martedì, dicembre 08, 2015

REGRESSION

Regression
di Alejandro Amenabar
con Ethan Hawke, Emma Watson
Usa, Spagna. 2015
genere, thriller
durata, 106'


Se lo scrivere di cinema ci ha insegnato qualcosa questo riguarda soprattutto la necessità di andare oltre a ciò che appare nella certezza che i film, a qualunque genere essi appartengano, sono in grado di fornirci le informazioni necessarie a interpretarli. Di “Regression” per esempio a risultare significativa è la notizia che riguardava la decisione di anticiparne la presentazione americana con due uscite tecniche, rispettivamente in Spagna e in Italia, che di norma vengono utilizzate per salvaguardare i prodotti più deboli, quelli che in vista della verifica casalinga sperano di recuperare posizioni raccogliendo consensi e buoni incassi nei mercati che gli sono più favorevoli. Era successo così per il remake americano de “Il segreto dei suoi occhi”, uscito prima nelle nostre sale e poi in quelle degli Stati Uniti, capita la stessa cosa al film di Alejandro Amenabar che per il suo primo film girato in terra americana (“The Others” e “Agorà” pur prodotti dalle major era stati girati fuori da quei confini) ritorna al genere a lui più congeniale, il thriller, per raccontare la storia di una violenza famigliare che si trasforma in un incubo quando il detective Bruce Kenner, incaricato di scoprirne le ragioni, si convince che il crimine commesso sia il risultato di una manipolazione orchestrata dai membri di una sedicente setta satanica, attiva nel paesino del Minnesota in cui si svolge la vicenda.


Lavorando sull’inconscio dello spettatore, portato a dubitare sul reale significato di ciò che sta vendendo, Amenabar come accadeva in “Apri gli occhi” e in “The Others” trasforma l’indagine del protagonista in una viaggio allucinato e allucinante alla ricerca della verità. A differenza degli esempi appena citati però, la sovrapposizione tra sogno e realtà appare meno naturale e più forzata alla pari della recitazione che, almeno per quanto riguarda Ethan Hawke e Emma Watson, sembra essere fuori sincrono rispetto al tono e alle situazioni proposte dalla sceneggiatura. La quale, nel raccontare i misteri della storia preferisce farlo in maniera esplicita invece che suggerita, costruendo un dispositivo incapace di sfruttare le potenzialità insite nella valorizzazione di ciò che rimane al di fuori del campo visivo.  Esattamente il contrario di quello a cui ci aveva abituato il cinema di Alejandro Amenabar, che in questo caso non riesce ad andare al di là di un onesto anonimato.

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