Babygirl
di Halina Reijn
con Nicole Kidman, Antonio Banderas, Harris Dickinson
USA, 2024
genere: drammatico
durata: 114'
Alberto Barbera ne aveva
fatto uno dei suoi fiori all’occhiello, parlando di come la selezione dell’81ma
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica avesse tra gli altri vanti quello
di riportare sugli schermi il sesso proponendo una serie di titoli in cui
l’eros l’avrebbe fatta da padrone dopo anni di forte autocensura. Non è questa
la sede per approfondire i motivi che hanno portato a questo impasse a cui forse hanno contribuito
le vicende del #METOO prima e quelle della pandemia poi. Vale invece la pena
constatare in che termini si sta compiendo la presunta rivoluzione e in questo
caso quale contributo porti alla causa un film come “Babygirl” che la
scabrosità del tema, incentrato su una sessualità vissuta dapprima come peccato
e poi forse come piacere, e la fama dell’attrice protagonista, Nicole Kidman,
avevano generato molte aspettative già in sede di presentazione del programma
ufficiale.
Selezionato nel concorso
ufficiale, del lungometraggio dell’olandese Halina Reijn a conti fatti si può
dire che “la montagna ha partorito un topolino”, tanto l’idea del sesso come
generatore del caos e strumento di emancipazione
femminile non viene corrisposta da immagini che neanche per un momento riescono
a trasformare l’incontro dei corpi in uno spazio d’anarchia capace di annullare
i limiti imposti dalle regole sociali. A rovinare la festa infatti ci pensa una
messa in scena che nel pensare la deviazione dalle regole - non solo il
comportamento fedifrago di Romy, manager di successo interpretata da Nicole
Kidman ma anche la particolarità delle sue preferenze sessuali - lo fa con un
immaginario talmente convenzionale e omologato da sconfessare la premesse
sovversive del film e tale da non andare oltre quello che si può trovare in una
delle tante serie a tema proposte da Netflix.
Tutto questo a fronte di
un inizio che faceva ben sperare allorché il personaggio interpretato dalla
Kidman per contesto altoborghese e tendenze caratteriali sembrava proseguire
laddove si era fermato Stanley Kubrick in “Eyes Wide Shut”, apparendo la stanchezza
matrimoniale tra la professionista di grido e l’affermato autore teatrale la
continuazione di quella che aveva a suo tempo colto l’esistenza dei coniugi
Harford. La possibilità di scoperchiare le fantasie sessuali della coppia
borghese soffocate dal perbenismo e dalla routine della pratica quotidiana si
ferma infatti sulla soglia del già visto, sia in termini di Eros e Thanatos che
nella proposta della schermaglia tra vittima e carnefice, non riuscendo
“Babygirl” ad andare oltre alla riproduzione stilizzata e patinata tanto
criticata ai tempi dell’uscita di “Nove settimane e mezzo” e ancora, per citare
modelli più recenti a quelle messa in campo da “Cinquanta sfumature di grigio”.
Poco felice è pure il
tentativo di elevare il livello del discorso - che di per sé non ne avrebbe
bisogno - chiamando in causa istanze di matrice femminista e, dunque,
collegando il percorso di consapevolezza sessuale e di liberazione dei costumi
con quello relativo alla promozione della donna in ambito famigliare e
lavorativo. Ché la maniera per liberarsi di nevrosi e ossessioni sia quello di
accettarle vivendole fino in fondo non è scoperta dell’ultima ora e neppure le
limitazioni dovute all’esposizione dei corpi giustificano la normalizzazione
del contesto, ricordando che, sottoposta agli stessi vincoli, una miniserie
come “Normal People” - peraltro esemplare nel raccontare l’amore di coppia -
riesce, laddove “Babygirl” fallisce, nel trasfigurare la realtà attraverso
l’unione dei corpi. Lo scandalo di “Babygirl” rimane nella superficie della
forma, aggrappato al corpo seminudo della Kidman mani e ginocchia a carponi
pronta a ubbidire al suo dominatore. Troppo poco per invocare la rivoluzione.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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