L’immensità
di Emanuele Crialese
con Penelope Cruz, Luana
Giuliani, Vincenzo Amato
Italia, 2022
genere: drammatico
durata: 97’
Sospesa sopra la testa di
Adriana, nella scena iniziale, la macchina da presa prende quota permettendo
allo sguardo di Emanuele Crialese di allargare la porzione di spazio dove la
protagonista passa il tempo a giocare e a desiderare un’altra vita. Poco dopo
la scena iniziale succede più o meno la stessa cosa. A cambiare è il punto di
vista, questa volta ad altezza uomo, ma il movimento è sempre lo stesso, con
l’obiettivo che allontanandosi dal centro del televisore in cui Raffaella Carrà
si scatena in un contagioso balletto, espande il suo occhio sull’interno
famigliare in cui madre e figli si stanno godendo lo spettacolo. Per Crialese
“L’immensità” è innanzitutto un problema di spazi e di luoghi alternativi. A
differenza della madre (Clara, interpretata da una Penélope Cruz che parla un
italiano con forte accento spagnolo), costretta all’interno di un matrimonio
già finito, incapace com’è di andare oltre le fantasie nelle quali ogni volta
immagina di fare il verso alle star della canzone, Adriana le prova tutte pur
di affrancarsi dal disagio della propria esistenza. Imprigionata in un corpo
che non sente suo, la ragazzina si ribella per davvero vestendosi da uomo,
facendosi chiamare con un nome maschile (Andrea) e quando possibile,
allontanandosi da casa per varcare la frontiera del proibito oltre cui si
estende il nugolo di baracche dove ad aspettarla ci sarà il primo amore.
Che si tratti di
paesaggio fisico o psicologico, i personaggi del regista di “Nuovomondo”
confermano la loro natura di viaggiatori, ribelli ai limiti imposti dalle
regole degli uomini e per questo alla ricerca di universi alternativi. Non è un
caso che la prima immagine del cinema di Crialese (“Once We Were
Strangers", 1997) sia un a sorta di epifania - sospesa tra sogno e realtà,
tra fisico e metafisico - in cui vediamo Vincenzo Amato, attore prediletto del
regista romano per aver partecipato a quattro dei cinque film girati, approdare
sulle rive del fiume Hudson dopo periglioso viaggio, in una scena rivelatrice
della natura migrante del protagonista, condizione che per il cinema di
Crialese rappresenta una sorta di “eterno ritorno” nietzschiano.
Ne “L’immensità” questa
dimensione è sviluppata in un confronto allo specchio tra madre e figlia, con
la prima che lascia in eredità alla seconda il compito di affrancarsi da ciò
che a lei non è stato permesso. La mascolinità di Adriana vuol dire anche questo:
impedire che nella (sua) vita ci sia un altro uomo pronto a dirle che cosa deve
fare, bloccandole la strada verso la sua realizzazione. A confermare il
passaggio di consegne tra Clara e Adriana è l’ultima di una serie di sequenze
surreali in cui nel corso del film le ritroviamo a ballare e cantare sul palco
le hit musicali degli anni 70 al posto dei veri interpreti (Patty Bravo,
Adriano Celentano, Raffaella Carrà). Nella sequenza conclusiva, infatti, Andrea
in versione crooner intrattiene la platea essendo unico padrone della scena;
pronta a “ballare da sola” dopo aver fatto da spalla alla madre.
Ma “L’immensità” va
guardato anche in termini di corrispondenza tra realtà e finzione, nella
vicinanza tra la biografia dei personaggi con l’esperienza umana del regista.
Da questo punto di vista il nuovo lavoro di Crialese si presenta simile a
quello che ha rappresentato “E’ stata la mano di Dio” per Paolo Sorrentino. A
testimoniarlo è stata - per entrambi - la necessità di prendersi più tempo
possibile prima di essere pronti a parlare al pubblico di un aspetto così
intimo e delicato della loro vita. Nel caso di Crialese questo ha voluto dire
smettere di girare per circa undici anni, tanti sono stati quelli che separano
“L’immensità” da “Terraferma”. Come il film di Sorrentino, anche “L’immensità”
permette all’appassionato di rileggere a posteriori la filmografia dell’autore
romano, di entrare con maggior consapevolezza e più a fondo nella sua
ispirazione creativa: si pensi per esempio alla corrispondenza tra Clara e la
Grazia di “Respiro”, femmine folli, frutto di un processo artistico proveniente
dalla stessa matrice esistenziale. Alla commistione tra sogno e realtà chiamata
a segnalare la lotta tra l’essere o il non essere dei personaggi, e ancora, al
concetto di viaggio che nella filmografia di Crialese non riduce il suo
significato ad un’unica accezione ma che è sempre il risultato di una necessità
materiale e insieme spirituale.
Come già successo ad altri registi quando si tratta di mettere in scena il film della vita, anche Crialese arriva all’appuntamento più importante con un pudore eccessivo. Così, quella che era stata la forza degli altri film, ovvero la capacità delle immagini di far vivere il desiderio dei personaggi attraverso la trasfigurazione poetica del reale qui non si fa sentire, essendo le sequenze musicali incapaci di rendere l’agognato altrove. Senza quella profondità, e con le psicologie dei personaggi debitrici di un maggiore sviluppo, “L’immensità” di Crialese si risolve sulla superficie delle immagini, belle ma inerti dal punto di vista emotivo.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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