domenica, settembre 18, 2022

VENEZIA 79: L'IMMENSITA'

L’immensità

di Emanuele Crialese

con Penelope Cruz, Luana Giuliani, Vincenzo Amato

Italia, 2022

genere: drammatico

durata: 97’

Sospesa sopra la testa di Adriana, nella scena iniziale, la macchina da presa prende quota permettendo allo sguardo di Emanuele Crialese di allargare la porzione di spazio dove la protagonista passa il tempo a giocare e a desiderare un’altra vita. Poco dopo la scena iniziale succede più o meno la stessa cosa. A cambiare è il punto di vista, questa volta ad altezza uomo, ma il movimento è sempre lo stesso, con l’obiettivo che allontanandosi dal centro del televisore in cui Raffaella Carrà si scatena in un contagioso balletto, espande il suo occhio sull’interno famigliare in cui madre e figli si stanno godendo lo spettacolo. Per Crialese “L’immensità” è innanzitutto un problema di spazi e di luoghi alternativi. A differenza della madre (Clara, interpretata da una Penélope Cruz che parla un italiano con forte accento spagnolo), costretta all’interno di un matrimonio già finito, incapace com’è di andare oltre le fantasie nelle quali ogni volta immagina di fare il verso alle star della canzone, Adriana le prova tutte pur di affrancarsi dal disagio della propria esistenza. Imprigionata in un corpo che non sente suo, la ragazzina si ribella per davvero vestendosi da uomo, facendosi chiamare con un nome maschile (Andrea) e quando possibile, allontanandosi da casa per varcare la frontiera del proibito oltre cui si estende il nugolo di baracche dove ad aspettarla ci sarà il primo amore.

Che si tratti di paesaggio fisico o psicologico, i personaggi del regista di “Nuovomondo” confermano la loro natura di viaggiatori, ribelli ai limiti imposti dalle regole degli uomini e per questo alla ricerca di universi alternativi. Non è un caso che la prima immagine del cinema di Crialese (“Once We Were Strangers", 1997) sia un a sorta di epifania - sospesa tra sogno e realtà, tra fisico e metafisico - in cui vediamo Vincenzo Amato, attore prediletto del regista romano per aver partecipato a quattro dei cinque film girati, approdare sulle rive del fiume Hudson dopo periglioso viaggio, in una scena rivelatrice della natura migrante del protagonista, condizione che per il cinema di Crialese rappresenta una sorta di “eterno ritorno” nietzschiano. 

Ne “L’immensità” questa dimensione è sviluppata in un confronto allo specchio tra madre e figlia, con la prima che lascia in eredità alla seconda il compito di affrancarsi da ciò che a lei non è stato permesso. La mascolinità di Adriana vuol dire anche questo: impedire che nella (sua) vita ci sia un altro uomo pronto a dirle che cosa deve fare, bloccandole la strada verso la sua realizzazione. A confermare il passaggio di consegne tra Clara e Adriana è l’ultima di una serie di sequenze surreali in cui nel corso del film le ritroviamo a ballare e cantare sul palco le hit musicali degli anni 70 al posto dei veri interpreti (Patty Bravo, Adriano Celentano, Raffaella Carrà). Nella sequenza conclusiva, infatti, Andrea in versione crooner intrattiene la platea essendo unico padrone della scena; pronta a “ballare da sola” dopo aver fatto da spalla alla madre.

Ma “L’immensità” va guardato anche in termini di corrispondenza tra realtà e finzione, nella vicinanza tra la biografia dei personaggi con l’esperienza umana del regista. Da questo punto di vista il nuovo lavoro di Crialese si presenta simile a quello che ha rappresentato “E’ stata la mano di Dio” per Paolo Sorrentino. A testimoniarlo è stata - per entrambi - la necessità di prendersi più tempo possibile prima di essere pronti a parlare al pubblico di un aspetto così intimo e delicato della loro vita. Nel caso di Crialese questo ha voluto dire smettere di girare per circa undici anni, tanti sono stati quelli che separano “L’immensità” da “Terraferma”. Come il film di Sorrentino, anche “L’immensità” permette all’appassionato di rileggere a posteriori la filmografia dell’autore romano, di entrare con maggior consapevolezza e più a fondo nella sua ispirazione creativa: si pensi per esempio alla corrispondenza tra Clara e la Grazia di “Respiro”, femmine folli, frutto di un processo artistico proveniente dalla stessa matrice esistenziale. Alla commistione tra sogno e realtà chiamata a segnalare la lotta tra l’essere o il non essere dei personaggi, e ancora, al concetto di viaggio che nella filmografia di Crialese non riduce il suo significato ad un’unica accezione ma che è sempre il risultato di una necessità materiale e insieme spirituale. 

Come già successo ad altri registi quando si tratta di mettere in scena il film della vita, anche Crialese arriva all’appuntamento più importante con un pudore eccessivo. Così, quella che era stata la forza degli altri film, ovvero la capacità delle immagini di far vivere il desiderio dei personaggi attraverso la trasfigurazione poetica del reale qui non si fa sentire, essendo le sequenze musicali incapaci di rendere l’agognato altrove. Senza quella profondità, e con le psicologie dei personaggi debitrici di un maggiore sviluppo, “L’immensità” di Crialese si risolve sulla superficie delle immagini, belle ma inerti dal punto di vista emotivo.


Carlo Cerofolini

(recensione pubblicata su ondacinema.it) 

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