I Smile Back
di Adam Salky
con Sarah Silverman, Josh Charles, Tomas Sadiski
Usa, 2015
genere, drammatico
durata, 85'
“A Woman Under Influence” (Una moglie, 1974), è il titolo originale di uno dei lungometraggi più belli di John Cassavetes. In quel film il regista americano con il supporto della moglie Gena Rowlands ingaggiata per interpretare il personaggio di Mabel, la protagonista della storia, raccontava le vicende di una donna emotivamente infelice che dopo un crollo nervoso e il successivo ricovero in una casa di cura si ritrova a combattere contro il senso di alienazione che rischia di emarginarla dalla propria famiglia. Rispetto a quel modello “I Smile Back” di Adam Salky presenta con qualche variante la medesima situazione perché anche in questo caso la vicenda è occupata dal difficile percorso di riabilitazione di una moglie che deve lottare per non farsi risucchiare dalla spirale autodistruttiva che la porta ad assumere sostanze stupefacenti e a fare sesso con persone sconosciute. Se in un primo momento sembra che l’obiettivo del film sia quello di mettere in discussione l’America Style of Life rappresentato dall’apatia di Laney nei confronti dei riti sociali imposti dalle consuetudini dello status borghese, in realtà “I Smile Back” indaga un malessere più profondo e radicato, che trova spiegazione nell’infanzia della protagonista, traumatizzata dal divorzio dei genitori e da un padre che dopo essere andato via da casa non si è mai più fatto vivo.
Il film quindi, pur delineando con buona sintesi l’ambiente sociale in cui si muove la protagonista, si interessa principalmente alle psicologie dei personaggi e in particolare a quella di Laney che la sceneggiatura scandaglia e porta alla luce in maniera più pragmatica che impressionista (al contrario del modello Cassavetiano), comunicandola al pubblico attraverso le parole dello psicoterapeuta che si prende cura della donna e di quelle del marito, premuroso ma al tempo stesso spaventato dal comportamento della moglie. E’ quindi naturale che Salky affidi la riuscita del suo film alla performance degli attori e in particolare alla tenuta drammatica di Sarah Silverman che alle prese con un personaggio la cui tragicità è quanto di più distante dall’umorismo corrosivo e provocatorio della comicità da stand-up comedian messo in mostra dall’attrice nei suoi show televisivi.
Da questo punto di vista il film vince la sua scommessa perché la Silverman è straordinaria nel mettere la sua fisicità sensuale e ferina (e in qualche caso senza veli) a disposizione di una figura femminile che non fa nulla per accattivarsi le simpatie dello spettatore anche quando le situazioni contingenti alla storia – per esempio quelle dedicate alla degenza e alla cura della patologia - lo permetterebbero. Pur non essendo in presenza - e per fortuna diciamo noi - del solito one man show che fa da preludio alle nomination degli Oscar dobbiamo dire che con le dovute differenze “I Smile Back” è il classico film fatto apposta per valorizzare chi vi recita. E come è già successo con il Jeff Bridges di “Crazy Heart” e la Julian Moore di “Still Life” non ci stupiremo che per la Silverman il lungometraggio in questione non rappresentasse il viatico per soddisfazioni di minor prestigio ma di ugual tenore. Come quella della nomination come migliore attrice dell’anno ricevuta dalla 22° edizione dello Screen Actors Guild Awards.
(icinemaniaci.blogspot.com)
di Adam Salky
con Sarah Silverman, Josh Charles, Tomas Sadiski
Usa, 2015
genere, drammatico
durata, 85'
“A Woman Under Influence” (Una moglie, 1974), è il titolo originale di uno dei lungometraggi più belli di John Cassavetes. In quel film il regista americano con il supporto della moglie Gena Rowlands ingaggiata per interpretare il personaggio di Mabel, la protagonista della storia, raccontava le vicende di una donna emotivamente infelice che dopo un crollo nervoso e il successivo ricovero in una casa di cura si ritrova a combattere contro il senso di alienazione che rischia di emarginarla dalla propria famiglia. Rispetto a quel modello “I Smile Back” di Adam Salky presenta con qualche variante la medesima situazione perché anche in questo caso la vicenda è occupata dal difficile percorso di riabilitazione di una moglie che deve lottare per non farsi risucchiare dalla spirale autodistruttiva che la porta ad assumere sostanze stupefacenti e a fare sesso con persone sconosciute. Se in un primo momento sembra che l’obiettivo del film sia quello di mettere in discussione l’America Style of Life rappresentato dall’apatia di Laney nei confronti dei riti sociali imposti dalle consuetudini dello status borghese, in realtà “I Smile Back” indaga un malessere più profondo e radicato, che trova spiegazione nell’infanzia della protagonista, traumatizzata dal divorzio dei genitori e da un padre che dopo essere andato via da casa non si è mai più fatto vivo.
Il film quindi, pur delineando con buona sintesi l’ambiente sociale in cui si muove la protagonista, si interessa principalmente alle psicologie dei personaggi e in particolare a quella di Laney che la sceneggiatura scandaglia e porta alla luce in maniera più pragmatica che impressionista (al contrario del modello Cassavetiano), comunicandola al pubblico attraverso le parole dello psicoterapeuta che si prende cura della donna e di quelle del marito, premuroso ma al tempo stesso spaventato dal comportamento della moglie. E’ quindi naturale che Salky affidi la riuscita del suo film alla performance degli attori e in particolare alla tenuta drammatica di Sarah Silverman che alle prese con un personaggio la cui tragicità è quanto di più distante dall’umorismo corrosivo e provocatorio della comicità da stand-up comedian messo in mostra dall’attrice nei suoi show televisivi.
Da questo punto di vista il film vince la sua scommessa perché la Silverman è straordinaria nel mettere la sua fisicità sensuale e ferina (e in qualche caso senza veli) a disposizione di una figura femminile che non fa nulla per accattivarsi le simpatie dello spettatore anche quando le situazioni contingenti alla storia – per esempio quelle dedicate alla degenza e alla cura della patologia - lo permetterebbero. Pur non essendo in presenza - e per fortuna diciamo noi - del solito one man show che fa da preludio alle nomination degli Oscar dobbiamo dire che con le dovute differenze “I Smile Back” è il classico film fatto apposta per valorizzare chi vi recita. E come è già successo con il Jeff Bridges di “Crazy Heart” e la Julian Moore di “Still Life” non ci stupiremo che per la Silverman il lungometraggio in questione non rappresentasse il viatico per soddisfazioni di minor prestigio ma di ugual tenore. Come quella della nomination come migliore attrice dell’anno ricevuta dalla 22° edizione dello Screen Actors Guild Awards.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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