Prodotto da Luca Guadagnino e presentato in concorso nella Sezione Orizzonti dell’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, Diciannove è il coming of age di un giovane Holden Italiano. Di Diciannove abbiamo parlato con il regista del film Giovanni Tortorici.
Diciannove è prodotto da
Frenesy, Pinball London, MeMo Films, AG Studios, Tenderstories, con il
contributo del Ministero della Cultura.
Il titolo del film è
indicativo di un’età in cui si ha per la prima volta la facoltà di decidere
senza però avere ancora la consapevolezza del mondo e delle cose. Volevo
partire da qui chiedendoti se il titolo rimandasse a questo tipo di condizione?
Sì,
assolutamente. Ero indeciso tra più titoli. Mi ricordo che ne proposi una
lista ai produttori. Uno di questi – I diciannove anni di Leonardo Gravina –
era un pochino più letterario però poi pensando che il film parla del
primo anno accademico di un ragazzo di diciannove anni ho ho pensato che l’età,
quella in cui generalmente si finisce il liceo, fosse un fattore molto
importante. Da qui la scelta di concentrare il significato del titolo solo su
quella.
Sempre a proposito del
titolo, Diciannove riproduce un po’ la dimensione esistenziale
del protagonista, il suo essere sempre fuori fase rispetto alle persone e alle
cose che lo circondano. Diciotto infatti è l’età che segnala uno spartiacque
tra il prima e il dopo mentre diciannove sposta l’esistenza in una sorta
di limbo temporale dove non si è né carne né pesce.
Sì sì, capisco cosa vuoi
dire. In realtà pur essendo il più prossimo ai diciotto il diciannovesimo anno
di età segna un tempo meno definito rispetto a quello precedente che è
sicuramente più simbolico. In effetti come dici tu diciannove suggerisce come il
protagonista sia un ragazzo fuori sincrono rispetto alla realtà in cui vive.
Come succedeva al
protagonista de Il giovane Holden Leonardo possiede uno
spirito critico e una sensibilità superiore a quella dei suoi coetanei.
Il giovane Holden non
l’ho letto però devo dirti che sono stati molti a dirmi della similitudine con
il personaggio del romanzo.
Nei coming of age i
protagonisti sono un po’ come Leonardo e cioè capaci di avere una maggiore
profondità di sguardo rispetto ai loro coetanei. Come quelli anche Leonardo
paga la sua diversità con l’incomunicabilità tipica dell’età giovanile.
Di sicuro il mio
personaggio è diverso dai suoi pari età ma io lo trovo comunque molto
inconsapevole. È vero che ha preso le distanze da certe meccaniche giovanili
dei ragazzi della sua età però penso non abbia la coscienza per capire il
motivo per cui la ha fatto, così come non conosce il motivo delle nevrosi che
continuano a tormentarlo.
Diciannove inizia
come una sorta di fuga dalla terra natia e da un contesto familiare opprimente.
Una fuga dal rapporto con
la madre e da quello con il padre di cui sentiamo solo la voce. Entrambi lo
considerano ancora un bambino, incapace di badare a se stesso e non ancora
maturo per sapere come bisogna prendere la vita. Le prime scene dovevo far emergere
questa cosa delineando il contesto famigliare in cui si è formata tale idea.
Il ritorno alla realtà di
Leonardo è molto brusco. Le immagini lo certificano con un montaggio che passa
dal buio del sonno alla luce del risveglio. Quest’ultima è molto forte, quasi
disturbante, e in quanto tale concorre a trasmettere lo scombussolamento di
Leonardo nel giorno della partenza.
La tua interpretazione mi
piace molto. La scena notturna mescola onirico e simbolico e l’ho inserita più
come suggestione che come elemento narrativo. L’ho fatto in maniera impulsiva e
sulla scia di un aspetto autobiografico perché anche io come Leonardo soffrivo
costantemente di epistassi. Lo sbocco di sangue che si vede a un certo punto mi
serviva anche per mostrare il rapporto con la madre. Nel dirgli di non
preoccuparsi lei gli dice di smettere di essere infantile riproponendo lo
schema da cui Leonardo si allontana, almeno geograficamente.
Nella sequenza notturna
l’equilibrio e l’armonia conferita all’ambiente dalla classicità delle
inquadrature contrasta con la disposizione delle pareti di casa che sembrano
restringere lo spazio vitale del protagonista. È come se quelle immagini
suggerissero prima delle parole la condizione di Leonardo.
Essendo un film molto
personale Diciannove non è per nulla razionale o comunque la ragione si
mescola a personalismi che ne minano la linearità. Molte cose sono entrate nel
film attraverso la pancia dunque considerazioni come la tua mi servono per illuminare
aspetti che magari sono presenti a livello subliminale.
Non è un caso che dopo
quell’inizio lo schermo sembra esplodere attraverso un surplus di immagini e di
suoni. La libertà di Leonardo corrisponde a quella della messinscena del film.
Sì, come succede durante
il viaggio dall’autostrada all’aeroporto in cui la visione delle montagne
voleva rimandare all’altrove leopardiano che si cela oltre le colline. Si
tratta di una sequenza un po’ sognante.
La frammentazione di
quella sequenza e il modo in cui hai deciso di tenere insieme i diversi frame
favoriscono la trasmissione di uno stato d’animo più che di un segmento
narrativo.
Esatto, infatti in un
montaggio precedente avevo inserito delle didascalie riferite alla
posizione leopardiana sull’altrove che si cela dietro i “monti azzurri”.
Non a caso il segmento finisce con la sensazione di libertà data dalla visione
del mare per poi proseguire con la condizione di straniamento trasmessa dal
rumore dell’aereo e dai suoni all’interno del velivolo su cui viaggia Leonardo.
