sabato, settembre 14, 2024

'DICIANNOVE' CONVERSAZIONE CON GIOVANNI TORTORICI

Prodotto da Luca Guadagnino e presentato in concorso nella Sezione Orizzonti dell’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, Diciannove è il coming of age di un giovane Holden Italiano. Di Diciannove abbiamo parlato con il regista del film Giovanni Tortorici.

Diciannove è prodotto da Frenesy, Pinball London, MeMo Films, AG Studios, Tenderstories, con il contributo del Ministero della Cultura.

Il titolo del film è indicativo di un’età in cui si ha per la prima volta la facoltà di decidere senza però avere ancora la consapevolezza del mondo e delle cose. Volevo partire da qui chiedendoti se il titolo rimandasse a questo tipo di condizione?

Sì, assolutamente. Ero indeciso tra più titoli. Mi ricordo che ne proposi una lista ai produttori. Uno di questi – I diciannove anni di Leonardo Gravina – era un pochino più letterario però poi pensando che il film parla del primo anno accademico di un ragazzo di diciannove anni ho ho pensato che l’età, quella in cui generalmente si finisce il liceo, fosse un fattore molto importante. Da qui la scelta di concentrare il significato del titolo solo su quella.

Sempre a proposito del titolo, Diciannove riproduce un po’ la dimensione esistenziale del protagonista, il suo essere sempre fuori fase rispetto alle persone e alle cose che lo circondano. Diciotto infatti è l’età che segnala uno spartiacque tra il prima e il dopo mentre diciannove sposta l’esistenza in una sorta di limbo temporale dove non si è né carne né pesce.

Sì sì, capisco cosa vuoi dire. In realtà pur essendo il più prossimo ai diciotto il diciannovesimo anno di età segna un tempo meno definito rispetto a quello precedente che è sicuramente più simbolico. In effetti come dici tu diciannove suggerisce come il protagonista sia un ragazzo fuori sincrono rispetto alla realtà in cui vive.

Come succedeva al protagonista de Il giovane Holden Leonardo possiede uno spirito critico e una sensibilità superiore a quella dei suoi coetanei.

Il giovane Holden non l’ho letto però devo dirti che sono stati molti a dirmi della similitudine con il personaggio del romanzo.

Nei coming of age i protagonisti sono un po’ come Leonardo e cioè capaci di avere una maggiore profondità di sguardo rispetto ai loro coetanei. Come quelli anche Leonardo paga la sua diversità con l’incomunicabilità tipica dell’età giovanile.

Di sicuro il mio personaggio è diverso dai suoi pari età ma io lo trovo comunque molto inconsapevole. È vero che ha preso le distanze da certe meccaniche giovanili dei ragazzi della sua età però penso non abbia la coscienza per capire il motivo per cui la ha fatto, così come non conosce il motivo delle nevrosi che continuano a tormentarlo.

Diciannove inizia come una sorta di fuga dalla terra natia e da un contesto familiare opprimente.

Una fuga dal rapporto con la madre e da quello con il padre di cui sentiamo solo la voce. Entrambi lo considerano ancora un bambino, incapace di badare a se stesso e non ancora maturo per sapere come bisogna prendere la vita. Le prime scene dovevo far emergere questa cosa delineando il contesto famigliare in cui si è formata tale idea. 

Il ritorno alla realtà di Leonardo è molto brusco. Le immagini lo certificano con un montaggio che passa dal buio del sonno alla luce del risveglio. Quest’ultima è molto forte, quasi disturbante, e in quanto tale concorre a trasmettere lo scombussolamento di Leonardo nel giorno della partenza.

La tua interpretazione mi piace molto. La scena notturna mescola onirico e simbolico e l’ho inserita più come suggestione che come elemento narrativo. L’ho fatto in maniera impulsiva e sulla scia di un aspetto autobiografico perché anche io come Leonardo soffrivo costantemente di epistassi. Lo sbocco di sangue che si vede a un certo punto mi serviva anche per mostrare il rapporto con la madre. Nel dirgli di non preoccuparsi lei gli dice di smettere di essere infantile riproponendo lo schema da cui Leonardo si allontana, almeno geograficamente.

Nella sequenza notturna l’equilibrio e l’armonia conferita all’ambiente dalla classicità delle inquadrature contrasta con la disposizione delle pareti di casa che sembrano restringere lo spazio vitale del protagonista. È come se quelle immagini suggerissero prima delle parole la condizione di Leonardo.

Essendo un film molto personale Diciannove non è per nulla razionale o comunque la ragione si mescola a personalismi che ne minano la linearità. Molte cose sono entrate nel film attraverso la pancia dunque considerazioni come la tua mi servono per illuminare aspetti che magari sono presenti a livello subliminale.

Non è un caso che dopo quell’inizio lo schermo sembra esplodere attraverso un surplus di immagini e di suoni. La libertà di Leonardo corrisponde a quella della messinscena del film.

Sì, come succede durante il viaggio dall’autostrada all’aeroporto in cui la visione delle montagne voleva rimandare all’altrove leopardiano che si cela oltre le colline. Si tratta di una sequenza un po’ sognante.

La frammentazione di quella sequenza e il modo in cui hai deciso di tenere insieme i diversi frame favoriscono la trasmissione di uno stato d’animo più che di un segmento narrativo.

Esatto, infatti in un montaggio precedente avevo inserito delle didascalie riferite alla posizione leopardiana sull’altrove che si cela dietro i “monti azzurri”. Non a caso il segmento finisce con la sensazione di libertà data dalla visione del mare per poi proseguire con la condizione di straniamento trasmessa dal rumore dell’aereo e dai suoni all’interno del velivolo su cui viaggia Leonardo.

