsapevolmente e, in una spasmodica ricerca, trova il
famigerato “pelo nell’uovo” per smontare tutta la complessa costruzione del
locale stesso.
Un film che si presta a
una chiave di lettura non così semplice come può sembrare. Anche perché il
sottotesto è vasto, dalla denuncia sociale alla punizione nei confronti di
quella nobiltà, solo in senso lato, spocchiosa e arrivista. Ma si arriva anche
a una riflessione sulla vita stessa e sugli obiettivi da porsi per condurre un’esistenza
serena e tranquilla.
A qualche momento destabilizzante
e, per certi versi, più traumatico, si contrappongono i pochi, ma intensi momenti
di dialogo tra i personaggi di Fiennes e Taylor-Joy.
Tanti anche i richiami e
i riferimenti a molti titoli che hanno posto al centro cibo e cucina.
Un finale che può
apparentemente spiazzare, ma che racconta molto più di tanti giri di parole la
realtà del film e quella che ci circonda. A chiusura l’ennesima didascalia,
insieme a tutte quelle che accompagnano le portate e la divisione in capitoli
del film, che si prende gioco anche dello spettatore stesso.
Veronica Ranocchi
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