Da lì in poi è un
continuo incalzare di sensazioni e nuove situazioni che il film traduce a
livello formale con un impeto visivo e sensoriale volto a riprodurre
l’intensità emotiva tipica dell’età giovanile e in particolare lo stordimento
che si ha quando, come Leonardo, si entra a contatto con un nuovo mondo.
Si, appunto, di un’età in
cui un viaggio in areo o la visione di un paesaggio vengono vissuti in maniera
molto intensa, cosa che ho cercato di riprodurre attraverso le soluzioni
formali a cui facevi cenno. Mi interessava riprodurre piccole cose, avvenimenti
di poca importanza che però concorrono a formare la sensibilità del ragazzo.
L’immagine dei monti di
Palermo fa il paio con la facciata del palazzo londinese in cui vive la
sorella. In entrambi i casi la maniera in cui questi sovrastano la figura del
protagonista, impedendogli la vista dell’orizzonte, sembra suggerire il
sentimento di estraneità e la solitudine che accompagnerà la fase iniziale del
viaggio.
Effettivamente è così. In
più volevo descrivere quella parte di Londra dove si ritrovano gli studenti in
cui tutto sembra dominato da questi palazzoni abitati da operai. Nella
prima sequenza londinese lo stridio dei corvi preannuncia un’esperienza,
quella con la sorella e la sua coinquilina, non del tutto allegra.
La bigger than
life vissuta da Leonardo è introdotta dall’utilizzo di una musica
operistica chiamata a scandire gli avvenimenti segnalandone l’enfasi emotiva.
La musica mi serviva per
sostenere le scene di quella parte di film e per esempio quella in cui loro si
preparano per andare in discoteca. Lì le musiche sono nel contempo leggere e
malinconiche, allegre e più gravi per sottolineare la mescolanza d’umori in
Leonardo.
Dei coming of age Diciannove ha
tutte le caratteristiche, presentandoci un quadro di isolamento, solitudine e
disagio a cui fa da corollario la contestazione dell’autorità precostituita che
Leonardo mette in discussione attraverso il rifiuto di frequentare le lezioni
universitarie per mancanza di stima nei confronti del professore. La diversità
con altri film di questo genere sono le soluzioni formali che ti permettono di
raccontare l’esperienza di Leonardo dall’interno. Una diversità che rispecchia
quella di Leonardo rispetto al contesto in cui vive.
Un’altra cosa che secondo
me differenzia Diciannove dai film simili al mio è che forse manca un po’
la parabola che porta al cambiamento del personaggio. Alla fine Leonardo rimane
sicuro delle sue idee nonostante la sincerità della conversazione con il
collezionista con cui si conclude il film. La risata finale con cui Leonardo
sembra commentare le parole del suo interlocutore segnala la volontà di
rimanere nelle proprie nevrosi.
In effetti il finale è
privo di catarsi. In più l’ultima sezione del film ambientata a Torino arriva
all’improvviso senza essere mai annunciata. Anche il finale è altrettanto netto
e senza una conclusione vera e propria perché l’intento è quello di cristallizzare
la condizione di Leonardo senza proporre una ricetta salvavita.
Io vengo da una
formazione letteraria, nel senso che i primi anni di studi li ho dedicati
alla letteratura. Volevo diventare uno scrittore poi a un certo punto mi è
venuta l’idea del cinema che dati i trascorsi ha risentito della mia fissazione
abbastanza maniacale nei confronti della forma. In particolare mi rifacevo
all’idea di tanti scrittori che amavo, i quali dicevano che tutte le storie
sono state già raccontate e che quindi a fare la differenza il modo in cui
vengono narrate. È per questo che inizialmente ho amato i registi un po’
formalisti, quelli che vedono nella forma il modo più efficace di esprimere
un’idea. Ho sempre un occhio attento alla messinscena.
Leonardo è sempre alla
ricerca di uno stile capace di fare la differenza. Il film anche in questo fa
da specchio alla modalità del personaggio.
Mi ricordo che Bernardo
Bertolucci nel fare Prima della Rivoluzione diceva
che un carrello è più morale di Riso Amaro.
La vicenda raccontata nel
film, parlo decisione di lasciare la Sicilia, andare a Londra per poi
stabilirsi in un’altra città italiana in cerca del proprio posto nel mondo,
sembra rispecchiare non solo la tua vicenda umana ma anche quella del tuo
produttore Luca Guadagnino.
Conosco abbastanza bene
Luca. Mi ha raccontato spesso della sua adolescenza e devo dire che se penso a
Leonardo e lo confronto con Luca mi sembrano persone agli antipodi. Luca è una
persona molto speciale che sin dalla sua infanzia ha vissuto con un grado
di libertà fuori dalla norma. Leonardo è un nevrotico che tende a sublimare le
sue pulsioni attraverso i libri e l’isolamento. Certo in termini di spostamenti
geografici la similitudine di cui parli esiste ma lo spirito con cui si compie
il viaggio è diverso.
Parliamo del cinema che
ti piace.
Ai tempi in cui studiavo letteratura amavo il
neorealismo italiano forse perché vicino a una letteratura classica. In quel
periodo vedevo a ripetizione Le notti di Cabiria e Sedotta
e Abbandonata. Poi quando senti di avere una visione più
cinematografica ho iniziato a guardare i b movies e i poliziotteschi.
Mi piacevano tantissimo Castellari, Di Leo, Fulci ma
anche Mario Bava e Dario Argento. Dopo sono
arrivati i vari Friedkin, De Palma, Peckinpah.
Ovviamente Godard Infine ho un grande amore per il cinema di
Hong Kong e quindi per i Johnnie To, gli Tsui
Hark, e i John Woo.
Carlo Cerofolini
(conversazione pubblicata su taxidrivers.it)
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