venerdì, settembre 13, 2024

THE ORDER

The Order

di Justin Kurzel

con Jude Law, Tye Sheridan, Nicholas Hoult

USA, 2024

genere: storico, thriller, azione

durata: 116’

"The Order" è immerso dall’inizio alla fine nella realtà dei fatti eppure ciò che conta di più nelle quasi due ore di proiezione è constatare quanto sia importante per la Storia la forza che l’immaginario ha di imprimersi nei nostri pensieri.

"The Order" lo testimonia dentro e fuori dalla vicenda che racconta perché si può anche non conoscere gli avvenimenti a cui si ispira il regista australiano Justin Kurzel, quelli ricostruiti dal libro inchiesta "The Silent Brotherhood", relativa ai movimenti di ultradestra che da anni minacciano il cuore della democrazia americana. Impossibile però è non distinguere nelle puntute e provocatorie risposte del giornalista ebraico agli interlocutori del suo programma radiofonico, con cui inizia il film, la figura del giornalista Alan Berg ucciso nei primi anni Ottanta da elementi appartenenti ai gruppi neonazisti. È bastato che il cinema se ne occupasse almeno una volta, grazie a Oliver Stone e al suo "Talk Radio", per farcelo ricordare ogni volta che ci viene riproposto un modo di fare radio lontano anni luce dalle posizioni politicamente corrette dei nostri giorni. Ma c’è di più, perché a ispirare l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, così come i numerosi attentati effettuati da gruppi neonazisti in territorio americano (compresi quello di cui si parla nel film), è il pensiero contenuto nel romanzo distopico "The Turner Diaries", scritto da William Luther Pierce nel 1978.

Seppur dietro le quinte e comunque all’interno di un lungometraggio che si affida alla capacità del cinema di raccontare storie, "The Order" sembra metterci all’erta sulla circolazione incontrollata delle idee e sull’importanza di non sottovalutare chi, di volta in volta, ne deforma il significato per affermare il proprio ego. Se il cinema come sappiamo interroga la Storia per trovare risposte alla complessità del presente, non c’è dubbio che "The Order" rappresenti di per sé, indipendentemente dalla sua riuscita, un film importante per la capacità di riportare il dibattito sullo scontro tra Repubblicani e Democratici alla radice, facendo luce sul sostrato socio-culturale a cui ha fatto leva Donald Trump per sostenere il suo messaggio suprematista.

Da questo punto di vista "The Order" assolve in pieno la sua funzione divulgativa per la linearità con cui riesce a riassumere pensiero e azione delle diverse componenti in gioco. A differenza di altri - per esempio "Patriot Days" di Peter Berg - che sullo stesso tema avevano mantenuto un approccio di stampo documentaristico, per la preoccupazione di diminuire la potenza del messaggio attraverso una narrazione troppo sbilanciata sul racconto di finzione, "The Order" non si mette limiti nel virare verso le forme di genere allestendo una sorta di western contemporaneo in cui, come spesso succede, la provincia americana diventa il cuore di tenebra di un paese sull’orlo della guerra civile.

In un contesto diviso tra buoni e cattivi, in cui a rivaleggiare sono da una parte gli agenti del Federal Bureau of Investigation, incaricati di contrastare la minaccia, e dall’altra i militanti di un'organizzazione suprematista che prepara il terreno favorevole a un'insurrezione di popolo, a fare la parte del leone, ovvero a monopolizzare l’epica del conflitto, è la sfida che vede il detective Ask, interpretato da un ottimo Jude Law, impegnato a spegnere i piani di rivolta del capo popolo Bob Mathews, incarnato dall’altrettanto bravo Nicholas Hoult. Carismatici, tormentati e maledetti quanto basta per appartenere di diritto alla categoria dei tanti antieroi raccontati dal cinema americano, i due personaggi hanno potenzialità caratteriali ed esistenziali per elevare la vicenda a una dimensione archetipica riproponendo il sempiterno scontro tra bene e male in un paesaggio che non ci mette molto a diventare luogo dell’anima.

Peccato però che, con il passare dei minuti e con l’incalzare dell’investigazione, Kurzel si dimostri più preoccupato a ricalcare i passi di chi lo ha preceduto piuttosto che procedere di suo pugno e, dunque, di popolare la rappresentazione con i fantasmi dei modelli più riusciti, come per esempio "Sicario" di Denis Villeneuve, ma anche "Il cacciatore" del compianto Michael Cimino. A prendere il sopravvento è un'enfasi che riduce tutto all’azione dimenticando di approfondirne le premesse con un racconto verticale. Il risultato è un film di superficie in cui la regia soggiogata dagli stereotipi del genere non trova di meglio che aumentare ogni volta l’enfasi della performance. A venire meno è il mistero del male e l’ineluttabilità del bene e con essi l’emozione che in questi casi fa la differenza tra novità e routine. Presentato in concorso all’81esima Mostra d’Arte Cinematografia di Venezia, "The Order" faceva sperare ben altri esiti.


Carlo Cerofolini

(recensione pubblicata su ondacinema.it)

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