Tori e Lokita
dei fratelli Dardenne
con Pablo Schils, Joely
Mbundu, Alban Ukaj
Belgio, Francia, 2022
genere: drammatico
durata: 88’
Dopo essere stato tra i
film in concorso al Festival di Cannes, “Tori e Lokita” dei fratelli Dardenne
arriva, in prima nazionale, al Festival dei popoli e colpisce, senza mezzi
termini, lo spettatore che si ritrova inerme al cospetto di un’opera brutale
nella sua semplicità.
Non un documentario, ma
un film che si “limita” a raccontare una storia. La storia è quella di Tori e
Lokita, due giovanissimi immigrati africani arrivati in Belgio per sfuggire
alle condizioni di vita dei rispettivi paesi. Pur provenendo da paesi diversi i
due si sentono fin da subito legati, come fratello e sorella, ma devono dimostrare
che questo legame ci sia davvero. Non potendolo fare, si trovano costretti a
sottostare a delle vere e proprie imposizioni da coloro che promettono di poter
offrire loro delle condizioni di vita migliori. Nel frattempo, però, i pericoli,
gli ostacoli e la vita in generale diventano sempre più duri e inaccettabili.
Un vero e proprio pugno
nello stomaco quello di “Tori e Lokita”. Quello che fanno i fratelli Dardenne è
portare sullo schermo una vicenda reale, soltanto “mascherata” da finzione.
La vita di Tori e Lokita
è, seppure lontano dal nostro immaginario, quanto di più vero (purtroppo) possa
esistere.
Con una disarmante (e
cruda) verità i fratelli Dardenne tentano di raccontare cosa significa vivere
dalla parte opposta per tutti coloro che, ogni giorno, attraversano non solo il
mare, ma anche molto altro, lasciando indietro famiglia e affetti. Sicuramente
un modo diverso di vedere il mondo, ma un modo che a molti è precluso o comunque
limitato, per mille motivi. Ed ecco che, come nel caso di Tori e Lokita,
diventa indispensabile riuscire ad aggrapparsi a qualcosa per sopravvivere in
quella che, alla fine dei conti, è una vera e propria giungla.
Da lavori inaccettabili a
situazioni degradanti per la persona stessa, per la società, per la morale e
per molto altro.
Lokita, più grande e
quindi più soggetta a determinati “obblighi”, è anche quella che subisce
maggiormente il potere di una parte della società che pensa di poterla usare,
sotto tutti i punti di vista, per il proprio tornaconto. Tori, invece, più
piccolo, ma anche più scaltro, cerca di sovrastare questo ingiusto “sistema” e
tenta di fare il possibile per allietare la “sorella” e cercare di non far
portare solo ed esclusivamente a lei tutto il peso della responsabilità.
Con una narrazione
lineare e pulita, i due registi tratteggiano una situazione insostenibile,
arrivando fino all’osso della questione e mostrandola, quasi del tutto senza
filtri, a uno spettatore che non può non essere colpito dalle atrocità perpetrate.
I due “fratelli” riescono
a esserlo e diventarlo quasi per davvero, aiutati dal supporto reciproco. Un
supporto che addirittura arriva a invertirli trasformando, a tratti, Tori nel
fratello maggiore che indirizza, consiglia e supporta la sorella.
Menzione speciale, oltre
ai due intensi protagonisti, alla canzone scelta dai due fratelli. “Alla fiera
dell’est”, che torna costantemente nella narrazione, diventa quasi metafora
della situazione di ripercussioni che i due devono subire.
Veronica Ranocchi
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