Un héros très discret
di Jacques Audiard
Mathieu Kassovitz, Anouk Grinberg, Sandrine Kiberlain, Jean-Louis
Trintignant
Francia,
1996
genere,
drammatico
Durata, 107’
Albert Dehousse (Mathieu Kassovitz) è un impostore. Fin da
bambino, orfano di padre e con una madre possessiva, legge libri di avventure e
sogna di vivere vite di altri. Il piccolo paese della provincia francese viene
lambito dalla Seconda Guerra Mondiale, dall’invasione tedesca e poi dalla
liberazione degli americani, ma Dehousse non sembra accorgersene perduto nel
suo mondo fantastico. È in quel periodo che inizia a mentire, a costruirsi una
vita immaginaria e quindi, facendosi passare per uno scrittore (plagiando
interi brani dai romanzi letti), prima affascina la giovane Yvette e poi la sposa.
Quando però scopre che la famiglia della moglie era all’interno della
Resistenza e lui non ne si era accorto di nulla, per la vergogna fugge a Parigi
e lì, partendo dal basso, senza niente, si ricostruisce un’identità fittizia di
ufficiale francese e partigiano. Inventandosi una vita vissuta nella sua mente,
riesce a ingannare tutti, ottenere il grado di colonnello e andare a Berlino
per individuare i traditori francesi che vogliono rientrare in patria.
Questa la trama di “Un héros très discret”, l’opera seconda
di Jacques Audiard, recentemente premiato al Festival di Cannes con la Palma
d’Oro per il suo ultimo film “Dheepan”. Inedito in Italia, è in programmazione
presso lo spazio Oberdan di Milano, all’interno di una rassegna organizzata
dalla Fondazione Cineteca Italiana di Milano, dove sono proiettati tutti i film
del regista francese compresi i suoi inediti: appunto questo, di cui stiamo
parlando, e l’opera prima “Regarde les hommes tomber”.
Audiard è figlio d’arte (il padre è regista e sceneggiatore)
ed entra nel mondo del cinema come montatore, dopo aver abbandonato gli studi
letterari, per poi passare ben presto a scrivere film di genere “polar”, noir
secondo la declinazione francese, basati molto sulle storie di emarginati siano
essi ladri o assassini e che si confrontano a volte con poliziotti, “flic”,
anch’essi poco ortodossi.
Ma Audiard va oltre il genere e nella sua breve, ma intensa,
filmografia (sette film in poco più di dieci anni) ama affrontare piccole
storie che in qualche modo lambiscono o la Storia (la Resistenza di “Un héros
très discret” o la guerra Tamil in “Dheepan”) oppure mondi di una malavita
liminare (come nel suo capolavoro “Il profeta”, oppure “Sulle mie labbra”). In
tutte le storie di Audiard assistiamo a un’evoluzione di un personaggio debole,
sconfitto, emarginato, che confrontandosi con un altro mondo, a volte lottando
anche in modo cruento, cerca non solo di sopravvivere ma una via di fuga a una
realtà in cui si sente perso: l’impiegata sorda che aiuta un piccolo delinquente
in una rapina, per poi fuggire con lui dalla routine della sua vita grigia in
“Sulle mie labbra”; Thomas Syr in “Tutti i battiti del mio cuore” diviso tra
l’amore per la musica e una vita di picchiatore e piccolo truffatore in affari
immobiliari; o il giovane arabo ne “Il profeta” che entra in prigione sperduto
e immaturo e ne esce, dopo una vera e propria educazione criminale, come un
boss temuto e rispettato; o ancora Stephanie, giovane addestratrice di orche in
un acquario in “Un sapore di ruggine e ossa” che, in un grave incidente, resta
gravemente handicappata ma l’incontro con un loser, un uomo violento che vive di espedienti, le mostrerà un
nuovo modo di affrontare la vita; e infine “Dheepan” guerriero Tamil stanco
degli orrori della guerra, che arriva in Francia con una falsa famiglia,
costretto a una cruenta battaglia personale nella banlieue parigina contro un
trafficante di droga, per lasciarsi alle spalle il male interiore, sopito ma
non sconfitto.
Prima di mettersi dietro la macchina da presa, Audiard è
stato un famoso sceneggiatore in Francia e tutti i suoi personaggi hanno una
complessità psicologica e affrontano uno o più ostacoli che in qualche modo
cambiano la loro vita (non sempre in meglio), in un’educazione pragmatica
dettata dagli eventi, all’interno di un fitto ordito narrativo.
Non fa eccezione “Un héros très discret” (che, tra l’altro, vinse
il premio per la miglior sceneggiatura al 49mo Festival di Cannes), dove Albert
Dehousse è un giovane senza arte né parte, ma che, nel momento in cui prende
coscienza di voler essere protagonista, sfrutta la massimo i suoi talenti: da
un parte, è un fine osservatore e possiede una memoria prodigiosa per i
dettagli e i particolari più insignificanti; dall’altro, la sua capacità di narratore,
non riuscendo a incanalarla all’interno della pagina scritta, la esprime
inventandosi episodi di vite alternative. Ecco allora che Dehousse, come un
vero e proprio Zelig, riesce a prendere possesso di identità completamente
inventate per diventare quell’eroe che non è.
La messa in scena di Audiard è prosaica, ordinata, senza
particolari guizzi, ma assolutamente funzionale alla storia: il regista
francese è soprattutto un narratore innamorato dei suoi personaggi e vuole
portare lo spettatore dalla loro parte. Del resto come non si fa a non
perdonare Albert Dehousse? Chi non ha mai sognato di essere protagonista di
qualcosa di importante? E in qualche modo lui ci riesce: anche quando compie la
sua missione a Berlino come colonnello dell’esercito francese è bravo a
individuare i petainisti che si spacciano per prigionieri di guerra (chi meglio
di un impostore riesce a identificarne un altro?) e si costruisce una fama di
ufficiale efficiente e capace. Come dire comunque che Dehousse non è “finto”,
ma è un camaleonte con talenti che si esprimono in modo diverso.
Le parti migliori del film sono le sequenze della costruzione
di un passato di partigiano a Parigi e poi quella di ufficiale in Germania, ma
lo scarto che eleva “Un héros très discret” a un film degno di nota è
l’interpolazione di sequenze contemporanee come se stessimo assistendo a un
docu-film. Ecco che allora scopriamo che Dehousse anziano (Jean-Louis
Trintignant) racconta la sua vita, ma soprattutto ci sono sequenze di un
ricercatore che va nei luoghi dove ha vissuto il fantomatico personaggio per
ricostruirne la storia, come se fosse un’inchiesta storico-giornalistica. Alla
fine, poi, una serie di interventi di vari personaggi rivelano allo spettatore
che Dehousse ha vissuto mille vite in diverse parti del mondo, senza mai
mentire sul proprio nome, e ricevendo solo testimonianze positive e lodi. E
quindi questo piccolo e simpatico impostore è stato un uomo che ha compiuto
grandi azioni (così come i personaggi dei romanzi che leggeva da ragazzino), lasciando
comunque un segno nella vita di molte persone: insomma “un eroe molto
discreto”.
Antonio Pettierre
“Rassegna Jaques
Audiard”, Fondazione Cineteca Italiana, Spazio Oberdan, Sala Alda Merini a
Milano fino al 6 gennaio 2016 http://oberdan. cinetecamilano.it/eventi/ jacques-audiard/
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