Athena
di Romain Gavras
con Dali Benssalah, Sami
Slimane, Anthony Bajon
Francia, 2022
genere: drammatico
durata: 97’
Nato come cinema di
denuncia quello ambientato nelle banlieue parigine, a partire da “L’odio” di
Mathieu Kassovitz, opera seminale se ce n’è una, è diventato un vero e proprio
filone, palestra d’esordio per giovani registi e verifica sul campo per quelli
(il Jacques Audiard di “Dheepan - Una nuova vita”) che, per ragioni
anagrafiche, non lo sono più. Dunque non stupisce il fatto di ritrovarlo in
concorso a Venezia, data la capacità dello stesso di intercettare gli umori di
una specifica area sociale e di farsene carico con una riconoscibilità capace
di farsi capire a ogni latitudine geopolitica. In un’ottica esclusivamente
cinematografica la presenza di “Athena” all’interno del concorso veneziano era
chiamata a rinverdire l’importanza del genere in questione sulla scia del
grande successo riscosso a Cannes da “I Miserabili”.
Un paragone non
peregrino, quest’ultimo, poiché la scena d’apertura di “Athena”, diretto da
Romain Gavras, sembra cominciare laddove finiva il film di Ladj Ly (coautore
della sceneggiatura), ovvero sulla scalinata di un palazzo in cui dei
poliziotti cercano invano di difendersi dalla rappresaglia delle nuove
generazioni di diseredati. Alla sovrapposizione visiva con la sequenza finale
de “I Miserabili” il lungometraggio di Gavras aggiunge quella narrativa perché
anche qui a scatenare il caos è la violenza dello Stato: nello specifico il
tragico omicidio di un bambino appartenente alla comunità locale da parte della
polizia verso cui si rivolta la popolazione di Athena, quartiere dormitorio trasformato
in fortezza da Karim, fratello della vittima, grazie al seguito di rivoltosi
che ha risposto alla sua chiamata alle armi. Similitudini presenti anche nella
particolarità di delineare un fronte interno alla rivolta tutt’altro che unito,
con i tre fratelli della vittima animati da punti di vista opposti: il
primogenito, spacciatore, interessato a salvaguardare i suoi affari; Abdel,
militare di carriera, intenzionato a evitare il verificarsi di una tragica
escalation.
Narrato nel rispetto
dell’unità spazio-temporale (un must in questo tipo di film), ad “Athena” non
si può negare il plauso di un inizio a dir poco folgorante, rappresentato dal
magnifico piano-sequenza in cui, come fossimo all’interno di un videogioco, il regista
ci catapulta in mezzo al caos che sta montando tra gli abitanti del quartiere.
Fin dalle prime immagini la sensazione trasmessa è quella di una forza
straripante e di una grandeur che di solito si ritrova per lo più nel cinema
americano. Gavras non gli è da meno né in termini cinetici né di uso
drammaturgico della pista sonora, chiamata a commentare ma anche a scandire in
termini di ritmo le azioni dei personaggi. Un dispositivo, quello pensato dal
regista, destinato a reggere fintanto che l’autore francese riesce a tenere
sotto controllo la sua voglia di stupire. Peccato che la tendenza ad esagerare,
evidenziata da una recitazione perennemente sopra le righe, in cui le
esplosioni di rabbia e tragedia si ripetono senza soluzione di continuità, finisca
per alimentare una voglia di superarsi capace di influenzare tanto l’impianto
visivo, votato a un’ubiquità tecnologica, realizzata attraverso l’uso di droni
ma anche della computer graphica, tanto la struttura narrativa, destinata ad
allargare il discorso mettendovi dentro il più possibile (a un certo punto si
accenna allo scoppio di una guerra civile in tutto il Paese).
Come nella storia di
“Pierino e il lupo”, anche “Athena" con il passare dei minuti perde di
verosimiglianza e quindi di credibilità diventando come certi blockbuster in
cui tutto diventava esercizio di stile: ivi compresi i personaggi, sottomessi
alla dittatura delle immagini e funzionali al clamore della messa in scena;
come capita per il repentino cambio di rotta di Adbel, troppo meccanico e
ingiustificato per non risultare programmatico.
Un vizio di forma ancora
più evidente nell’immagine finale, del tutto superflua e anzi dannosa nel
sovraccaricare il peso della visione con la denuncia di un complotto che arriva
fuori tempo massimo anche nel rimettere in discussione tutto quello che abbiamo
appena visto. Più che per un Festival di arte cinematografica “Athena” sembra
realizzato pensando a un pubblico meno cinefilo e desideroso di essere
intrattenuto da una storia che non ha bisogno di “traduzioni”. L’uscita su Netflix
gli farà trovare un accoglienza più consona alla sua proposta.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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