lunedì, marzo 17, 2008

Onora il padre e la madre

Il titolo originale non lascia alcuna speranza: "Prima che il diavolo sappia che sei morto" contiene in se' la forma ed il contenuto di questo film: lo snodo principale, ovvero il tentativo di rapina conclusasi con la morte della madre, è il punto di non ritorno che separa la vita dalla morte; è il dopo che viene prima, mostrato con una serie di continui flashback attraverso i quali la dimensione temporale finisce per confluire in quella atemporale e soggettiva dei due protagonisti. In questo senso il film è di una fluidità quasi imbarazzante rispetto agli accartocciamenti di certo cinema pseudo sperimentale e l’accelerazione che ne segnala la scansione è l’unica concessione che viene fatta al didascalismo mainstream.
L’isolamento dei due fratelli è implicito nella scelta di collocarli quasi sempre all’interno di spazi chiusi e scarsamente illuminati, nella prospettiva a tre quarti (invece di quella frontale) che riprende le loro conversazioni, nella decisione di separarli singolarmente al centro dell’inquadratura quando il regista vuole far emergere la loro disperazione- (nel bar dove Hawke affoga le sue sconfitte quotidiane, oppure nella splendida scena in cui Hoffman (uno straordinario attore alle prese con il su ruolo più bello ci confessa la sua incapacità di far quadrare i conti della vita, seduto su una poltrona che diventa il trono delle sue miserie). I
l film è saturo di mestizia ed è attraversato da un dolore che diventa fisico nel corpo nudo di Marisa Tomei (per un ruolo da protagonista dobbiamo resuscitare Cassavetes?), violato e privo d’affetto, oppure quando la cinepresa si concentra sulle facce perennemente sfatte e segnate da posture che le deformano (su tutti la bocca del padre aperta in un spasmo indefinito). I corpi profanati diventano la testimonianza della condizione umana: l’esilità nervosa ed inetta di Hawke, il figlio piccolo e viziato, si oppone alla corpulenza poderosa e sgraziata di Hoffman (, il primogenito, trattato come un corpo estraneo dalla famiglia (tanto da arrivare a dubitare di farne parte in un drammatico confronto con il padre) e perciò abituato a cavarsela da solo.
Lumet ci regala forse il suo miglior film, certamente uno dei più belli degli ultimi tempi, realizzando una storia newyorkese che riesce a interrogarsi/ci sul senso delle nostre scelte e sulle conseguenze che esse comportano; un delitto e castigo costruito attraverso un "referto spirituale" che ricorda in qualche modo Bresson ed in tempi più recenti l’Eastwood di Mystic River. Non ci stupiamo che un film del genere sia rimasto assente da qualsiasi tipo di riconoscimento perchè la sua presa di coscienza è ancora troppo lontana dall’impegno di facciata che caratterizza il nostro tempo.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

bella recensione (come sempre) nick.
A me il film è piaciuto molto.
Se qualche regista, anche acclamato, vuol vedere come si fanno i film prego accomodarsi dall'ultraottantenne Lumet.
Il film è claustrofobico, soffocante. Una tragedia greca travestita da dramma criminale.
Un film sulla disgregazione famigliare, la perdita di valori (quest'anno evidentemente è di moda). Ho molto apprezzato il livore dei dialoghi e la fotografia gelida.
Ho trovato delle vaghe somiglianze con quel pomeriggio di un giorno da cani, forse influenzato dalla rapina sgangherata.
E' vero che ci si può trovare anche un pò di Mystic River, però nel film di clint eastwood il "gruppo" era un pò allargato non era composto solo da famigliari ed inoltre c'era un minimo di aggregazione di stringersi insieme, mentre qui crolla tutto, precipita sempre di più non c'è unità tra i protagonisti della storia.Fabrizio

parsec ha detto...

Nick e Fabrizio grazie dell'analisi puntuale cui non ho nulla da aggiungere: le vostre considerazioni colgono perfettamente il senso del lavoro del Maestro Lumet e io mi concedo quindi la frivolezza di annotare, con una punta di invidia, il seno da ventenne di Marisa Tomei a 43 anni compiuti.

nickoftime ha detto...

Ciao fabri,
ho parlato di Mystic River perchè entrambi parlano di gente comune che sconta le colpe di un peccato originale che non ha mai commesso ma piuttosto subito (Robbins ha subito una violenza, Penn subisce una violenza), per il senso di ineluttabilità e per l'immanenza del male. E' vero però che laddove MR è magniloquente ONora...tende all'essenziale..Bresson anche mi è sembrato un esempio calzante..stesso rigore, stessa spbrietà della messa in scena e spprattutto stesse conclusioni
Si Parsec La tomei è bellissima...(il suo corpo urla dall'inizio alla fine)ed anche molto brava...
un saluto affettuoso

Anonimo ha detto...

Ieri sera ho visto il film di Sidney Lumet con un titolo italiano che non c’entra nulla con il film inneggiante all’onorare il padre e la madre. E’ una storia di maschi. Per la precisione di maschi ipnotizzati, drogati e inconsci. L’ha scritto e diretto un Sidney Lumet nato il 25 giugno 1924 e quindi di quasi 84 anni. Ogni artista produce nella sua arte, nella sua opera, quello che gli piace. Sidney Lumet è un uomo che ha impiegato la sua vita male e l’ha terminata peggio. Il film è il testamento di un fallito. E la storia di un padre che si ritrova con due figli assolutamente immersi nel danaro, pronti a tutto per danaro. Due prodotti della sua educazione, e uno in particolare, il maggiore lui dopo aver preso atto del suo fallimento ammazza perché in quel modo pensa di cancellare l’inutile e assurda vita che ha condotto come padre.
Per uno di successo come Sidney Lumet arrivare a stabilire di aver sprecato la propria vita deve portare a una depressione e a un senso di fallimento che non auguro a nessuno. Comunque questa è la dimostrazione che seguendo le regole del successo si spreca la propria vita, proprio come l’ha sprecata Sidney Lumet!

Anonimo ha detto...

Innanzitutto benvenuta in questo spazio..Sono d'accordo con te per quanto riguarda il titolo e l'aggettivo maschile: come nel film di Gray, le donne sono solo accessori..ci sono finchè servono..in questo senso credo che un mondo tutto al maschile, per le caratteristiche di potenza di questa "specie" FINISCA INEVITABILMENTE PER AUTODISTRUGGERSI...Il discorso sul successo mi sembra più complesso: fine a se stesso può finire come dici tù; come conseguenza di sè allora no.
"Il film è il testamento di un fallito"-ma può anche essere la "testimonianza" di un fallimento. Nella sua filmografia Lumet mi è sembrato più il testimone che il protagonista delle sue storie.
Tu che ne pensi'
ciao
nickoftime