venerdì, settembre 27, 2024

IDDU

Iddu

di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza

con Toni Servillo, Elio Germano, Giuseppe Tantillo

Italia, 2024

genere: drammatico

durata: 122’

Per scrivere la recensione di Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza è necessario premettere che la realtà è un punto di partenza, non una destinazione come dall’incipit del film.

Il film dei due registi è l’ultimo titolo italiano in concorso alla mostra del cinema di Venezia 2024 con il non semplice compito di raccontare una parte degli anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, l’Iddu del titolo.

Facendo leva sulle doti da trasformisti di entrambi i protagonisti (Elio Germano e Toni Servillo), ma anche sulle riuscite interpretazioni dei comprimari, il film di Grassadonia e Piazza racconta e mostra, anche oltre buio e oscurità, mescolandosi, però, con queste stesse ombre.

Sicilia, primi anni Duemila. Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo corso, ha perso tutto. Quando i Servizi segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l’occasione per rimettersi in gioco. Uomo furbo dalle cento maschere, instancabile illusionista che trasforma verità in menzogna e menzogna in verità, Catello dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con il latitante, del cui vuoto emotivo cerca di approfittare.

Un azzardo che con uno dei criminali più ricercati al mondo comporta un certo rischio…

I due registi, che già avevano affrontato l’argomento Matteo Messina Denaro nel loro precedente film Sicilian Ghost Story, partono proprio dallo sguardo che lo spettatore sceglie di dare alla storia: uno sguardo doppioambivalente. Perché al centro di tutto c’è una corrispondenza tra due persone: da una parte il noto boss e dall’altra un ex sindaco, tale Catello Palumbo. Uno scambio di lettere che porta entrambi a scoprirsi più del dovuto, ma che apre a noi spettatori uno scenario diverso rispetto a quello conosciuto grazie alla cronaca.

E questo sguardo doppio è quello che i due registi mettono in scena fin dalla primissima inquadratura che solo in apparenza risulta essere un cielo stellato, ma che, in realtà, è il riflesso dell’occhio di una pecora all’interno di una sorta di capanna che, bucata dei raggi del sole, assume la stessa forma. Questo a dimostrazione che non solo le immagini avranno una doppia valenza, ma tutto quello che comparirà sullo schermo.

Denso di dicotomie e ambivalenze, Iddu di Grassadonia e Piazza prova a insegnarci a guardare il mondo da più prospettive. E lo scambio epistolare diventa, proprio in questo senso, fondamentale per far vedere le due facce di una stessa medaglia.

Se da una parte c’è la famiglia del boss, rappresentata da persone delle quali lui pensa di potersi fidare, compresa una Barbora Bobulova nel ruolo della sua intermediaria, dall’altra c’è la famiglia, molto più scanzonata, almeno all’apparenza, del Preside Palumbo. Tra la moglie Elvira (una glaciale Betty Pedrazzi) e il genero Pino (un divertente Giuseppe Tantillo a suo agio nel ruolo più comico del film) vengono fuori situazioni quasi al limite del reale, a metà tra il tragico e il comico. Stessa cosa non si può dire per la controparte mafiosa, le cui azioni e i cui crimini obbligano i membri familiari a nascondersi e cercare alternative, ogni volta diverse, per venire alla luce.

Ma a questo binomio se ne aggiunge un terzo: quello degli agenti incaricati di scovare Matteo Messina Denaro. Con lo scopo di trovare e arrestare il boss latitante, gli agenti si mettono in contatto con Palumbo e innescano questa bizzarra relazione epistolare. Fungendo un po’ da trait d’union tra le due famiglie, gli agenti (tra i quali un Fausto Russo Alesi che non si stanca mai di regalare performance incredibili) cercano di dare il proprio apporto alla vicenda, in maniera diversa e non sempre riuscita.

Un’altra interessante dicotomia è quella spaziale. Azzerando il tempo e ambientando il tutto negli indefiniti anni 2000, il film trova una sua cifra nella rappresentazione antitetica degli spazi. E per spazi non si intendono solo il confronto-contrasto tra lo pseudo hotel di Palumbo e il covo, prima dietro un armadio e poi chissà di Matteo Messina Denaro costretto a vivere, come da lui stesso affermato, come un topo. Per spazi in antitesi si intendono anche i luoghi chiusi, claustrofobici e cupi (con sapore di morte) contrapposti a quelli aperti, alla luce del sole.

L’ora d’aria che il boss si concede quando non è intento a terminare il suo puzzle è solo la rappresentazione di quello che vorrebbe avere: la libertà. Quella libertà messa in atto da uno squarcio nel muro, inizialmente visto come un pericolo, ma poi considerato come una via di fuga, anche solo momentanea, un momento di evasione dalla realtà.

Dallo scambio epistolare al centro di Iddu si capisce anche un’altra cosa: l’intento di raggiungere una cultura sempre più ampia. E non è un caso che il suo corrispondente sia colui che è chiamato Preside e che, essendo il padrino del boss, è l’unico che può permettersi, indirettamente, di fornirgli un’educazione culturale. Quella stessa educazione culturale che, per motivi noti a tutti, non ha potuto avere e coltivare.

Perché se c’è un aspetto al quale dà risalto Iddu è proprio la conoscenza, attraverso la tanto presente, seppur assente fisicamente, scuola. Il Preside, il bidello scapestrato (oggetto di derisione e battute proprio per la sua mancanza di acume), la sorella del boss (un’inquietante Angela Truppo) contro la professoressa di italiano. La scuola è l’altro elemento spazio-temporale (perché indice di un certo periodo di tempo e di una certa età) sul quale l’opera di Grassadonia e Piazza si concentra.

Un’opera nella quale i personaggi, dal più audace al più divertente, non sono plasmati dal protagonista che, nella sua oscurità rimane, invece, un’ombra.


Veronica Ranocchi

(recensione pubblicata su taxidrivers.it)

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