The Order
di Justin Kurzel
con Jude Law, Tye
Sheridan, Nicholas Hoult
USA, 2024
genere: storico,
thriller, azione
durata: 116’
"The Order" è
immerso dall’inizio alla fine nella realtà dei fatti eppure ciò che conta di
più nelle quasi due ore di proiezione è constatare quanto sia importante per la
Storia la forza che l’immaginario ha di imprimersi nei nostri pensieri.
"The Order" lo
testimonia dentro e fuori dalla vicenda che racconta perché si può anche non
conoscere gli avvenimenti a cui si ispira il regista australiano Justin Kurzel,
quelli ricostruiti dal libro inchiesta "The Silent Brotherhood",
relativa ai movimenti di ultradestra che da anni minacciano il cuore della
democrazia americana. Impossibile però è non distinguere nelle puntute e
provocatorie risposte del giornalista ebraico agli interlocutori del suo
programma radiofonico, con cui inizia il film, la figura del giornalista Alan
Berg ucciso nei primi anni Ottanta da elementi appartenenti ai gruppi
neonazisti. È bastato che il cinema se ne occupasse almeno una volta, grazie a
Oliver Stone e al suo "Talk Radio", per farcelo ricordare ogni volta
che ci viene riproposto un modo di fare radio lontano anni luce dalle posizioni
politicamente corrette dei nostri giorni. Ma c’è di più, perché a ispirare
l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, così come i numerosi attentati
effettuati da gruppi neonazisti in territorio americano (compresi quello di cui
si parla nel film), è il pensiero contenuto nel romanzo distopico "The
Turner Diaries", scritto da William Luther Pierce nel 1978.
Seppur dietro le quinte e
comunque all’interno di un lungometraggio che si affida alla capacità del
cinema di raccontare storie, "The Order" sembra metterci all’erta
sulla circolazione incontrollata delle idee e sull’importanza di non sottovalutare
chi, di volta in volta, ne deforma il significato per affermare il proprio ego.
Se il cinema come sappiamo interroga la Storia per trovare risposte alla
complessità del presente, non c’è dubbio che "The Order" rappresenti
di per sé, indipendentemente dalla sua riuscita, un film importante per la
capacità di riportare il dibattito sullo scontro tra Repubblicani e Democratici
alla radice, facendo luce sul sostrato socio-culturale a cui ha fatto leva
Donald Trump per sostenere il suo messaggio suprematista.
Da questo punto di vista
"The Order" assolve in pieno la sua funzione divulgativa per la
linearità con cui riesce a riassumere pensiero e azione delle diverse
componenti in gioco. A differenza di altri - per esempio "Patriot
Days" di Peter Berg - che sullo stesso tema avevano mantenuto un approccio
di stampo documentaristico, per la preoccupazione di diminuire la potenza del
messaggio attraverso una narrazione troppo sbilanciata sul racconto di
finzione, "The Order" non si mette limiti nel virare verso le forme
di genere allestendo una sorta di western contemporaneo in cui, come spesso
succede, la provincia americana diventa il cuore di tenebra di un paese
sull’orlo della guerra civile.
In un contesto diviso tra
buoni e cattivi, in cui a rivaleggiare sono da una parte gli agenti del Federal
Bureau of Investigation, incaricati di contrastare la minaccia, e dall’altra i
militanti di un'organizzazione suprematista che prepara il terreno favorevole a
un'insurrezione di popolo, a fare la parte del leone, ovvero a monopolizzare
l’epica del conflitto, è la sfida che vede il detective Ask, interpretato da un
ottimo Jude Law, impegnato a spegnere i piani di rivolta del capo popolo Bob
Mathews, incarnato dall’altrettanto bravo Nicholas Hoult. Carismatici,
tormentati e maledetti quanto basta per appartenere di diritto alla categoria
dei tanti antieroi raccontati dal cinema americano, i due personaggi hanno
potenzialità caratteriali ed esistenziali per elevare la vicenda a una
dimensione archetipica riproponendo il sempiterno scontro tra bene e male in un
paesaggio che non ci mette molto a diventare luogo dell’anima.
Peccato però che, con il passare dei minuti e con
l’incalzare dell’investigazione, Kurzel si dimostri più preoccupato a ricalcare
i passi di chi lo ha preceduto piuttosto che procedere di suo pugno e, dunque,
di popolare la rappresentazione con i fantasmi dei modelli più riusciti, come
per esempio "Sicario" di Denis Villeneuve, ma anche "Il
cacciatore" del compianto Michael Cimino. A prendere il sopravvento è
un'enfasi che riduce tutto all’azione dimenticando di approfondirne le premesse
con un racconto verticale. Il risultato è un film di superficie in cui la regia
soggiogata dagli stereotipi del genere non trova di meglio che aumentare ogni
volta l’enfasi della performance. A venire meno è il mistero del male e
l’ineluttabilità del bene e con essi l’emozione che in questi casi fa la
differenza tra novità e routine. Presentato in concorso all’81esima Mostra
d’Arte Cinematografia di Venezia, "The Order" faceva sperare ben
altri esiti.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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