sabato, ottobre 18, 2014

9 FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA: AS THE GODS WILL

Festival internazionale del film di Roma -3 giornata
As the gods will
di Miike Takashi.
Giappone, 2014
120'



Miike Takashi e' un autore eclettico, controverso, quindi alterno, comunque sempre ben disposto a non tirarsi indietro di fronte agli argomenti spinosi, come alla possibilità di trarre conseguenze poco in linea con l'acquiescenza corrente. Si prenda ad esempio questo "As the gods will" e il suo modo di mettersi di traverso - alla solita maniera che coniuga sarcasmo ai limiti dell'irrisione, crudeltà beffarda, spietatezze assortite, isolate tregue in cui a fatica si fa largo la riflessione stranita o scampoli di un desiderio di vicinanza autentica, in genere negletta se non, persino, inesistente - rispetto a quella che potremmo definire con scarsa fantasia "lo stato dell'arte della modernità" ai tempi della sistematica disgregazione dei rapporti e dell'imporsi in sua vece di una condizione (post-qualcosa, meta-qualcosa, chi sa più dirlo con certezza ?) sempre più mediata (di fatto, di continuo ri-generata) dalla onnipresenza tecnologica e dai suoi più possenti bracci armati: il denaro e le merci (intese come consumo nel senso più generico del termine).

Da decenni l'Occidente si gingilla col concetto di pulsione di morte, finendo con l'averlo interiorizzato nei modi di una resa psicologica ed etica al dato-di-fatto, la superficie inerte del quale viene talvolta increspata da esplosioni di violenza pressoché immediatamente rimosse (o mal interpretate o nemmeno analizzate) nell'illusione che il mastice a base di solvibilità e oggetti  richiuda la crepa e soprattutto regga. Ebbene, Miike prova a fermarsi un istante, a guardare più da vicino il tessuto di questa realtà in apparenza dai colori vividi e subito riconoscibili quanto instancabile nel garantire che domani non sarà altro che l'ennesimo oggi, e addentrandosi nelle vite di coloro - che già solo fisicamente rappresentano il futuro - su cui quella realtà punta per imporsi una volta per tutte: un gruppo di giovani uomini e donne. Nel caso, liceali.

Alla luce di ciò, se l'esistenza di gran parte della gioventù odierna e' ritmata in maniera serrata e monotona sul progressivo allontanamento dalla pratica quotidiana dei fatti (per quanto scoraggianti, insensati, banali essi siano: pensiamo alla piaga sociale degli otaku, qui ritratti tra l'ironico e il patetico) a favore di una reiterazione fondata sull'utilizzo passivo dei manufatti tecnologici, sull'assenza o limitazione degli stimoli, sul restringimento conseguente degli orizzonti ad un qui-e-ora di primo acchito eternamente promettente ma via via inflessibile, fino al momento di mostrarsi al dunque di una scelta col suo vero volto - un ghigno severo ed esigente - diventa allora sensato scaraventarne un esemplare - Takahama Shun, Takeru Amaya e Akimoto Ichiko ne incarnano nel film l'epitome più rappresentativa - all'interno di un contesto (un gigantesco cubo bianco opaco che staziona/veleggia nei cieli, subito ribattezzato dai media accorsi golosi, "il cubo di Hokkaido") tarato su misura della logica stringente di un videogioco ad eliminazione graduale dei suoi partecipanti.

Shun - annoiato e depresso quanto sensibile e di fondo disgustato di una vita già senza vie d'uscita -; Amaya - egoista e violento, prevaricatore e cinico, votato alla conservazione di se stesso come eletto di una stirpe superiore che ha il dovere morale di eliminare i più deboli -; Ichiko - dai capelli decolorati e dall'animo in bilico tra una frivola spensieratezza, una indefinita attrazione per Shun e un grumo più intimo fatto di solitudine e frustrazione - insieme ad altri appartenenti alla loro sfera comune, assurgono così a rango di protagonisti di un gioco (la vita-agli-albori-del-terzo-millennio) in cui si prende teoricamente parte a tutto e alla fine si muore spesso per niente, ossia o per capriccio o per caso.

Miike concentra la sua attenzione sul carnevale folle ma, letteralmente, iperrealista che coinvolge/usa i ragazzi; sui loro volti stravolti dal terrore, dall'incredulità, come da una sorta di serafica apatia, costruendo una messinscena al solito pulsante nei colori vistosi (il sangue, le luci della città, i tramonti al limite dell'oleografia) e veemente nelle scansioni (a cui non poco contribuisce anche il tipico piglio assertivo nipponico) ma controllata e inflessibile nell'aderenza ad una programmatica inerzia fondata sul legame di causa-effetto. Ciò che si perde, fatalmente, nel meccanismo del "passaggio al livello successivo", si recupera nella coerenza di un pessimismo che non ammette infingimenti o scorciatoie. Perché se il Male alla fine non muore, il Bene non trionfa e la sopravvivenza e' mera questione di fortuna, non d'intelligenza, non di abilita', non di forza: se, in altre parole e a conti fatti, e' questa " la volontà di Dio", sembra lecito e addirittura  morale sentenziare alla maniera di Shun: "Se Dio ha creato tutto questo, che si fotta !".


TFK (voto: ****)

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