Beetlejuice Beetlejuice
di
Tim Burton
con
Michale Keaton, Winona Ryder, Jenna Ortega
USA,
2024
genere:
commedia, fantastico, horror
Già
nelle sale, il secondo capitolo delle storie dedicate al personaggio di Keaton torna ad occuparsi della famiglia Deetz, dal punto di vista della figlia e ancor più della nipote, intenta a combattere contro quei demoni che hanno arricchito e fatta diventare celebre la madre che ritroviamo incapace di svolgere il proprio ruolo, complice anche la dipartita del coniuge.
Se l’inizio, a metà strada tra “Twin Peaks” e “Profondo rosso”, sembra portarci dentro la storia da un punto di vista quasi anomalo, veniamo subito reindirizzati sulla vecchia strada dalla commistione tra realtà e fantasia, da sempre fulcro del/dei film di Burton. Sondando, in parte, anche il sentiero del film d’animazione, “Beetlejuice Beetlejuice” sembra riempirsi di citazioni e richiami, più o meno evidenti, a grandi titoli del passato e del presente. Inevitabile, per esempio, quello alla famiglia Addams, da sempre un po’ legata a Tim Burton che su Netflix ha voluto raccontare a modo suo, e che qui viene citata fin dalle prime scene, per esempio, con la famigerata Mano che si muove in autonomia. Così come, sempre restando in termini di citazioni ma ampliandone l’immaginario non si può non riconoscere nel personaggio di Delores, interpretato da Monica Bellucci, un debito nei confronti del celeberrimo Frankenstein.
Con
molti riferimenti, più o meno espliciti, al primo capitolo, “Beetlejuice
Beetlejuice” riprende le tematiche centrali che lo hanno reso celebre e le
amplifica, aggiungendo altri elementi nel calderone dell’aldilà per cercare di
coinvolgere più persone possibili, siano esse interne o esterne alla storia,
come nel caso di noi spettatori.
Stereotipando,
forse anche troppo in alcuni casi, le dinamiche tipiche del genere, Tim Burton diverte e ironizza su quegli stessi aspetti che lo hanno fatto diventare l'autore che è oggi. Se con il live action “Dumbo” non aveva ricevuto l'affetto sperato dai propri fan, tutto si è ribaltato con la serie di successo
“Mercoledì”. Ed è proprio a questi due titoli che il suo spiritello porcello strizza l'occhio con riferimenti, più o meno espliciti, alle case di distribuzione e alle piattaforme che recentemente hanno dato modo al regista statunitense di esprimersi.
Nel ruolo dell’antieroe il personaggio di Michael Keaton anche dopo più di trent’anni non perde nemmeno una stilla del suo "egoismo", messo in crisi solo per pochi istanti dall’infatuazione (a tratti ossessione) per l'inarrivabile Lydia, impegnata a riconquistare la fiducia della figlia. In questo senso è proprio Winona Ryder, mai veramente uscita dal ruolo di Lydia e ancorata a quell’interpretazione che tanto l’ha fatta salire alla ribalta, l'unica in grado di contrastare il protagonista, e al tempo stesso antagonista, della vicenda. I due personaggi, con la complicità dei nuovi innesti, riescono a contribuire alla buona riuscita del film, regalando momenti di ilarità alternati a momenti di riflessione, pur senza l’adrenalina e la sagacia del primo capitolo.
“A volte penso che sia più dura la vita” è forse la frase che più di tutte riassume un film che si alterna tra il mondo dei vivi e quello dei morti o, per meglio dire, tra mondo reale e mondo di finzione, dove per quest’ultimo si intende quello virtuale, creato appositamente per apparire in un certo modo piuttosto che in un altro. Un universo dal quale Burton cerca di tenersi lontano per provare a mantenere la sua verve, ma dal quale è inevitabilmente influenzato, nel bene e nel male, come dimostra il modo in cui il regista mette a confronto "influencer" e valori umani manca(n)ti.
Veronica Ranocchi
2 commenti:
ho cancellato per troppi refusi complimenti però ma forse anche se stimolato a visionarlo forse troppo moderno pe run 8oenne come me ... ma le citazioni sono interessanti ma troppo professionali?!? ma grazie
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