Da lì in poi è un continuo incalzare di sensazioni e nuove situazioni che il film traduce a livello formale con un impeto visivo e sensoriale volto a riprodurre l’intensità emotiva tipica dell’età giovanile e in particolare lo stordimento che si ha quando, come Leonardo, si entra a contatto con un nuovo mondo.

Si, appunto, di un’età in cui un viaggio in areo o la visione di un paesaggio vengono vissuti in maniera molto intensa, cosa che ho cercato di riprodurre attraverso le soluzioni formali a cui facevi cenno. Mi interessava riprodurre piccole cose, avvenimenti di poca importanza che però concorrono a formare la sensibilità del ragazzo. 

L’immagine dei monti di Palermo fa il paio con la facciata del palazzo londinese in cui vive la sorella. In entrambi i casi la maniera in cui questi sovrastano la figura del protagonista, impedendogli la vista dell’orizzonte, sembra suggerire il sentimento di estraneità e la solitudine che accompagnerà la fase iniziale del viaggio.  

Effettivamente è così. In più volevo descrivere quella parte di Londra dove si ritrovano gli studenti in cui tutto sembra dominato da questi palazzoni abitati da operai. Nella prima sequenza londinese lo stridio dei corvi preannuncia un’esperienza, quella con la sorella e la sua coinquilina, non del tutto allegra.

La bigger than life vissuta da Leonardo è introdotta dall’utilizzo di una musica operistica chiamata a scandire gli avvenimenti segnalandone l’enfasi emotiva.

La musica mi serviva per sostenere le scene di quella parte di film e per esempio quella in cui loro si preparano per andare in discoteca. Lì le musiche sono nel contempo leggere e malinconiche, allegre e più gravi per sottolineare la mescolanza d’umori in Leonardo.

Dei coming of age Diciannove ha tutte le caratteristiche, presentandoci un quadro di isolamento, solitudine e disagio a cui fa da corollario la contestazione dell’autorità precostituita che Leonardo mette in discussione attraverso il rifiuto di frequentare le lezioni universitarie per mancanza di stima nei confronti del professore. La diversità con altri film di questo genere sono le soluzioni formali che ti permettono di raccontare l’esperienza di Leonardo dall’interno. Una diversità che rispecchia quella di Leonardo rispetto al contesto in cui vive.

Un’altra cosa che secondo me differenzia Diciannove dai film simili al mio è che forse manca un po’ la parabola che porta al cambiamento del personaggio. Alla fine Leonardo rimane sicuro delle sue idee nonostante la sincerità della conversazione con il collezionista con cui si conclude il film. La risata finale con cui Leonardo sembra commentare le parole del suo interlocutore segnala la volontà di rimanere nelle proprie nevrosi.

In effetti il finale è privo di catarsi. In più l’ultima sezione del film ambientata a Torino arriva all’improvviso senza essere mai annunciata. Anche il finale è altrettanto netto e senza una conclusione vera e propria perché l’intento è quello di cristallizzare la condizione di Leonardo senza proporre una ricetta salvavita.

Io vengo da una formazione letteraria, nel senso che i primi anni di studi li ho dedicati alla letteratura. Volevo diventare uno scrittore poi a un certo punto mi è venuta l’idea del cinema che dati i trascorsi ha risentito della mia fissazione abbastanza maniacale nei confronti della forma. In particolare mi rifacevo all’idea di tanti scrittori che amavo, i quali dicevano che tutte le storie sono state già raccontate e che quindi a fare la differenza il modo in cui vengono narrate. È per questo che inizialmente ho amato i registi un po’ formalisti, quelli che vedono nella forma il modo più efficace di esprimere un’idea. Ho sempre un occhio attento alla messinscena.

Leonardo è sempre alla ricerca di uno stile capace di fare la differenza. Il film anche in questo fa da specchio alla modalità del personaggio.

Mi ricordo che Bernardo Bertolucci nel fare Prima della Rivoluzione diceva che un carrello è più morale di Riso Amaro.

La vicenda raccontata nel film, parlo decisione di lasciare la Sicilia, andare a Londra per poi stabilirsi in un’altra città italiana in cerca del proprio posto nel mondo, sembra rispecchiare non solo la tua vicenda umana ma anche quella del tuo produttore Luca Guadagnino.

Conosco abbastanza bene Luca. Mi ha raccontato spesso della sua adolescenza e devo dire che se penso a Leonardo e lo confronto con Luca mi sembrano persone agli antipodi. Luca è una persona molto speciale che sin dalla sua infanzia ha vissuto con un grado di libertà fuori dalla norma. Leonardo è un nevrotico che tende a sublimare le sue pulsioni attraverso i libri e l’isolamento. Certo in termini di spostamenti geografici la similitudine di cui parli esiste ma lo spirito con cui si compie il viaggio è diverso.

Parliamo del cinema che ti piace.

Ai tempi in cui studiavo letteratura amavo il neorealismo italiano forse perché vicino a una letteratura classica. In quel periodo vedevo a ripetizione Le notti di Cabiria e Sedotta e Abbandonata. Poi quando senti di avere una visione più cinematografica ho iniziato a guardare i b movies e i poliziotteschi. Mi piacevano tantissimo Castellari, Di LeoFulci ma anche Mario Bava Dario Argento. Dopo sono arrivati i vari FriedkinDe Palma, Peckinpah. Ovviamente Godard Infine ho un grande amore per il cinema di Hong Kong e quindi per i Johnnie To, gli Tsui Hark, e i John Woo.  


Carlo Cerofolini

(conversazione pubblicata su taxidrivers.it)

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