venerdì, ottobre 03, 2014

PARTY GIRL

Party Girl
di  Marie Amachoukeli-Barsacq, Claire Burger e Samuel Theis
Francia, 2014
genere, drammatico
durata, 95'


Marie Amachoukeli, Claire Burger e Samuel Thesis, giovane trio francese formatosi presso la prestigiosa scuola di cinema parigina Fémis, hanno addolcito la sessantasettesima edizione del Festival di Cannes con un prodotto di rarefatta bellezza e morbida semplicita', vincendo nella categoria Un certain regard e Camera d'or.

A dispetto di quel che il titolo potrebbe farci credere “Party Girl” e' la storia di un'adolescente con le rughe, Angélique -l'ironia del contrappasso- accompagnatrice di professione, che si trova ora a dover scegliere se accettare una proposta di matrimonio che le consentirebbe di cambiar vita, o se continuare a perdersi in notti brave con le ragazze del night, amiche e sorelle.

Al confine -certo- fra Germania e Francia stanno il suo locale e la sua vita: al confine non sempre cosi' chiaro della terza età' è ormai giunta, sebbene tutto di lei, dall'aspetto di una moderna "vecchia imbellettata" all'eloquio colorito, ne palesino la più totale assenza di consapevolezza.
Che fare?

La pellicola, che non a caso inizia e finisce sulla strada -ma si badi bene, sempre la stessa- si muove lungo il percorso di redenzione in cui ci aspetteremmo di accompagnarla e lasciarla, ma solo per rigettarne tutti i comodi porti che Angélique intravede di fronte a sé.
Forse colmi di quella sicurezza che gli occhi marini della protagonista palesano in ogni singolo guizzo, i tre coraggiosi registi fanno vincere l'individualità e l'inclinazione del singolo, intessendo un elogio alla liberta' di scelta di ciascuno, anche se si tratta di onorare ciò che non e' moralmente accettato. Notevole come la contrapposizione tra amor sacro e amor profano obbedisca ad una pudicizia e a un candore cui non siamo certo più abituati.

Il ritratto di questa moderna eroina che si batte contro tutti, compresi i quattro figli che suo malgrado sono riusciti ad uscire dalla giovinezza, e' reso particolarmente efficace e coinvolgente da una narrazione laica che ricorda a tratti il (neo)realismo dei fratelli Dardenne: sfoggiando un corpo vero, invecchiato e appesantito dagli anni, Angélique Litzneburger, incantevole nella sua prima volta come attrice, interpreta se stessa sotto la direzione del figlio Theis.
Un andamento che flirta col documentario -non a caso forma del progetto originario- ma si arricchisce della finzione, mostrando ancora una volta che, per dirla con Wilde, la vita imita l'arte più di quanto l'arte non imiti la vita.

Erica Belluzzi

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